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Filosofia ambientale
Biocentrismo individuale e olistico
PIERGIACOMO PAGANO
Introduzione
Già nello scorso articolo avevamo iniziato a passare in
rassegna le correnti filosofiche ambientali attraverso
gli scritti di alcuni dei più noti pensatori contempora-
nei. Come si ricorderà una prima suddivisione delle
etiche ambientali vede il contrapporsi di una posizione
antropocentrica e di una biocentrica. La prima è ul-
teriormente suddivisa in un antropocentrismo forte
che vede l�uomo padrone assoluto della natura e un
antropocentrismo debole, versione più illuminata, dove
l�uomo si riconosce come il buon amministratore, il
buon sovrano dei suoi sudditi animali e vegetali.
Sull�antropocentrismo forte non ci eravamo dilungati
sia perché si sintetizza facilmente raggruppando tutte
quelle posizioni estreme che pongono l�uomo come
dittatore nei confronti della natura, sia perché è anacro-
nistica. Della visione antropocentrica debole abbiamo
riferito seguendo il pensiero del filosofo australiano
John Passmore.
La volta scorsa abbiamo anche visto come la posizione
antropocentrica viene criticata da coloro i quali pensa-
no all�uomo come ad un semplice componente della
natura, un elemento fra i tanti. Le loro posizioni
vengono generalmente raggruppate sotto l�etichetta di
biocentrismo anche se sono estremamente varie e
possono differire per concetti fondamentali. Così le
etiche biocentriche individuali si distanziano in vari
modi dalle etiche biocentriche olistiche. Delle prime
abbiamo già visto l�etica animale di Peter Singer e i diritti
animali di Tom Regan. Ora continuiamo introducendo
il principio di vita di Kenneth E. Goodpaster e il rispetto
per la natura di Paul W. Taylor. Entrambe queste
concezioni si possono definire individualistiche ma
tendono ad allargare la loro visione fino ad includere
le specie e gli ecosistemi cercando così di tendere la
mano ad un�etica più olistica.
Come abbiamo più volte ricordato, alcuni autori riten-
gono l�etica biocentrica individualistica non praticabile
sul piano giuridico e difficile da governare nel concreto
quando si tratta di gestire un territorio o salvaguardare
le specie in pericolo di estinzione. Di queste visioni
olistiche presentiamo qui l�etica della terra di Aldo
Leopold e di John Baird Callicott, nonché una versione
più elaborata, denominanta etica del valore, di Holmes
Rolston III. Per il momento ci fermiamo qui, nel 5°
articolo concluderemo la rassegna delle filosofie am-
bientali contemporanee raccontando della Deep Ecology.
Il principio di vita di Kenneth E. Goodpaster
Un approccio individualistico che non esclude l�allar-
gamento alle specie, agli habitat e agli ecosistemi è stato
elaborato dal filosofo americano Kenneth E. Goodpa-
ster. La questione morale, secondo Goodpaster deve
andare oltre l�antropocentrismo per una ragione molto
semplice: è assolutamente deplorevole e acritico con-
siderare una certa azione che coinvolge l�ambiente
sulle sole basi della soddisfazione umana (1). In altre
parole utilizzare l�ambiente come un banale bene
strumentale è limitante e spregevole. E� un po� come
decidere la politica estera di uno Stato limitandosi a
fare l�interesse nazionale e fregandosene liberamente
del contesto sociale, economico, oltre che politico, del
resto del mondo.
Per Goodpaster la dignità umana obbliga a spingersi
oltre. E non basta allargare la sfera etica ai soli esseri
coscienti come ha fatto Feinberg col suo principio di
interesse (2). Già la suddivisione tra organismi degni e
organismi indegni di considerazione morale è una
palese discriminazione. Anzi, secondo Goodpaster,
proprio su questo punto Feinberg si tradisce quando
afferma che le piante non sono semplici oggetti ma
cose vive. Di fronte alla loro tendenza a conservarsi e
a guarire è difficile rifiutare l�idea che gli alberi non
abbiano interesse a rimanere vivi. In questo ha ragione
Christopher D. Stone quando sostiene che il suo prato
gli dà chiare indicazioni su ciò che vuole (3).
Insomma, né la razionalità e neppure la capacità di
esperire piacere o sentire dolore sono confini convin-
centi. E se appare chiaro ciò che è bene e ciò che è male
per un organismo allora non vi sono ragioni sufficienti
per escluderlo dall�etica. L�unico criterio plausibile e
meno arbitrario è l�essere vivi.
Su questo Goodpaster non teme obiezioni: la sacralità
della vita è un argomento forte e chiaro. Inoltre il suo
messaggio: �non ha senso porre dei confini etici quan-
do, sulla Terra, tutti gli organismi sono imparentati fra
loro� ha il grande pregio di sostenere filosoficamente
il sapere ecologico. Ma se da un lato il discorso di
Goodpaster si erge a emblema nella lotta contro gli
ideologismi discriminanti dall�altro, proprio per il ca-
rattere di grande respiro che assume, rimane troppo
utopistico. Venendo al sodo Goodpaster non fornisce
gli elementi necessari allo sviluppo di atti legislativi
concreti. D�altra parte non erano queste le intenzioni
del filosofo che si basa su un approccio morbido per
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fare breccia sul �buon senso� della gente, per scalfire
le certezze di coloro i quali vedono la natura come
estranea. Non è un caso, infatti, che Goodpaster
utilizzi il termine considerabilità morale ed escluda per
scelta cosciente la parola diritti.
Ma c�è un ulteriore aspetto che non va sottovalutato.
L�allargamento della considerabilità morale a tutti gli
esseri, in quanto vivi, ha l�innegabile vantaggio di
proporre un punto di incontro fra biocentrismo indivi-
dualista e olista. Se si riesce a dimostrare che un gruppo
(come potrebbe essere una specie, un habitat, o un
ecosistema) è un�entità definibile come viva, allora non
v�è più alcun motivo per escluderlo dalla comunità
morale.
Il rispetto per la natura di Paul W. Taylor
Nella disputa tra �individualisti� e �olisti� Paul W.
Taylor si schiera dalla parte dei primi, tuttavia crede sia
necessario dare una rispettabilità morale anche ai
gruppi di organismi. L�apparente incongruenza dei due
approcci, sostiene, nasce dal fatto che se si riconosco-
no come degni di considerabilità morale solo gli insie-
mi (specie, habitat, ecosistemi) si può essere accusati di
fascismo ambientale in quanto sarebbero giustificate le
uccisioni di singoli individui per il bene della comunità.
Pur tuttavia non si può negare il carattere vincolante di
certe scelte se si vuole salvaguardare il delicato equili-
brio degli ecosistemi. Ad esempio, qualora il numero
degli elefanti diventasse così elevato da mettere in serio
pericolo l�ecosistema della savana, potrebbe rendersi
necessario l�abbattimento di alcuni capi. L�unico modo
per uscire da questo circolo vizioso, secondo Taylor, è
quello di dare una rispettabilità morale ai singoli
organismi in quanto esseri dotati di un valore intrinse-
co. Su questa base individualistica si può, quindi,
costruire un�etica biocentrica che dia rispettabilità
morale anche agli insiemi (4).
Nel suo ragionamento Taylor non esclude la possibilità
che gli animali e le piante possano avere dei diritti,
tuttavia pensa che si raggiungano gli stessi risultati
elaborando un�etica che lui chiama �del rispetto�, una
sorta di allargamento di un�etica che già esiste e che
riguarda, attualmente, solo gli uomini. Per capire cosa
intende Taylor è sufficiente sostituire le parole �dignità
di uomo� dell�etica attuale con �valore intrinseco�, il
valore di cui è dotato ogni singolo organismo.
Vediamo come procede la sua argomentazione. L�etica
del rispetto ha una struttura che può suddividersi in tre
elementi base: un sistema di principi, un atteggiamento
morale supremo e un gruppo di regole.
Il sistema di principi, che Taylor chiama �concezione
biocentrica della natura�, si basa sulle leggi scientifiche
che l�ecologia ha messo in luce, vale a dire l�omeostasi,
l�equilibrio e l�integrità. Attenzione, però, ammonisce
Taylor. Se da un lato è importante riconoscere l�esisten-
za di queste leggi universaliè anche vero che non
hanno, esse stesse, la valenza di norme morali come gli
olisti vogliono fare credere. Come abbiamo già visto
nel primo articolo sulla filosofia ambientale, l�etica è di
pertinenza della filosofia, non della scienza. La �con-
cezione biocentrica della natura� non è quindi analiz-
zabile empiricamente e non può considerarsi un com-
pendio di scienze ecologiche. La prospettiva biocentri-
ca è un�opinione filosofica del mondo e deve rimanere
distinta dalle teorie scientifiche e dai sistemi esplicativi.
Entrando nel dettaglio la �prospettiva biocentrica della
natura�, asserisce che:
1) gli uomini sono membri della comunità vivente allo
stesso modo in cui lo sono i non-uomini;
2) i sistemi naturali della Terra, nella loro totalità, sono
composti da una rete complessa di elementi intercon-
nessi, dove il sano funzionamento biologico di ogni
essere dipende dal sano funzionamento degli altri;
3) ogni individuo viene concepito come un centro
teleologico di vita, che insegue il proprio bene nella sua
propria maniera;
4) il concetto che l�uomo sia superiore alle altre specie
non ha fondamento e, alla luce degli elementi 1), 2) e
3), deve essere rigettato in quanto deviazione irrazio-
nale in nostro favore.
Riguardo il primo punto Taylor non nega le differenze
fra uomini e non-uomini, tuttavia riconosce che la
nostra origine è comune agli altri esseri e che sottostia-
mo alle stesse leggi naturali: genetiche, selettive, adat-
tative eccetera. Inoltre, e questo è un argomento di
novità, riconosce che siamo i nuovi arrivati. Tante altre
specie abitano il pianeta da molto più tempo di noi. Ed
ancora, non è detto che dureremo più a lungo di altri.
La nostra presenza qui non è assolutamente necessaria.
Svariate specie ed ecosistemi starebbero certamente
meglio senza la nostra presenza. Nel mondo ci sarebbe
meno inquinamento, più spazio, più varietà. Insomma
la nostra dipartita sarebbe salutata con entusiasmo dal
mondo naturale.
Per quanto concerne il secondo punto della �prospet-
tiva biocentrica della natura� c�è poco da aggiungere,
è sufficiente imparare la grande lezione fornita dal-
l�ecologia. Non c�è nulla di filosofico nel riconoscere
che esiste una complessa rete di relazioni tra gli
organismi viventi.
Riguardo invece il terzo punto, �ogni individuo viene
concepito come un centro teleologico di vita� (cioè
ogni organismo tende verso un proprio fine da realiz-
zare), Taylor avanza la sua proposta. E� ormai innega-
bile, asserisce, che ciascun individuo sia un essere
unico e irripetibile, ce lo dice la genetica e le scienze
comportamentali, tuttavia ciascuno di noi può render-
sene conto di persona se, come naturalista dilettante,
compie osservazioni accurate per un lungo periodo a
stretto contatto con i singoli organismi viventi. Man
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mano che approfondiamo la conoscenza aumenta in
noi la sensibilità verso il loro mondo e veniamo
coinvolti da ciò che accade loro nel bene e nel male.
Ogni organismo diventa qualcosa di unico ed insosti-
tuibile. Se ci sforzassimo a lavorare in questa direzione,
alla fine saremmo in grado di avere una genuina
comprensione del modo in cui ogni singolo organismo
percepisce il mondo esterno. Comprenderemmo la
particolarità degli organismi di essere centri teleologici
di vita che lottano per preservare se stessi e realizzare
il proprio bene nel loro modo unico. Attenzione però
a non cadere nell�errore di antropomorfizzarli, cioè di
vederli e considerarli dal nostro punto di vista. �Non
dobbiamo, per esempio, considerarli come se avessero
una coscienza. Alcuni di loro possono essere consape-
voli del mondo esterno ed altri possono non esserlo.
[...] Ma coscienti o no sono tutti ugualmente centri
teleologici di vita nel senso che ognuno è un sistema
unificato di attività orientate ad un fine diretto verso la
sua preservazione e il suo benestare.� (5)
L�ultimo punto della prospettiva biocentrica della na-
tura, la negazione della superiorità umana, trova rispo-
sta direttamente dai primi tre punti. Se ci chiediamo:
�In che modo ci riteniamo superiori?�, oppure, �Fac-
ciamo cose che altri non fanno?� possiamo rispondere
con certezza che ogni singolo essere, ogni gruppo di
esseri, ha il suo proprio modo di vivere e, per quel che
lo riguarda, fa cose che altri individui, o altri gruppi,
non fanno. Gli organismi odierni, per il solo fatto di
trovarsi sulla Terra, dimostrano di essere adattati ad
occupare il posto che occupano. Noi, forse, potremmo
vantarci di avere qualità che non si trovano fra i
membri delle altre specie, ad esempio abbiamo creati-
vità estetica, libertà morale, autodeterminazione, tutta-
via queste qualità hanno un valore solo per noi uomini.
A ben vedere, tutte le ragioni per cui ci riteniamo
superiori partono dalla nostra prospettiva. Noi esseri
umani possiamo giudicare se un nostro simile è miglio-
re di un altro sotto un determinato profilo, ad esempio
un bravo falegname sa lavorare il legno meglio di un
bravo scrittore, tuttavia queste regole valgono per noi,
per come viviamo. Tutte le nostre considerazioni
nascono dal nostro punto di vista. Ricordo personal-
mente della scherzosa disputa fra zoologi e botanici. I
primi sostengono che gli animali sono superiori alle
piante in quanto si spostano qua e là, i secondi ribatto-
no che sono le piante ad essere più evolute degli
animali perché non hanno bisogno di muoversi: sfrut-
tano i raggi del sole per sintetizzare le sostanze di cui
hanno bisogno. E� chiaro quanto sia goliardico questo
dibattito. Ogni organismo fa bene, a volte ottimamen-
te, il compito che è andato via via imparando durante
la sua evoluzione.
Noi esseri umani, sostiene Taylor, diciamo di essere
superiori agli altri organismi in quanto unici agenti
morali, ma si tratta di confusione concettuale. Gli
standard morali non sono concettualmente applicabili
agli esseri che mancano di tale capacità. Riguardo, poi,
il nostro maggiore valore inerente, Taylor ricorda che
molte società umane sono ancora divise in caste. Se la
nostra società occidentale è arrivata a negare le diffe-
renze fra gli uomini in quanto non esistono prove
scientifiche a sostegno, perché allora continuiamo a
voler discriminare gli altri organismi quando la nostra
base biologica, il DNA, è la stessa? Certo, sono diversi
i geni. E allora? Per quale ragione, dice Taylor, un
diverso arrangiamento genetico dovrebbe essere un
marchio di valore superiore? In definitiva, in mancan-
za di qualsiasi buona ragione per rivendicarla, la
superiorità umana può apparire semplicemente l�espres-
sione irrazionale di un pregiudizio che favorisce una
specie su milioni di altre. D�altro canto rifiutare la
superiorità umana permette di evidenziare la sua con-
troparte positiva: la dottrina dell�imparzialità delle
specie che apre la porta all�etica del rispetto.
Ecco allora che il discorso di Taylor si sposta sull�atteg-
giamento morale supremo e si chiede: cosa cambia in
noi se decidiamo di abbracciare l�etica del rispetto? La
risposta viene da dentro. Innanzitutto si riordina pro-
fondamente il nostro universo morale e, così facendo,
cambia il nostro atteggiamento nei confronti della
natura. Il nostro punto di vista umano diventa secon-
dario e lascia spazio al nostro agire per il bene della
natura. La realizzazione dei singoli organismi viventi,
spiega Taylor, consiste nel raggiungimento del pieno
sviluppo delle loro potenzialità biologiche. Se il loro
bene viene raggiunto dalla pienezza della forza e della
salute, il nostro agire deve favorire queste potenzialità.
Deve permettere che ciascun individuo si adatti con
successo all�ambiente e realizzi la sua esistenza com-
piendo i normali stadi del ciclo di vita suo e della sua
specie. Allo stesso modo il nostro agire deve favorire
il bene di una popolazione o di una comunità agevolan-
do il mantenimento del gruppo come sistema coerente
(geneticamente ed ecologicamente) cioè come organi-smi in relazione fra loro. Inoltre il bene deve essere fine
a se stesso, deve essere indipendente da qualsiasi
principio di utilità o di interesse. Noi sappiamo di poter
agire per il bene o contro il bene di un individuo e
questo deve essere sufficiente per indirizzare il nostro
comportamento. Il fatto che agiamo per il suo bene, e
non contro il suo bene, deve essere indipendente dalla
sua consapevolezza, dal suo interesse e dalla sua
sensibilità nei confronti del dolore. A Frankena che
chiede: �che importanza ha lo strappare una foglia da
un albero, tanto non se ne �accorge�?� (6) Taylor
potrebbe rispondere che gli alberi, anche se privi di
desideri o sentimenti, possono essere danneggiati o
favoriti e noi dobbiamo tendere al loro bene. Nel senso
che abbiamo degli obblighi morali prima facie nei loro
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confronti in quanto membri della comunità biotica
della Terra e siamo legati loro moralmente in quanto
concorrono a mantenere vivi ed integri gli ecosistemi.
Noi abbiamo il dovere morale di promuovere il �bene
per il loro bene� aiutandoli a realizzare e mantenere
�una sana esistenza in uno stato naturale�.
Riguardo le norme morali l�etica del rispetto non
sostiene i diritti delle piante, degli animali, delle comu-
nità o delle popolazioni, anche se non li esclude,
tuttavia ottiene, secondo Taylor, molti degli stessi
obiettivi. Naturalmente non propone soluzioni nelle
rivendicazioni in conflitto. Ovverosia non tratta di
come si risolvano le eventuali dispute che possono
sorgere dal nostro rispetto per le persone (nel dominio
dell�etica umana) e dal nostro rispetto per la natura (nel
dominio dell�etica ambientale), tuttavia questo non
rientra fra i suoi scopi. Taylor vuole solo dimostrare
come sia sbagliato partire da un presupposto antropo-
centrico e come, al contrario, si debbano considerare
gli organismi viventi affinché siano ritenuti entità che
possiedono un valore inerente: gli oggetti appropriati
dell�atteggiamento del rispetto.
L�etica della terra
Dopo aver passato in rassegna le etiche individualisti-
che pure di Singer e Regan e le etiche che prendono in
considerazione il singolo individuo per poi allargarsi
ad abbracciare anche gli insiemi, descritte da Goodpa-
ster e Taylor, diamo uno sguardo alle etiche olistiche.
Come si ricorderà il nuovo corso dell�etica olistica
prese l�avvio negli anni 1940 con l�etica della terra di
Aldo Leopold, di cui abbiamo già parlato. L�etica della
terra trova oggi un grande sostenitore nel filosofo e
teologo John Baird Callicott, che ama definirla �olisti-
ca per davvero� (7). Nel portare avanti il pensiero di
Leopold, Callicott difende l�etica della terra da chi la
attacca su più fronti descrivendola una �pericolosa
assurdità� e da chi, più bonariamente, la snobba con-
siderandola �una nobile, ma ingenua, supplica morale
carente, nel complesso, del sostegno di struttura teori-
ca� (8). Abbiamo già avuto modo di notare come, in
effetti, lo stile semplice degli scritti di Leopold, som-
mati alla mancanza di una sua scolarità filosofica, ha
portato alcuni pensatori a definirla superficiale. Calli-
cott, al contrario, la elogia definendola un�etica deon-
tologica (orientata al dovere) piuttosto che prudenziale
(dettata dall�opportunità di cautelarsi) e ne definisce i
fondamenti logici con queste sontuose parole: �I suoi
elementi concettuali sono una cosmologia copernica-
na, una storia naturale protosociobiologica darwiniana
dell�etica, i legami darwiniani di parentela tra tutte le
forme di vita sulla Terra e un modello eltoniano della
struttura della biocenosi, tutto coperto di una psicolo-
gia morale humeana-smithsoniana� (9). Alcuni fatti
innegabili sono, secondo Callicott, la prova inconfuta-
bile che l�etica della terra sia l�unica etica possibile. Se
da una parte le scienze ecologiche ci confermano che
l�ambiente naturale è costituito da una comunità, la
così detta comunità biotica, non si può negare che la
selezione naturale ci abbia dotato della capacità di
percepire l�identità dei membri della comunità ecologi-
ca e di riconoscere gli stretti legami di parentela che
intercorrono fra loro. Ciò significa che la selezione
naturale ci ha dotato di una intima responsabilità
morale che ci obbliga ad elaborare delle norme com-
portamentali per arginare il nostro potere di distruzio-
ne nei confronti dell�integrità, della diversità e della
stabilità ambientale. Ma queste norme devono derivare
dalla considerazione che le relazioni ecologiche sono le
artefici della natura degli organismi e non il contrario.
E� l�intero, il sistema in sé, che modella e forma,
letteralmente e direttamente, le sue parti componenti.
Da questo ne deriva che il �diritto di vita� per i singoli
membri non è coerente con la struttura della comunità
biotica e quindi non può essere incluso dall�etica della
terra. L�individualismo non può essere contemplato e
la considerazione etica del singolo deriva unicamente
dal fatto che ciascun individuo ha un valore in quanto
è una parte della comunità.
L�etica del valore di Holmes Rolston III
Nel suo articolo Challenges in Environmetal Ethics (10) Hol-
mes Rolston III analizza approfonditamente i singoli
organismi, le specie e gli ecosistemi per giungere ad
enunciare la sua etica olistica che lui stesso definisce
etica del valore. Tracciamo il percorso del suo ragiona-
mento. Innanzitutto Rolston ribadisce con forza la
necessità di elaborare dei concetti etici nei confronti
della natura. Se fino alla metà del XX secolo l�uomo era
ritenuto il solo soggetto e il solo oggetto dell�etica in
quanto si pensava che la morale non avesse niente a che
vedere con la natura, oggi la visuale si è notevolmente
allargata. Per quale ragione, ci si chiede, la coscienza
deve essere la discriminante per negare alle altre forme
di vita una considerazione morale? Sappiamo bene che
l�uomo è l�unico soggetto etico in quanto il solo in
grado di darsi delle norme comportamentali, tuttavia
non si vede il motivo per il quale si debba limitare a
considerare moralmente solo la sua sfera. L�uomo è
l�unico misuratore delle cose ma non può essere la sola
misura, dice Rolston. E� bene, quindi, analizzare i
probabili oggetti etici e valutare, uno per uno, i motivi
della considerazione morale.
L�etica del valore ha bisogno di una attenta analisi del
mondo naturale e dei suoi abitanti. Rolston inizia dagli
animali superiori (11). Una volta, dice, gli animali
superiori erano considerati alla stregua di macchine. Si
credeva fossero incapaci di pensare e rispondessero
agli stimoli esterni in modo automatico, stereotipato.
Proprio perché carenti di una mente essi non godevano
di alcun rispetto etico. Oggi la situazione è decisamen-
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te cambiata. La biologia evoluzionistica li ha riscattati
avvicinandoli all�uomo. Così sappiamo che gli animali
selvaggi difendono la propria vita perché hanno un
proprio bene. Infatti cacciano e si riparano, si prendo-
no cura della prole, fuggono dalle minacce, si stancano,
si eccitano, dormono, si accoppiano e, come diceva
Jeremy Bentham, soffrono. Il compiere azioni di que-
sto tipo non è, però, una questione rilevante, afferma
Rolston. Molto più lo sarebbe se fossero in grado di
parlare o di ragionare, insomma mettessero in atto
qualcosa che indicasse capacità culturali. Il fatto che
soffrano o si comportino in un modo che spesso
assomiglia a quello umano non ci autorizza a conside-
rarli umani. Trattarli in modo naturale (per quello che
sono) e avere rispetto per loro non significa trattarli da
uomini. Non bisogna farli soffrire, questo è vero,
tuttavia il rispetto compassionevole è solo una parte
dell�analisi. Considerare le pecore e i coguari come
fossero uomini, scrive, vorrebbe dire elevarli in modo
innaturale, come fossimo incapaci di valutarli per
quello che sono. L�etica, a riguardo, si deve uniformare
a questa evidenza. Così la nostra morale deve seguire
la natura. Trattare gli animali comeuomini è franca-
mente eccessivo, dice Rolston, è andare contro natura.
Il filosofo analizza poi gli altri organismi. Non si può
negare, afferma, che l�uccidere un mammifero provo-
chi dei risentimenti nell�animo umano, tuttavia ciò non
accade per le piante. Perché? Sembra quasi che in
mancanza di sensibilità al dolore l�etica non abbia
significato. Se nessuno ha pensato di istituire società
umanitarie a difesa delle sole piante o per gli insetti è
forse perché sentiamo in cuor nostro che il rispetto per
la vita si ferma ad un certo livello nella scala gerarchica
della zoologia. E� innegabile: un gattino provoca tene-
rezza mentre un ragno o uno scarafaggio incute timore
e disgusto. Comunque, si deve senz�altro andare alla
ricerca di un�etica più obiettiva lasciando da parte le
nostre pulsioni. Infatti molti di noi ritengono giusto e
doveroso rispettare la vita in sé, a chiunque essa
appartenga: insetto, mammifero o pianta. Per esempio
preferirebbero leggere un cartello del tipo �lasciate
vivere i fiori� piuttosto che �lasciate stare i fiori
affinché altri ne possano godere�. E� questione di dare
un valore alla vita in sé piuttosto che considerarla un
bene strumentale al servizio dell�uomo. Tuttavia, no-
nostante la nostra sensibilità, è piuttosto bizzarro
credere che le piante abbiano bisogno della nostra
benevolenza, oppure che dovremmo considerare il
loro punto di vista, quando esse stesse non curano i
propri interessi. Se gli alberi e i fiori non hanno cura di
loro stessi, si chiede il filosofo, perché dovremmo
averne noi?
La domanda è lecita, tuttavia si rivela carente di analisi.
Il ragionamento etico non può fermarsi ad un livello
così superficiale, continua Rolston. Sicuramente un
organismo è un sistema spontaneo che si auto-mantie-
ne, che si riproduce, che esegue un programma. Al suo
interno esiste un�informazione che sovraintende le
cause e senza la quale non sarebbe altro che un
mucchietto di terra. Questa informazione, contenuta
nella sequenza di basi del DNA, dà all�organismo un
telos, un fine, uno scopo del quale l�organismo non ha
sentore. Il DNA, la molecola di cui sono composti i
geni, è un set logico. Rolston lo definisce un set proposizio-
nale, usando un termine che richiama provocatoria-
mente il modo in cui propositum, in latino, significa
asserzione, compito, tema, piano, progetto, frase co-
gnitiva. Ma il DNA è anche un set motivazionale, nel
senso che non si limita all�asserzione ma rende possi-
bile, anzi guida, il movimento, la vita dell�organismo,
trasformando il genotipo potenziale nell�espressione
fenotipica. Il DNA �trae vantaggio� dal suo ambiente
così la vita può sorgere dalla roccia e tornare ad essa per
diventare, di nuovo, risorsa per un�altra vita. Ed anco-
ra, il DNA è un set normativo che distingue tra quello che
è e quello che dovrebbe essere. Insomma il DNA, nel
suo complesso, rende l�organismo un sistema assiolo-
gico, valutativo. La quercia cresce, si riproduce, guari-
sce le sue ferite e resiste alla morte. Il �valore�, dice
Rolston, è presente nei suoi obiettivi. La conclusione
che se ne trae è innegabile: il valore non è antropoge-
nico, bensì biogenico e non c�è nessun motivo per
escludere gli organismi dalla considerazione morale.
Ancora una volta Rolston ritiene riduttivo fermare
l�analisi a questo punto. Infatti il singolo individuo,
pensato come soggetto solitario in un mondo inorga-
nico, non potrebbe vivere. Non avrebbe nessun valore
senza ciò che gli sta attorno e col quale si rapporta.
Dobbiamo considerare l�individuo adattato entro un ecosi-
stema. Dice Rolston: solo con una visione più ampia il
singolo, preso come �punto di esperienza� nella rete di
interconnessione tra i viventi, acquista un valore intrin-
seco per sé, promuove la propria realizzazione e al
tempo stesso modifica l�ambiente attraverso la sua
tecnica, il suo know-how.
E� logico, quindi, affrontare l�analisi dal punto di vista
dell�ecosistema. Prima di fare ciò è però bene soffer-
marsi a considerare la specie come oggetto morale. La
specie, ce lo dicono i biologi, è il raggruppamento base
su cui poggia la tassonomia (la classificazione degli
esseri viventi). Nella sua formulazione più semplice il
�concetto biologico di specie� recita che due organi-
smi sono della stessa specie se, incrociandosi, genera-
no individui fecondi. L�esempio classico riguarda il
cavallo e l�asino che appartengono a due specie distinte
perché dal loro incrocio nascono individui sterili: muli
e bardotti. Tuttavia i biologi sanno anche quanto sia
difficile valutare l�appartenenza alla stessa specie di
due gruppi simili. Il confine genetico è spesso più labile
di quanto si pensi. Tra animali superiori le divisioni
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sono abbastanza nette (ma non sempre), fra gruppi di
animali inferiori e soprattutto fra gruppi di piante -che
possono ibridarsi ed incrociarsi liberamente- i confini
sono più sfumati, a volte impossibili da valutare ogget-
tivamente. Chi conosce un po� l�ambiente dei sistema-
tici sa delle accese dispute che nascono fra i sostenitori
di questo o di quel tipo di raggruppamento. Per fortuna
la nostra analisi morale non risente di questo fatto
contingente. Anche se in taluni casi la divisione in
specie è arbitraria, e comunque non si presenta come
qualcosa di fisso ed immutabile nel tempo, si sa con
certezza che in un ecosistema in evoluzione il semplice
individuo conta poco. E� il gruppo, la popolazione, la
specie che determina il futuro dei singoli. Una specie
esiste, afferma Rolston, deve esistere! E� anche vero
che una specie non ha sé, non ha nulla di analogo al
sistema nervoso o all�apparato circolatorio degli esseri
viventi. Ma questo, nell�ottica della morale, non è la
sola cosa che conta. Infatti i processi che abbiamo visto
appartenere al singolo riappaiono nella specie. Se
consideriamo ad esempio il difendere la vita, resistere
alla morte o rigenerarsi, scopriamo che il set genetico
di una specie abbraccia un telos ampio, più ampio di
quello di un individuo. E questo perché una specie
contiene tutte le variabili genetiche degli individui che
la compongono e che permette la sopravvivenza stessa
della specie nel tempo. Più ampia è la variabilità
genetica di una specie e più facilmente la specie
supererà i momenti difficili. Supponiamo, ad esempio,
che un gruppo di individui popolino un ambiente mite
e che, per una qualsiasi ragione climatica, geologica o
altro, la temperatura cambi improvvisamente diven-
tando rigida. Molti individui moriranno non posseden-
do quel gene che permette loro di mantenere il calore
con più efficienza, ma la specie continuerà ad esistere
perché ci saranno degli individui che hanno quel gene
e che sopravviveranno riproducendosi anche in condi-
zioni climatiche avverse. La specie, in sintesi, contiene
una miriade di geni che si sono andati evolvendo nel
tempo, che sono stati selezionati e conservati. Un
individuo non potrà mai contenere tutte le variabili
genetiche che ha la sua specie. Uno stesso individuo ha,
solitamente, due varianti (un gene proviene dal padre
e uno dalla madre). Una specie, invece, ne contiene
tante. Un gene non adatto oggi può rimanere latente in
un piccolo numero di individui per poi venire fuori al
momento giusto. E� per questa ragione che le specie
con poche centinaia di esemplari sono destinate al-
l�estinzione. I ripetuti incroci fra individui sempre più
imparentati causano la perdita dei geni meno rappre-
sentati e la specie si indebolisce sempre più.
C�erano dei collezionisti senza scrupoli, racconta
Rolston, che nelle hummocks africane catturavano far-
falle e poi bruciavano la regione per distruggere gli
esemplari rimasti e mandare alle stelle il valore dei
campioni raccolti. Questo è un fatto gravissimo e
forse, continua Rolston, non è neppure lecito costruire
una diga che minaccia l�estinzione di farfalle e gru,
anche se serve agli esseri umani che utilizzano l�acqua
per iloro bisogni. Determinare l�estinzione di una
specie è ben più di un�uccisione multipla, è un super-
omicidio. Dopo un�estinzione niente di quel tipo potrà
vivere e morire. L�estinzione è un blocco del flusso
vitale; è l�evento più distruttivo in assoluto. Così, se la
specie ha un�integrità e un �diritto di vita� che sono
molto più importanti dell�integrità e della vitalità del
singolo, allora, per salvaguardare il suo bene, diventa
lecito anche uccidere qualche esemplare.
Ma c�è qualcosa di ancora più grande della specie e che
ha più valore: l�ecosistema. Ad un�analisi superficiale,
racconta Rolston, gli ecosistemi possono sembrare
niente più di una raccolta di processi casuali. Una
foresta può sembrare un�accozzaglia di alberi, erbe,
cespugli e animali che condividono un territorio. Nel
suo ambiente ogni soggetto trova quello che gli serve
per vivere (mangia, dorme, si ripara ecc.), ha rapporti
con gli altri (si accoppia, caccia o è cacciato, bruca o è
brucato) e utilizza risorse inorganiche (acqua, aria,
terra), ma tutto sembra finire qui. Le relazioni fra i
componenti di una foresta sembrano casuali, senza
criterio. Eppure non è così. Gli ecosistemi generano e
supportano la vita, tengono alta la pressione selettiva,
offrono infinite possibilità di adattamento, determina-
no l�evolversi dei tipi giusti. Gli ecosistemi sono
comunità di vita, sono unità di sopravvivenza, sono
luoghi dove si intrecciano i destini di migliaia di esseri
viventi. Già prima dello sviluppo della ecologia, affer-
ma Rolston, i biologi conclusero che la definizione
�lotta per la sopravvivenza del più adatto� era troppo
grossolana. Nella realtà esiste una co-azione nell�adat-
tamento, piuttosto che una competizione. Preda e
predatore, parassita e ospite, brucatore e brucato sono
forze contendenti in processi dinamici dove il benes-
sere di ognuno è legato a quello di ogni altro. Certo, le
connessioni fra i viventi sono meno forti di quelle fra
gli organi interni di un organismo, ma non sono meno
importanti. Se a differenza degli animali superiori gli
ecosistemi non hanno esperienza, a differenza delle
piante non hanno genoma, a differenza della specie
non hanno telos, non per questo gli ecosistemi sono
meno reali. Si dice, afferma Rolston, che solo gli
organismi sono veri perché un livello di organizzazio-
ne è reale quando modella il comportamento del livello
sottostante. La cellula è reale perché determina il
destino degli aminoacidi (i componenti delle proteine)
e l�organismo è reale perché coordina il movimento di
cuore e polmoni. Ma se è vero questo anche la comu-
nità biotica è vera, perché la nicchia (cioè il posto e il
ruolo di una specie nell�ecosistema) modella la morfo-
logia degli individui all�interno dell�ecosistema stesso.
47
Ogni cosa è connessa alle altre. Qualche volta le
associazioni sono obbligate, più spesso le dipendenze
sono parziali e duttili, altre volte non sono significati-
ve. Non si deve cercare un singolo centro o un singolo
programma in un ecosistema, si devono cercare matri-
ci, interconnessioni fra centri (singole piante ed anima-
li, linee dinamiche di speciazioni), stimoli creativi,
potenziali aperti. A ben vedere l�esterno è vitale quanto
l�interno e gli ecosistemi sono sistemi selettivi così
come lo sono gli organismi. Sebbene non siano super-
organismi come in tanti vogliono far credere, gli
ecosistemi sono comunque una sorta di campo vitale.
Un campo vitale dotato di un proprio valore, un
�valore sistemico�. Così come esiste il �valore intrin-
seco� (per definire il valore in sé) e il �valore strumen-
tale� (quando il valore viene dato in base a un determi-
nato fine) si può parlare di �valore sistemico� per
precisare che, seppur non depositari di valore, gli
ecosistemi sono produttori di valori e, in quanto tali,
abbiamo doveri morali nei loro confronti.
Ecco il punto, conclude Rolston. Quando incontriamo
un sistema che progetta e protegge i suoi membri,
nascono dei doveri. Perché, se da un lato è vero che gli
uomini sono abbastanza importanti per godere di
diritti e prosperare, dall�altro è anche vero che non
sono così importanti da degradare e distruggere gli
ecosistemi a loro piacimento, almeno senza avere le
prove schiaccianti che non ci sia una contropartita
culturale preponderante.
Quale deve essere, allora, il nostro comportamento nei
confronti della natura? Secondo Rolston, per risponde-
re a questa domanda abbiamo bisogno di capire innan-
zitutto come il valore è distribuito nella natura, poi di
un�etica che rispetti questo valore. Questa �etica del
valore� si deve basare sui fatti reali, dice Rolston, in
quanto �Il modo in cui è informa il modo in cui deve
essere� (12). E� vero che gli obblighi etici prescindono
da ciò che la scienza ci dice sul mondo, tuttavia la
scienza non può che esserne il fondamento. �Il nostro
modello di realtà implica un modello di condotta�.
Ovviamente dobbiamo fare una scelta: un modello che
considera la natura come un valore solo per l�uomo
implica una condotta differente da uno nel quale la
natura proietta i suoi valori. Per Rolston la scelta
biocentrica è quella giusta. Intendiamoci, nessuna
ricerca potrà mai verificare che, dal punto di vista
ambientale, il giusto sta nella comunità biologica al-
l�equilibrio e non altrove. E neppure la descrizione
ecologica potrà mai approvare la giustezza del sistema.
Tuttavia se lasciamo che la scienza entri nel dominio
della valutazione e da ciò ne facciamo seguire un�etica,
risulta chiaro che, sempre secondo Rolston, la teoria
che dà agli insiemi un maggior valore ha solide basi per
essere accettata. L�etica del valore è quindi biocentrica
ed olistica.
Per Rolston la frase ben nota: �non c�è valore senza
qualcuno che valuta� non è ingiusta, ma è parziale. Gli
uomini valutano chiaramente il loro mondo e così
fanno, forse, gli animali senzienti. Le piante non lo
fanno, non hanno facoltà di scelta e non fanno scelte,
così come non lo fanno le specie, gli ecosistemi, la
Terra e la natura tutta. Generalmente si pensa che i
valori, le stime, come potrebbero essere il solletico o il
rimorso, devono essere sentiti per esserci. Oppure si
dice che il valore non sentito è un nonsenso; non ci
sono pensieri senza pensatori, percezioni senza perci-
pienti, bisogni senza agenti, bersagli senza scopi. In-
somma molti credono che il valore non sia esistito fino
alla comparsa degli uomini, ma da quanto discusso fin
qui risulta ovvio come questa visione antropocentrica
sia ristretta. Coloro i quali rispettano la vita in sé
sentono il bisogno di una etica più conforme all�ordine
naturale che l�ecologia mette in evidenza. La valutazio-
ne umana è un processo che la natura ha selezionato,
tuttavia la vitalità del sistema è reale, non è qualcosa
che funziona nella mente umana e basta. La natura è
valutabile sia con, che senza, l�essere umano. Il valore
richiede solo qualcuno che lo detiene e quindi esisteva
ancor prima che arrivassero gli uomini a valutare.
Sicuramente esiste un valore antropogenico, cioè un
valore generato dagli uomini, ma esiste anche un valore
biogenico. E questo valore è dato dall�intero continuum
dei viventi. Il sistema naturale stesso è in grado di
valutare e la valutazione umana è un suo prodotto.
Se partiamo da queste basi, argomenta Rolston, la
morale risulta più obiettiva. Non si tratta di considerare
eticamente i soli individui senzienti. Cosa sia �giusto�
del mondo biologico non è la produzione di piacere o
dolore. Quello che è giusto comprende la struttura
ecosistemica, gli organismi negli ambienti che li hanno
selezionati e che li sostengono. Il valore, tutto il valore,
è generato dentro la comunità geosistemica ed ecosi-
stemica. Il valore sfuma lentamente passando dal
valore soggettivo a quello obiettivo e si apre a ventaglio
dall�individuo al suo ruolo e alla sua matrice. Le nature
dei singoli esseri non sono separate semplicemente
dentro e perse stesse, ma si affacciano all�esterno e si
coadattano entro nature più ampie. Il �valore-in-sé� si
allarga dal semplice organismo per diventare �valore-
nell�insieme�. Il valore intrinseco del singolo, quello di
un individuo �per quello che è esso stesso�, diventa
problematico in una rete olistica. Il valore intrinseco è
una parte in un tutto che non può essere frammentato
valutandolo isolatamente. Un telos isolato è biologica-
mente impossibile. Ogni cosa è buona in un ruolo, in
un intero. Così si esprime Rolston: �Il sistema è un
trasformatore di valore dove forma ed essere, processo
e realtà, fatto e valore sono legati indissolubilmente. I
valori intrinseco e strumentale fanno la spola avanti e
indietro, parti-negli-interi e interi-nelle-parti, dettagli
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locali di valore inclusi in strutture globali, gemme nella
loro incastonatura: una corporazione dove il valore
non può rimanere da solo. Ogni bene è nella comuni-
tà.� (13)
L�antropocentrismo arroga agli uomini ciò che permea
la comunità. Mentre è il sistema che crea vita, che
seleziona per adattamento, che costruisce vita sempre
più ricca in qualità e quantità, che supporta miriadi di
specie, aumenta l�individualità, la autonomia ed anche
la soggettività. Il �valore sistemico�, in definitiva, è
ben più grande del �valore intrinseco� che appartiene
al singolo individuo, ed un�etica del valore ne tiene
giustamente conto.
Con l�etica del valore di Rolston abbiamo concluso la
rassegna delle idee filosofiche ambientali che, nello
schema proposto nel primo articolo, venivano definite
sotto i termini antropocentrico e biocentrico. La pros-
sima volta affronteremo gli argomenti dell�ecologia
profonda (deep ecology).
Piergiacomo Pagano
Note
(1) K. E. Goodpaster On Being Morally Considerable reprinted
in Zimmerman M.E. et al. edts. ENVIRONMENTAL PHILO-
SOPHY, Prentice Hall, 1998 p.56-70
(2) Si veda lo scorso articolo Filosofia ambientale: antropo-
centrismo debole ed etica animale NATURALMENTE a. 14 n.
4 dic. 2001
(3) Idem
(4) P. W. Taylor The Ethics of Respect for Nature reprinted in
Zimmerman M.E. et al. edts. ENVIRONMENTAL PHILOSOPHY
Prentice Hall, 1998 p.71-86
(5) Ivi, p.78
(6) W. K. Frankena Ethics and Environment in: Goodpaster
K.E. and Sayer K.M. (edts) ETHICS AND PROBLEMS OF THE
21ST CENTURY, Notre Dame, Ind., 1979, p.11
(7) J. B. Callicott The Conceptual Foundations of the Land Ethic
reprinted in Zimmerman M. E. et al. edts. ENVIRONMENTAL
PHILOSOPHY, Prentice Hall, 1998 p.109
(8) Ivi, p.102
(9) Ivi, p.108
(10) Holmes Rolston III Challenges in Environmetal Ethics
reprinted in Zimmerman M.E. et al. edts. ENVIRONMENTAL
PHILOSOPHY, Prentice Hall, 1998 p.124-144
(11) già chiamarli superiori implica una classificazione,
comunque per superiori generalmente si intendono uccelli
e mammiferi
(12) Holmes Rolston III Challenges in Environmetal Ethics cit.,
p.143
(13) Ibid.
	sommario febbraio 2002
	Quanto sono nuovi i “nuovi”
	Discipline e unitarietà della scienza
	Discussione sulle basi
	Un affascinante cattivo maestro
	La candela
	Gazebo (XIII)
	L’evoluzione per selezione naturale e
	Filosofia ambientale 
	Raccontare la matematica
	La valutazione
	Progettazione per moduli:
	Anodi negativi, catodi positivi?
	Tutti, prima di essere grandi, siamo
	Il verziere di Melusina (palma)
	Birdwatching (ballerina)
	L’angolo del morbido (problemi della prof.)
	Le belle notizie
	Recensioni
	Tyler Volk
	Eugenio Del Toma
	Simon Winchester
	La rif erma
	Appello dei Docenti delle Discipline scientifiche

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