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Caponi Processo civile e complessita

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- 1 - 
 
Processo civile e complessità (*) 
 
Remo Caponi, Università di Firenze 
 
SOMMARIO: 1. Delimitazione dell’oggetto dell’indagine. – 2. Nozione di processo complesso. - 3. 
Nozione di complessità: impieghi nel processo civile. - 4. Più modelli di trattazione, un solo rito. - 
5. Rigidità della disciplina del processo di cognizione italiano. - 6. Controversia comples-
sa/controversia semplice come criterio di scelta del modello di trattazione. - 7. Controversia com-
plessa/controversia semplice come criterio di determinazione dell’oggetto del processo. - 8. Tesi e 
antitesi. - 9. Oggetto del processo come diritto soggettivo. - 10. Interpretazione letterale dell’art. 
140-bis del codice del consumo. - 11. Interessi protetti. - 12. Argomento comparatistico. - 13. Sinte-
si dialettica. - 14. La vita oltre la fattispecie. - 15. Non solo il “che cosa”, ma anche il “perché”, il 
“come” e il “quando”. - 16. Argomentazione orientata alle conseguenze. - 17. Applicazioni. – 18. 
Limitazione del principio dispositivo: obiezione e replica. - 19. Compromissione della terzietà del 
giudice: obiezione e replica. - 20. Conclusioni. 
 
 
(*) Saggio inedito che risulta dalla fusione di tre articoli. Il primo, Nozione di controversia “complessa”: 
impieghi normativi, è pubblicato in Foro italiano, 2009, V, c. 136 ss. e trae spunto dall’intervento svolto al 
XIX colloquio biennale dell’Associazione italiana di diritto comparato, nell’ambito della sessione coordinata 
dal prof. Michele Taruffo, Aspetti di complessità nelle controversie, Ferrara, 10-12 maggio 2007. Il secondo, 
Oggetto del processo e del giudicato ad assetto variabile, è pubblicato in Foro italiano 2008, V, c. 180 nella 
raccolta di brevi interventi su Azione collettiva risarcitoria (art. 140 bis del codice del consumo). Il terzo, 
Variabilità dell’oggetto del processo (nell’azione collettiva risarcitoria), è pubblicato in Rivista di diritto 
processuale, 2009, p. 47 ed è la base della relazione al convegno La conciliazione collettiva, organizzato dal 
prof. G. Gitti presso l’Università statale di Milano, 26 settembre 2008. Si sviluppano sinteticamente idee già 
presenti in miei scritti precedenti: Modelli europei di tutela collettiva nel processo civile: esperienze tedesca 
e italiana a confronto, indietro; Azione di nullità (profili di teoria generale), indietro; Autonomia privata e 
processo civile: gli accordi processuali, indietro; Autonomia privata e processo civile (appunti sul possibile 
ruolo del notaio nella crisi coniugale), indietro; Divieto di frazionamento giudiziale del credito: applicazio-
ne del principio di proporzionalità nella giustizia civile?, in Foro italiano, 2008, I, c. 1519; Litisconsorzio 
“aggregato”. L’azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, indietro; Azioni collettive: interessi 
protetti e modelli processuali di tutela, indietro. 
 
 - 2 - 
 
1. Delimitazione dell’oggetto dell’indagine 
 
Questo saggio non collega la nozione di complessità impiegata nel processo civile alla nozione di 
complessità impiegata in altre branche del sapere. Non è certo che una operazione del genere sareb-
be fruttuosa, ma non si può nemmeno escluderlo. Si accetta quindi il rilievo di questo mancato col-
legamento come un possibile appunto critico. 
 
2. Nozione di processo complesso 
 
Nel processo civile italiano l’aggettivo “complesso” è riferito prevalentemente al sostantivo “pro-
cesso”. Esso qualifica i processi caratterizzati da un cumulo di domande e/o da una pluralità di parti. 
Serve a descrivere in modo riassuntivo questi fenomeni, che desumono però da altre qualificazioni, 
in primo luogo da quella di “connessione” (di cause), la loro disciplina processuale. Tale impiego 
descrittivo del termine “complesso” non interessa in questa sede. 
 
3. Nozione di complessità: impieghi nel processo civile 
 
Interessa vagliare alcuni possibili impieghi normativi dell’aggettivo “complesso”, in una prospettiva 
di politica legislativa. Impiego normativo nel più semplice dei significati: come elemento di fatti-
specie cui si collegano effetti giuridici sul piano della disciplina processuale. In particolare, si esa-
minano due possibili impieghi: a) come criterio di scelta del modello di trattazione della causa, 
all’interno di una sequenza procedimentale unitaria; b) come criterio di determinazione dell’oggetto 
del processo. 
 
4. Più modelli di trattazione, un solo rito 
 
Negli ordinamenti dei paesi europei, la disciplina del processo ordinario di cognizione si articola 
frequentemente in una molteplicità di modelli di trattazione della causa, calibrati sulle caratteristi-
che della singola controversia dedotta in giudizio. I modelli di trattazione si collocano all’interno di 
una sequenza procedimentale unitaria. La scelta fra un modello di trattazione e l’altro è affidata al 
giudice, in collaborazione con le parti, e rientra fra i suoi compiti di direzione formale del processo. 
Nel processo civile inglese, la scelta è tra small claim track, fast track, multi track. Nel processo ci-
vile francese, la scelta è tra circuit court, circuit moyen e circuit long. Nel processo civile tedesco vi 
è la scelta di far precedere l’udienza principale da una prima udienza immediata oppure da un pro-
cedimento preliminare scritto. 
La flessibilità con cui i vari modelli di trattazione si adattano alle caratteristiche delle singole con-
troversie aumenta, se si considera che il progredire della sequenza procedimentale è scandito da 
termini previsti dalla legge, la cui durata è però fissata in concreto dal giudice, oppure da determi-
nazioni temporali del tutto elastiche. Esemplare l’art. 764 del nuovo codice di procedura civile fran-
cese, secondo cui il giudice della mise en ètat fissa man mano i termini necessari all’istruzione della 
causa, riguardo alla natura, all’urgenza e – appunto - alla complessità della medesima, dopo aver 
sentito gli avvocati. Esemplari anche alcune previsioni del codice di procedura civile tedesco, se-
condo le quali “l’udienza deve aver luogo il più presto possibile” (§ 272 III ZPO tedesca), oppure la 
parte deve far valere “tempestivamente” i suoi mezzi di attacco e di difesa all’udienza (§ 282 I 
ZPO), nonché comunicare “tempestivamente” alla controparte, prima dell’udienza, i mezzi di attac-
co e di difesa sui quali è prevedibile che quest’ultima non possa prendere posizione senza previa in-
formazione (§ 282 II ZPO). 
Pertanto la tendenza che si sta accreditando a livello europeo è quella di una disciplina elastica del 
processo a cognizione piena, che affida lo svolgimento nel caso concreto, in una certa misura, alle 
determinazioni discrezionali del giudice. 
 
 - 3 - 
 
5. Rigidità della disciplina del processo di cognizione italiano 
 
In questo quadro risalta sotto più profili la maggiore rigidità della disciplina del processo civile ita-
liano. In primo luogo, la tecnica seguita in Italia per rapportarsi alle diverse tipologie di controver-
sie non è la molteplicità dei modelli di trattazione all’interno di una sequenza procedimentale unita-
ria, bensì la pluralità di autonomi procedimenti (riti speciali a cognizione piena o sommaria) che af-
fiancano il processo ordinario di cognizione. Di converso il legislatore italiano ha disegnato per tutti 
i tipi di controversie soggette al rito ordinario tendenzialmente una identica sequenza processuale, 
che conosce solo varianti decisorie, oltre a provvedimenti anticipatori di condanna. Le fasi della se-
quenza sono rigorosamente scandite dalla legge fin nei particolari. In secondo luogo, i margini per 
le determinazioni discrezionali del giudice circa lo svolgimento formale del processo sono assai ri-
stretti, considerato che il giudice non può assegnare terminia pena di decadenza, se non nei casi in 
cui la legge espressamente lo prevede (art. 152 c.p.c. italiano). 
 
6. Controversia complessa/controversia semplice come criterio di scelta del modello di trattazione 
 
Un buon compromesso tra le tendenze in atto a livello europeo e l’attuale disciplina del processo ci-
vile italiano è costituito da una svolta radicale, che segni il passaggio dai riti speciali alla differen-
ziazione del rito ordinario “in base alla distinzione trasversale tra controversie complesse e contro-
versie che tali non risultino essere in concreto” (A. Proto Pisani). Serve allo scopo una norma che 
consenta al giudice – in collaborazione con le parti - di scegliere tra due modelli di trattazione legi-
slativamente predeterminati, alternativi a seconda del carattere semplice o complesso della contro-
versia. In questa accezione la nozione di controversia complessa, al pari di quella di controversia 
semplice, è generica ed affidata alla determinazione concreta del giudice, sulla base di una serie di 
parametri, tra i quali campeggiano le necessità dell’istruzione probatoria. 
 
7. Controversia complessa/controversia semplice come criterio di determinazione dell’oggetto del 
processo 
 
Come criterio di determinazione dell’oggetto del processo, la nozione di complessità può essere im-
piegata nella disciplina dell’azione collettiva risarcitoria (o restitutoria), introdotta in Italia all’art. 
140-bis del codice del consumo. Gli studiosi del processo civile attribuiscono una importanza fon-
damentale alla tempestiva individuazione dell’oggetto del processo, perché ciò rileva ai fini 
dell’applicazione di una serie di istituti processuali, come la giurisdizione, la competenza, la liti-
spendenza, ecc., e soprattutto ai fini della determinazione dell’oggetto del giudicato. Questa consa-
pevolezza è imponente e conduce a cogliere in questa nozione una delle porte di accesso allo studio 
del processo di cognizione nel suo complesso1. Non sorprende quindi che l’approfondimento di 
questo tema rivesta un ruolo centrale nella ricostruzione della disciplina dell’azione collettiva risar-
citoria. 
 
8. Tesi e antitesi 
 
Si contendono il campo fondamentalmente due tesi, che, con qualche semplificazione2, possono es-
sere ridotte fondamentalmente alla seguente contrapposizione. Secondo una prima tesi, oggetto del 
processo e del giudicato sono i singoli crediti risarcitori e restitutori dei consumatori che aderiscono 
all’azione collettiva risarcitoria promossa dalla associazione o dal comitato, con possibilità dipen-
 
1 Sul punto v. il classico studio di MENCHINI, I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano, 1987 e l’ampio 
dibattito da esso provocato; da ultimo ID., Giudicato civile, Il diritto. Enciclopedia giuridica, Milano, 2007, 
vol. VI, p. 687. Cfr. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, quinta ed., Napoli, 2006, p. 55. 
2 Per un preciso quadro con i dettagli e le sfumature, v. DALFINO, L’azione collettiva risarcitoria: l’oggetto 
del processo e del giudicato, in Foro it., 2008, V, c. 191. 
 - 4 - 
 
dente dallo stato degli atti di ottenere anche una tutela di condanna. Secondo l’altra tesi, oggetto del 
processo e del giudicato non sono mai i crediti risarcitori e restitutori degli aderenti, ma un qualcosa 
di meno. Diverso a seconda delle sfumature tra le varie tesi, il quid minus è tale da escludere in ogni 
caso la possibilità di ottenere una sentenza di condanna a vantaggio degli aderenti: l’an del diritto, 
la questione relativa alla illiceità della condotta plurioffensiva, la responsabilità risarcitoria o resti-
tutoria dell’impresa o l’interesse collettivo dei consumatori e degli utenti. Le due tesi sboccano in 
soluzioni quasi sempre opposte di molti dei problemi pratici sollevati dalla nuova disciplina e getta-
no così nello sgomento gli avvocati che hanno seguito almeno uno degli incontri di studio già dedi-
cati al nuovo istituto. La scelta tra l’una e l’altra tesi non è pregiudicata da ragioni di ordine costitu-
zionale. In particolare, le tesi che vedono l’oggetto del processo e del giudicato nell’azione colletti-
va risarcitoria in un qualcosa di diverso da un diritto o comunque da una situazione soggettiva so-
stanziale non incontrano un ostacolo insuperabile nell’art. 24 Cost.3. Come le altre garanzie costitu-
zionali, l’art. 24 Cost. è esposto al bilanciamento con altri valori costituzionali. Invalicabile è solo il 
suo contenuto essenziale, che consiste nel dischiudere sempre la tutela giurisdizionale dei diritti at-
traverso un processo a cognizione piena4. Ciò non esclude la possibilità di limitare l’oggetto del 
processo ad una questione comune ad una serie di cause, quando ciò sia lo strumento per conseguire 
economia processuale secondo il canone di proporzionalità5. Quest’ultimo può essere ambientato 
nell’esperienza processuale italiana come un risvolto del valore costituzionale della efficienza nella 
disciplina del processo, che si desume dall’affermazione della sua ragionevole durata (art. 111, 
comma 2, Cost.). 
 
9. Oggetto del processo come diritto soggettivo 
 
Si attendono le prime esperienze giurisprudenziali, sempre che il nuovo governo non decida di rin-
viare l’acquisizione di efficacia delle nuove disposizioni. Questa situazione interlocutoria è propizia 
per rovesciare l’impostazione tradizionale, ma prima di compiere questa operazione, nei prossimi 
tre paragrafi manifesto ancora il mio attaccamento verso argomentazioni tradizionali, in favore di 
un oggetto dell’azione collettiva risarcitoria inteso come diritto soggettivo individuale dei consuma-
tori aderenti. 
 
10. Interpretazione letterale dell’art. 140-bis del codice del consumo 
 
Primo argomento. Premessa maggiore: si continua con qualche fondamento ad insegnare agli stu-
denti che l’art. 2909 c.c. riferisce al diritto dedotto in giudizio l’accertamento comune a tutte le sen-
tenze emanate al termine del processo a cognizione piena (mero accertamento, condanna o sentenze 
costitutive). Si aggiunge che, in via eccezionale, il processo civile può avere ad oggetto esclusiva-
mente l’accertamento di un mero fatto giuridicamente rilevante, di una questione o di un punto di 
diritto. Duplice premessa minore: l’art. 140-bis, comma 1 prevede che l’attore formale proponga 
domanda di “accertamento del diritto al risarcimento del danno e alla restituzione delle somme spet-
tanti ai singoli” soggetti aderenti alla sua iniziativa. Quindi esso conferma, in via specifica e concre-
ta, il contenuto regolativo generale dell’art. 2909 c.c. Nonostante ciò si afferma talvolta che 
l’interpretazione letterale dell’art. 140-bis, comma 1 c. cons. va a vantaggio della tesi che coglie 
 
3 In senso contrario, v. però DALFINO, L’azione collettiva risarcitoria: l’oggetto del processo e del giudicato, 
cit. 
4 È infatti predicabile anche nel nostro sistema la Wesensgehaltsgarantie, il limite del rispetto del contenuto 
essenziale dei diritti (art. 19, comma 2 GG tedesco e art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione 
europea), come “limite del limite”. Così, ALEXY, Theorie der Grundrechte (1985), Frankfurt, 1995, p. 267. 
5 Il canone di proporzionalità è efficacemente scolpito nell’art. 1 delle Rules of civil procedure inglesi, lad-
dove si spiega che trattare una causa secondo giustizia include, per quanto sia praticabile, tra l’altro: “attri-
buire ad essa una quota appropriata delle risorse del giudice, tenendo conto della necessità di riservare le ri-
sorse agli altri casi”. 
 - 5 - 
 
l’oggetto del processo esclusivamente nell’accertamento della questione relativa alla illiceità della 
condotta plurioffensiva del convenuto. Conclusione: l’art. 140-bis c. cons. è interpretato così in sen-so opposto al “senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” 
(art. 12 Preleggi). Il che può forse essere in linea con l’approdo ermeneutico della scienza giuridica 
contemporanea. Ma allora tanto vale (quasi) smettere di leggere l’art. 140-bis e ragionare, per così 
dire, “a prescindere”. 
 
11. Interessi protetti 
 
Secondo argomento. Messa tra parentesi la previsione dell’intervento (superflua e incongrua), l’art. 
140-bis mette i singoli soggetti lesi dinanzi ad una alternativa fondamentale: esercitare l’azione in 
forma individuale ovvero esercitarla in forma collettiva, conferendo con l’adesione un mandato con 
rappresentanza all’associazione o al comitato attore, che quindi agisce come rappresentante proces-
suale volontario (non come legittimato straordinario, non come titolare di una mera azione). In en-
trambi i casi, oggetto del giudicato sono i crediti risarcitori e restitutori dei singoli. In entrambi i ca-
si il potere di azione è dei singoli, sebbene nel secondo caso esso possa esercitarsi solo per mezzo 
dell’adesione alla iniziativa dell’associazione. In entrambi i casi il processo può concludersi con una 
pronuncia definitiva, quindi anche con provvedimento di condanna integrale. In caso di esercizio 
dell’azione in forma collettiva, la seconda fase di determinazione negoziale o giudiziale del quan-
tum si rende necessaria solo se la condanna integrale non è possibile allo stato degli atti. In entrambi 
i casi la tutela dei diritti dedotti in giudizio può essere assicurata da provvedimenti cautelari e segui-
ta dalla esecuzione forzata6. 
 
12. Argomento comparatistico 
 
Terzo argomento. L’analisi di diritto comparato dei modelli di tutela collettiva conferma che, in ma-
teria di interessi individuali omogenei, oggetto del processo e del giudicato sono i diritti dei singoli 
e non la mera questione relativa all’illiceità della condotta plurioffensiva del convenuto. Ciò vale 
per il litisconsorzio facoltativo, per il processo modello7, nonché per la class action statunitense. In 
questo settore, il ricorso al modello dell’azione delle associazioni è frutto di una scelta contingente. 
La ricostruzione della disciplina della tutela processuale degli interessi individuali omogenei non è 
da appiattire su quella degli interessi effettivamente superindividuali, in cui la legittimazione ten-
denzialmente esclusiva delle associazioni è invece un dato strutturale (quantomeno nel secondo sot-
togruppo di casi). Non è casuale l’apertura ai comitati nell’art. 140-bis, comma 2 c. cons.: il legisla-
tore ha così opportunamente introdotto una variante gestionale del cumulo di azioni individuali, ap-
pena velato dallo schermo organizzativo dell’ente. 
 
13. Sintesi dialettica 
 
A questo punto cerco di superare la logica della contrapposizione fra le due tesi in tema di oggetto 
del processo. Per compiere questa operazione, non rimetto in discussione questo o quell’argomento 
speso nella polemica. Rimetto in discussione lo stesso approccio con cui di solito i processualisti af-
 
6 Per un più ampio discorso e per le opportune citazioni, cfr. Azioni collettive: interessi protetti e modelli 
processuali di tutela, indietro. 
7 Nel processo modello (o campione) viene dedotto in giudizio un diritto individuale da un singolo titolare (o 
da una associazione), ma la pronuncia proietta una efficacia giuridica, in una certa misura vincolante, anche 
nei confronti delle cause parallele. L’elemento dell’efficacia vincolante nei confronti delle cause parallele è il 
tratto che distingue il processo modello dalla causa pilota. Nell’ordinamento tedesco il processo modello ha 
trovato dapprima la propria disciplina legislativa nel codice della giustizia amministrativa (§ 93a VwGO). 
Anche secondo la nuova legge tedesca del 2005, relativa alle controversie del mercato finanziario (Ka-
pMuG), la fase presso la Corte di appello è preceduta dall’avvio delle azioni individuali. 
 - 6 - 
 
frontano questi problemi, talvolta foriero di una difficile comunicazione con gli studiosi del diritto 
civile. Tale difficoltà è sempre una iattura, ma lo è specialmente nella materia della tutela colletti-
va8, che, al pari di altri temi9, suggerisce di abbattere quelle barriere mentali, che, come riflesso dei 
settori scientifico-disciplinari, condizionano così frequentemente in Italia le ricerche e lo stesso mo-
do di ragionare degli studiosi. 
 
14. La vita oltre la fattispecie 
 
I tre argomenti prospettati in precedenza, al pari di quelli contrapposti, considerano l’oggetto del 
processo e del giudicato esclusivamente da un punto di vista strutturale. Essi considerano il proble-
ma risolto, sol che si identifichi con un sufficiente grado di precisione che cosa l’attore ha dedotto 
in giudizio: un diritto sostanziale o una mera questione? I due punti di vista contrapposti sono ac-
comunati da una notevole astrazione. Entrambi si muovono sul piano della teoria della fattispecie, 
tanto che l’alternativa potrebbe essere così riformulata: oggetto del processo è un effetto giuridico o 
un elemento della fattispecie? In altra sede, ho accennato alle difficoltà che incontra la statica rico-
struzione dell’oggetto del processo entro la teoria della fattispecie ad inquadrare la concreta dinami-
ca delle attività protettive o lesive degli interessi umani10. Tale ricostruzione allontana frequente-
mente l’idea di oggetto del processo da quella realtà contingente e concreta che l’attore chiede hic et 
nunc di sottoporre a giudizio. In una parola, tale ricostruzione allontana la teoria giuridica dalla vita, 
che però “cerca a sua volta di insinuarsi nel diritto, di penetrare in strutture dalle quali si era voluto 
tenerla lontana, di prendere stabile possesso di aree che si volevano ad essa precluse”11. Tale conce-
zione è quindi da integrare o correggere con altri criteri, che accorcino questa distanza, come la ri-
valutazione della nozione empirica chiovendiana di “bene della vita”, ovvero l’apertura verso la no-
zione di oggetto del processo propria dell’esperienza giuridica tedesca, che secondo l’opinione 
maggioritaria si basa sull’hic et nunc della pretesa, così come specificata nel processo dalla richiesta 
di tutela collegata alla descrizione della situazione della vita12. Punto di partenza è acquisire piena-
mente la consapevolezza che appiattire l’oggetto del processo entro la teoria della fattispecie è un 
difetto, che è causa non remota del “muro contro muro” dottrinale occorso nei primi commenti 
sull’art. 140-bis c. cons. 
 
15. Non solo il “che cosa”, ma anche il “perché”, il “come” e il “quando” 
 
Probabilmente tale aspetto critico ha guadagnato per la prima volta in modo prepotente le luci della 
ribalta giudiziaria italiana nel caso Gubisch c. Palumbo13. Il mutamento di prospettiva espresso nel 
 
8 Cfr. Modelli europei di tutela collettiva nel processo civile: esperienze tedesca e italiana a confronto, in-
dietro. 
9 Un altro tema che si inscrive in questo contesto è l’incidenza dell’autonomia privata nella disciplina del 
processo civile, con cui la disciplina dell’azione collettiva risarcitoria presenta non a caso punti di contatto: si 
pensi alla qualificazione del rapporto tra il proponente e gli aderenti all’azione. Cfr. Autonomia privata e 
processo civile: gli accordi processuali, indietro. 
10 Cfr. Azione di nullità (profili di teoria generale), indietro. 
11 Così, RODOTÀ, La vita e le regole, quarta ed., Milano, 2007, passim e p. 25. 
12 Cfr. ROSENBERG, SCHWAB, GOTTWALD, Zivilprozessrecht,, München, 2004, p. 1062. 
13 Corte giustizia delle comunità europee, 8 dicembre 1987, n. 144/86, in Foro it., 1988, IV, c. 341: “quando 
si tratta in particolare, come nel caso di specie, della venditainternazionale di beni mobili materiali, ne risul-
ta che la domanda di esecuzione del contratto è volta a renderlo efficace, e che la domanda di annullamento e 
di risoluzione è volta appunto a negargli ogni efficacia. La forza obbligatoria del contratto si trova pertanto al 
centro delle due controversie. Se la domanda di annullamento o di risoluzione è la domanda posteriore, essa 
può addirittura essere considerata un semplice mezzo di difesa contro la prima domanda presentata in forma 
di azione autonoma dinanzi ad un tribunale di un altro Stato contraente. Stando così le cose dal punto di vista 
processuale è giocoforza constatare che le due controversie hanno il medesimo oggetto, dato che 
 - 7 - 
 
passo della sentenza citato nella precedente nota a piè di pagina è di una semplicità disarmante, 
quasi un “uovo di Colombo”. Esso può essere sintetizzato in una massima che si stringe nel pugno 
di una mano: se è importante sapere che cosa l’attore fa valere in giudizio, ancora più importante è 
sapere perché, come e quando lo fa valere. Così può entrare nel processo la vita, cui si richiamano 
felicemente la nozione chiovendiana e le espressioni tedesche Lebenssachverhalt ovvero Leben-
svorgang. Così l’accertamento giudiziale può assumere i connotati di un “prisma” nel quale si riflet-
te l’esistenza umana, prima che l’ordinamento di diritto sostanziale. Così si può recuperare la corre-
lazione di valutazioni tra diritto privato e diritto processuale civile, che impedisca un uso abusivo 
del processo14. Non si tratta di una apertura indiscriminata verso la rilevanza dei motivi soggettivi e 
individuali alla base della iniziativa litigiosa15, bensì di una apertura calibrata verso lo scopo ogget-
tivo che, nella situazione concreta in cui si trova il soggetto, sorregge la sua azione giudiziale. Una 
considerazione meramente strutturale, statica, rigida, atemporale dell’oggetto del processo, uno 
sforzo teso a rispondere solo alla domanda relativa al “che cosa” è dedotto in giudizio in termini di 
teoria della fattispecie, indipendentemente dalle condizioni fattuali e dalle aspettative dell’attore e 
del convenuto, perde il contatto con una realtà sostanziale dalle mille sfaccettature, dai mille colori 
cangianti. È difficile lasciare il “perché”, il “come” e il “quando” integralmente fuori dalla teoria 
dell’oggetto del processo. 
 
16. Argomentazione orientata alle conseguenze 
 
Quid iuris dal discorso svolto nei paragrafi precedenti? Musica del futuro? No, anche se natura non 
facit saltus. Limito quindi provvisoriamente la valutazione del suo impatto pratico alla polemica in 
tema di oggetto dell’azione collettiva risarcitoria. La prima conseguenza è quella di rinunciare a 
confrontare di nuovo pedissequamente gli argomenti a sostegno dell’una o dell’altra tesi 
sull’oggetto del processo, specialmente quelli che si fondano essenzialmente sulla lettura del testo 
dell’art. 140-bis c. cons. Sotto la pressione dell’urgenza del provvedere, determinata da una vicenda 
parlamentare rocambolesca, si profila piuttosto sotto i nostri occhi l’entrata in vigore di un’opera 
legislativa aperta, che rende plausibili tesi opposte. Ci saremmo augurati una legge più chiara, ma a 
questo punto si tratta di fare “di necessità, virtù”, secondo la saggezza popolare, e così di individua-
re un criterio razionale di scelta tra tesi opposte, parimenti plausibili. Tale criterio è la considerazio-
ne delle implicazioni pratiche che la scelta interpretativa presumibilmente produce all’esterno. In-
somma, ci troviamo dinanzi ad una cornice normativa, in grado di recepire e offrire un fondamento 
ad interpretazioni schiettamente orientate alle conseguenze16. In presenza di un testo così 
(mal)congegnato, spostiamo così il dibattito dalla lettera della legge alla meritevolezza delle conse-
guenze che sulla base di quella piattaforma autoritativa intendiamo conseguire. 
 
17. Applicazioni 
 
Alcuni esempi applicativi, ovviamente senza pretesa di completezza. Primo esempio. L’illecito plu-
rioffensivo consiste in un identico servizio erogato senza richiesta dal professionista ad una pluralità 
di utenti. Per il servizio è stato corrisposto un identico corrispettivo. Dall’accertamento della illicei-
tà della condotta del convenuto scaturisce automaticamente la determinazione della somma da resti-
tuire. È meritevole di essere sostenuta (e conforme alla garanzia costituzionale dell’effettività della 
 
quest’ultima nozione non può essere ristretta all’identità formale delle due domande. Sul punto si vedano le 
nitide osservazioni di CONSOLO, Profili della litispendenza internazionale, in Riv. dir. int., 1997, p. 5, p. 21. 
14 Per un più ampio discorso, v. CAPONI, Divieto di frazionamento giudiziale del credito: applicazione del 
principio di proporzionalità nella giustizia civile?, in Foro it., 2008, I, in nota a Cass. n. 23726 del 2007. 
15 Peraltro tale apertura è una delle peculiarità vantaggiose della conciliazione come metodo negoziale di 
composizione delle controversie. Cfr. LUISO, voce Conciliazione, in Il diritto. Enciclopedia giuridica, vol. 
III, Milano, 2007, p. 498. 
16 MENGONI, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, p. 91. 
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tutela giurisdizionale) una interpretazione orientata alla conseguenza di offrire ai singoli aderenti 
all’azione un titolo esecutivo al termine del processo collettivo. Questa interpretazione è compatibi-
le con il testo dell’art. 140-bis, comma 4, proposizione 2. La somma minima determinata dal giudi-
ce è in realtà, in questo caso, la somma totale. La legge non menziona il carattere di condanna della 
sentenza, ma nemmeno l’art. 474 c.p.c. lo menziona17. Secondo esempio. L’illecito plurioffensivo 
consiste nella produzione e vendita di un prodotto nocivo per la salute umana, ma l’accertamento 
dell’an e del quantum del danno subito da ciascun consumatore dipende da un giudizio individua-
lizzato, calibrato sulle circostanze che hanno determinato il danno nel singolo caso. È meritevole di 
essere sostenuta (e conforme al canone di efficienza della giustizia civile, nonché al canone di pro-
porzionalità) una interpretazione orientata alla conseguenza di escludere la possibilità di impegnare 
il processo collettivo nel giudizio individualizzato relativo ad uno o più dei diritti cumulati18. Que-
sta interpretazione è compatibile con il testo dell’art. 140-bis, comma 4, proposizione 2 c. cons., 
nella parte in cui prevede che il giudice determini la somma minima solo se ciò è possibile allo stato 
degli atti. Oggetto del processo e del giudicato è in questo caso la questione comune attinente 
all’illiceità della condotta dell’impresa convenuta19. Terzo esempio. All’udienza di precisazione 
delle conclusioni nel giudizio di appello vengono comunicate alcune nuove adesioni all’azione col-
lettiva risarcitoria di cui al primo esempio, con altrettante date diverse di stipulazione del contratto, 
alcune risalenti a diversi anni indietro. Il punto di equilibrio tra la previsione di un canale sempre 
aperto alle adesioni e il diritto di difesa del convenuto è che il processo collettivo veda tendenzial-
mente come oggetto del suo dibattito le questioni comuni, secondo la tecnica del processo modello, 
e che esso si concluda con una sentenza di accertamento ovvero con una sentenza di condanna, in 
entrambi i casi con riserva delle eccezioni personali20. 
 
18. Limitazione del principio dispositivo: obiezione e replica 
 
Il secondo esempio formulato nel paragrafo precedente merita un approfondimento. Rispetto alla 
soluzione ivi proposta, si prospetta una obiezione: la scelta giudiziale tra modelli alternativi di og-
getto del processo limitaun aspetto fondamentale del principio dispositivo in senso sostanziale, cioè 
il dominio della autonomia delle parti, non solo nella determinazione dell’inizio e della fine del pro-
cesso, ma anche del suo oggetto. L’obiezione è seria e costringe ad una replica articolata. Innanzi-
tutto, vagliare l’incidenza del principio dispositivo nel processo civile non equivale a discettare 
dell’eterno ritorno dell’identico. Nel panorama europeo, l’incidenza del principio dispositivo non è 
identica nei vari ordinamenti. L’elemento in cui si registrano più sfaccettature è probabilmente pro-
prio quello relativo alla delimitazione dell’oggetto del processo e del giudicato. Si passa dalla ri-
stretta soluzione tedesca, in cui l’oggetto del processo e del giudicato è delimitato dalla richiesta 
della parte, individuata attraverso i fatti allegati, alla intermedia soluzione italiana, in cui la legge e 
non solo la volontà delle parti può contribuire alla delimitazione oggettiva del giudicato (art. 34 
c.p.c.), per arrivare all’ampia soluzione inglese, che può precludere ogni nuova considerazione dei 
fatti oggetto della decisione giudiziale. L’art. 34 c.p.c. consente una estensione dell’oggetto del pro-
cesso alle questioni pregiudiziali (e quindi una limitazione dell’autonomia delle parti) dettata da ra-
 
17 Altrimenti, in fattispecie come questa, si passerebbe a forzare l’azione inibitoria ex art. 140 c. cons. Per 
un’avvisaglia, v. Una letteratura di interrogativi in attesa della giurisprudenza, indietro. 
18 La soluzione opposta potrebbe essere presa in considerazione solo in presenza di una evoluzione del diritto 
sostanziale verso la rilevanza di evidenze epidemiologiche e/o statistiche sull’accertamento del nesso di cau-
salità, che lo trasformerebbe in una questione essenzialmente comune. 
19 Questa variante può trovare un parallelo nella - pur contrastata - esperienza nordamericana della issue 
class action, sulla quale ha richiamato recentemente l’attenzione GIUSSANI, Azioni collettive risarcitorie nel 
processo civile, Bologna, 2008. 
20 Cfr. CONSOLO, in CONSOLO, BONA, BUZZELLI, Obiettivo class action: l’azione risarcitoria collettiva, Mi-
lano, 2008, p. 215 ss. 
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gioni di economia ed efficienza della tutela giurisdizionale, valutate in via generale ed astratta dal 
legislatore. 
La soluzione proposta nel paragrafo precedente in relazione al secondo esempio consente una esten-
sione (o anche una restrizione) dell’oggetto del processo collettivo risarcitorio dettata da ragioni di 
economia ed efficienza della tutela giurisdizionale, valutate in concreto dal giudice. In entrambi i 
casi il principio dispositivo è limitato da ragioni attinenti alla funzionalità del processo, che nel se-
condo caso non sono certamente più deboli. Al contrario: il canone di proporzionalità nell’impiego 
delle risorse dell’amministrazione giudiziaria suggerisce di configurare la disciplina delle cause se-
riali di massa all’esito di un bilanciamento di valori costituzionali, che colloca su un piatto della bi-
lancia le garanzie costituzionali che sorreggono il modello tradizionale di tutela giurisdizionale dei 
diritti nel singolo processo, e sull’altro piatto l’efficienza dell’amministrazione della giustizia, che 
sorregge la tutela giurisdizionale dei diritti nell’insieme dei processi o in una classe di essi. 
 
19. Compromissione della terzietà del giudice: obiezione e replica 
 
Contro questo ragionamento si prospetta la seguente obiezione finale: problematica non è tanto la 
limitazione del principio dispositivo in sé, quanto il fatto che essa sia affidata all’apprezzamento e 
alla scelta del giudice nel caso concreto. Ciò metterebbe a repentaglio la garanzia costituzionale del-
la imparzialità del giudice. Anche questa obiezione si espone ad una replica, che consente di con-
fermare la soluzione proposta. La previsione di un aumento di poteri del giudice è frequentemente 
accompagnata dal rilievo critico che tale aumento mina o può minare la sua imparzialità. Ciò è ac-
caduto in particolare con la previsione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice. Ammesso e non 
concesso che l’esercizio del potere di delimitare l’oggetto del processo (in dipendenza dal carattere 
semplice o complesso della controversia collettiva risarcitoria) paghi qualche leggero prezzo sul 
piano della imparzialità psicologica del giudice, nel quadro di quel bilanciamento di valori costitu-
zionali cui deve ispirarsi la disciplina della tutela collettiva giurisdizionale, quel prezzo non sembra 
superiore a quello collegato all’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio e merita di essere pagato. 
In concreto, ciò significa essenzialmente: a) se l’attore delinea l’oggetto del processo in termini più 
ristretti di quelli efficienti (ad es., nel primo esempio del paragrafo n. 17, egli limita l’oggetto del 
processo alla questione relativa all’illiceità della condotta del convenuto), il giudice rileva la que-
stione d’ufficio e, in caso di inerzia delle parti, estende l’oggetto del processo ai crediti restitutori 
individuali; b) se l’attore delinea l’oggetto del processo in termini più ampi di quelli efficienti (ad 
es., nel secondo esempio del paragrafo n. 17, egli estende l’oggetto del processo ai crediti risarcitori 
individuali), il giudice rileva la questione d’ufficio e, in caso di inerzia delle parti, limita l’oggetto 
del processo alla questione relativa all’illiceità della condotta del convenuto. 
 
20. Conclusioni 
 
In entrambi gli impieghi normativi esaminati, la nozione di “complessità” dipende prevalentemente 
da profili relativi all’accertamento dei fatti rilevanti. La scelta tra i modelli di trattazione dipenderà 
frequentemente dalle necessità dell’istruzione probatoria. La scelta tra i modelli di oggetto del pro-
cesso collettivo risarcitorio dipenderà quasi invariabilmente dalla necessità o meno di compiere un 
giudizio individualizzato per determinare la somma da risarcire o restituire nel singolo caso. In par-
ticolare, l’azione collettiva risarcitoria ha un oggetto ad assetto variabile e giudizialmente determi-
nabile in concreto in dipendenza dal carattere semplice o complesso della controversia e quindi dal-
lo scopo oggettivamente perseguibile dalle parti, nonché - in via piuttosto residuale - dalle condi-
zioni concrete dello svolgimento del processo. Una conclusione che presuppone l’abbandono della 
rigida adesione all’idea che l’identificazione tempestiva e immutabile dell’oggetto del processo e 
del giudicato entro gli schemi della teoria della fattispecie costituisca quasi l’alfa e l’omega del pro-
cesso civile. 
D’altra parte, quando la vita si allontana dall’idea, è segno che bisogna cambiare l’idea.

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