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41 Filosofia ambientale Biocentrismo individuale e olistico PIERGIACOMO PAGANO Introduzione Già nello scorso articolo avevamo iniziato a passare in rassegna le correnti filosofiche ambientali attraverso gli scritti di alcuni dei più noti pensatori contempora- nei. Come si ricorderà una prima suddivisione delle etiche ambientali vede il contrapporsi di una posizione antropocentrica e di una biocentrica. La prima è ul- teriormente suddivisa in un antropocentrismo forte che vede l�uomo padrone assoluto della natura e un antropocentrismo debole, versione più illuminata, dove l�uomo si riconosce come il buon amministratore, il buon sovrano dei suoi sudditi animali e vegetali. Sull�antropocentrismo forte non ci eravamo dilungati sia perché si sintetizza facilmente raggruppando tutte quelle posizioni estreme che pongono l�uomo come dittatore nei confronti della natura, sia perché è anacro- nistica. Della visione antropocentrica debole abbiamo riferito seguendo il pensiero del filosofo australiano John Passmore. La volta scorsa abbiamo anche visto come la posizione antropocentrica viene criticata da coloro i quali pensa- no all�uomo come ad un semplice componente della natura, un elemento fra i tanti. Le loro posizioni vengono generalmente raggruppate sotto l�etichetta di biocentrismo anche se sono estremamente varie e possono differire per concetti fondamentali. Così le etiche biocentriche individuali si distanziano in vari modi dalle etiche biocentriche olistiche. Delle prime abbiamo già visto l�etica animale di Peter Singer e i diritti animali di Tom Regan. Ora continuiamo introducendo il principio di vita di Kenneth E. Goodpaster e il rispetto per la natura di Paul W. Taylor. Entrambe queste concezioni si possono definire individualistiche ma tendono ad allargare la loro visione fino ad includere le specie e gli ecosistemi cercando così di tendere la mano ad un�etica più olistica. Come abbiamo più volte ricordato, alcuni autori riten- gono l�etica biocentrica individualistica non praticabile sul piano giuridico e difficile da governare nel concreto quando si tratta di gestire un territorio o salvaguardare le specie in pericolo di estinzione. Di queste visioni olistiche presentiamo qui l�etica della terra di Aldo Leopold e di John Baird Callicott, nonché una versione più elaborata, denominanta etica del valore, di Holmes Rolston III. Per il momento ci fermiamo qui, nel 5° articolo concluderemo la rassegna delle filosofie am- bientali contemporanee raccontando della Deep Ecology. Il principio di vita di Kenneth E. Goodpaster Un approccio individualistico che non esclude l�allar- gamento alle specie, agli habitat e agli ecosistemi è stato elaborato dal filosofo americano Kenneth E. Goodpa- ster. La questione morale, secondo Goodpaster deve andare oltre l�antropocentrismo per una ragione molto semplice: è assolutamente deplorevole e acritico con- siderare una certa azione che coinvolge l�ambiente sulle sole basi della soddisfazione umana (1). In altre parole utilizzare l�ambiente come un banale bene strumentale è limitante e spregevole. E� un po� come decidere la politica estera di uno Stato limitandosi a fare l�interesse nazionale e fregandosene liberamente del contesto sociale, economico, oltre che politico, del resto del mondo. Per Goodpaster la dignità umana obbliga a spingersi oltre. E non basta allargare la sfera etica ai soli esseri coscienti come ha fatto Feinberg col suo principio di interesse (2). Già la suddivisione tra organismi degni e organismi indegni di considerazione morale è una palese discriminazione. Anzi, secondo Goodpaster, proprio su questo punto Feinberg si tradisce quando afferma che le piante non sono semplici oggetti ma cose vive. Di fronte alla loro tendenza a conservarsi e a guarire è difficile rifiutare l�idea che gli alberi non abbiano interesse a rimanere vivi. In questo ha ragione Christopher D. Stone quando sostiene che il suo prato gli dà chiare indicazioni su ciò che vuole (3). Insomma, né la razionalità e neppure la capacità di esperire piacere o sentire dolore sono confini convin- centi. E se appare chiaro ciò che è bene e ciò che è male per un organismo allora non vi sono ragioni sufficienti per escluderlo dall�etica. L�unico criterio plausibile e meno arbitrario è l�essere vivi. Su questo Goodpaster non teme obiezioni: la sacralità della vita è un argomento forte e chiaro. Inoltre il suo messaggio: �non ha senso porre dei confini etici quan- do, sulla Terra, tutti gli organismi sono imparentati fra loro� ha il grande pregio di sostenere filosoficamente il sapere ecologico. Ma se da un lato il discorso di Goodpaster si erge a emblema nella lotta contro gli ideologismi discriminanti dall�altro, proprio per il ca- rattere di grande respiro che assume, rimane troppo utopistico. Venendo al sodo Goodpaster non fornisce gli elementi necessari allo sviluppo di atti legislativi concreti. D�altra parte non erano queste le intenzioni del filosofo che si basa su un approccio morbido per 42 fare breccia sul �buon senso� della gente, per scalfire le certezze di coloro i quali vedono la natura come estranea. Non è un caso, infatti, che Goodpaster utilizzi il termine considerabilità morale ed escluda per scelta cosciente la parola diritti. Ma c�è un ulteriore aspetto che non va sottovalutato. L�allargamento della considerabilità morale a tutti gli esseri, in quanto vivi, ha l�innegabile vantaggio di proporre un punto di incontro fra biocentrismo indivi- dualista e olista. Se si riesce a dimostrare che un gruppo (come potrebbe essere una specie, un habitat, o un ecosistema) è un�entità definibile come viva, allora non v�è più alcun motivo per escluderlo dalla comunità morale. Il rispetto per la natura di Paul W. Taylor Nella disputa tra �individualisti� e �olisti� Paul W. Taylor si schiera dalla parte dei primi, tuttavia crede sia necessario dare una rispettabilità morale anche ai gruppi di organismi. L�apparente incongruenza dei due approcci, sostiene, nasce dal fatto che se si riconosco- no come degni di considerabilità morale solo gli insie- mi (specie, habitat, ecosistemi) si può essere accusati di fascismo ambientale in quanto sarebbero giustificate le uccisioni di singoli individui per il bene della comunità. Pur tuttavia non si può negare il carattere vincolante di certe scelte se si vuole salvaguardare il delicato equili- brio degli ecosistemi. Ad esempio, qualora il numero degli elefanti diventasse così elevato da mettere in serio pericolo l�ecosistema della savana, potrebbe rendersi necessario l�abbattimento di alcuni capi. L�unico modo per uscire da questo circolo vizioso, secondo Taylor, è quello di dare una rispettabilità morale ai singoli organismi in quanto esseri dotati di un valore intrinse- co. Su questa base individualistica si può, quindi, costruire un�etica biocentrica che dia rispettabilità morale anche agli insiemi (4). Nel suo ragionamento Taylor non esclude la possibilità che gli animali e le piante possano avere dei diritti, tuttavia pensa che si raggiungano gli stessi risultati elaborando un�etica che lui chiama �del rispetto�, una sorta di allargamento di un�etica che già esiste e che riguarda, attualmente, solo gli uomini. Per capire cosa intende Taylor è sufficiente sostituire le parole �dignità di uomo� dell�etica attuale con �valore intrinseco�, il valore di cui è dotato ogni singolo organismo. Vediamo come procede la sua argomentazione. L�etica del rispetto ha una struttura che può suddividersi in tre elementi base: un sistema di principi, un atteggiamento morale supremo e un gruppo di regole. Il sistema di principi, che Taylor chiama �concezione biocentrica della natura�, si basa sulle leggi scientifiche che l�ecologia ha messo in luce, vale a dire l�omeostasi, l�equilibrio e l�integrità. Attenzione, però, ammonisce Taylor. Se da un lato è importante riconoscere l�esisten- za di queste leggi universaliè anche vero che non hanno, esse stesse, la valenza di norme morali come gli olisti vogliono fare credere. Come abbiamo già visto nel primo articolo sulla filosofia ambientale, l�etica è di pertinenza della filosofia, non della scienza. La �con- cezione biocentrica della natura� non è quindi analiz- zabile empiricamente e non può considerarsi un com- pendio di scienze ecologiche. La prospettiva biocentri- ca è un�opinione filosofica del mondo e deve rimanere distinta dalle teorie scientifiche e dai sistemi esplicativi. Entrando nel dettaglio la �prospettiva biocentrica della natura�, asserisce che: 1) gli uomini sono membri della comunità vivente allo stesso modo in cui lo sono i non-uomini; 2) i sistemi naturali della Terra, nella loro totalità, sono composti da una rete complessa di elementi intercon- nessi, dove il sano funzionamento biologico di ogni essere dipende dal sano funzionamento degli altri; 3) ogni individuo viene concepito come un centro teleologico di vita, che insegue il proprio bene nella sua propria maniera; 4) il concetto che l�uomo sia superiore alle altre specie non ha fondamento e, alla luce degli elementi 1), 2) e 3), deve essere rigettato in quanto deviazione irrazio- nale in nostro favore. Riguardo il primo punto Taylor non nega le differenze fra uomini e non-uomini, tuttavia riconosce che la nostra origine è comune agli altri esseri e che sottostia- mo alle stesse leggi naturali: genetiche, selettive, adat- tative eccetera. Inoltre, e questo è un argomento di novità, riconosce che siamo i nuovi arrivati. Tante altre specie abitano il pianeta da molto più tempo di noi. Ed ancora, non è detto che dureremo più a lungo di altri. La nostra presenza qui non è assolutamente necessaria. Svariate specie ed ecosistemi starebbero certamente meglio senza la nostra presenza. Nel mondo ci sarebbe meno inquinamento, più spazio, più varietà. Insomma la nostra dipartita sarebbe salutata con entusiasmo dal mondo naturale. Per quanto concerne il secondo punto della �prospet- tiva biocentrica della natura� c�è poco da aggiungere, è sufficiente imparare la grande lezione fornita dal- l�ecologia. Non c�è nulla di filosofico nel riconoscere che esiste una complessa rete di relazioni tra gli organismi viventi. Riguardo invece il terzo punto, �ogni individuo viene concepito come un centro teleologico di vita� (cioè ogni organismo tende verso un proprio fine da realiz- zare), Taylor avanza la sua proposta. E� ormai innega- bile, asserisce, che ciascun individuo sia un essere unico e irripetibile, ce lo dice la genetica e le scienze comportamentali, tuttavia ciascuno di noi può render- sene conto di persona se, come naturalista dilettante, compie osservazioni accurate per un lungo periodo a stretto contatto con i singoli organismi viventi. Man 43 mano che approfondiamo la conoscenza aumenta in noi la sensibilità verso il loro mondo e veniamo coinvolti da ciò che accade loro nel bene e nel male. Ogni organismo diventa qualcosa di unico ed insosti- tuibile. Se ci sforzassimo a lavorare in questa direzione, alla fine saremmo in grado di avere una genuina comprensione del modo in cui ogni singolo organismo percepisce il mondo esterno. Comprenderemmo la particolarità degli organismi di essere centri teleologici di vita che lottano per preservare se stessi e realizzare il proprio bene nel loro modo unico. Attenzione però a non cadere nell�errore di antropomorfizzarli, cioè di vederli e considerarli dal nostro punto di vista. �Non dobbiamo, per esempio, considerarli come se avessero una coscienza. Alcuni di loro possono essere consape- voli del mondo esterno ed altri possono non esserlo. [...] Ma coscienti o no sono tutti ugualmente centri teleologici di vita nel senso che ognuno è un sistema unificato di attività orientate ad un fine diretto verso la sua preservazione e il suo benestare.� (5) L�ultimo punto della prospettiva biocentrica della na- tura, la negazione della superiorità umana, trova rispo- sta direttamente dai primi tre punti. Se ci chiediamo: �In che modo ci riteniamo superiori?�, oppure, �Fac- ciamo cose che altri non fanno?� possiamo rispondere con certezza che ogni singolo essere, ogni gruppo di esseri, ha il suo proprio modo di vivere e, per quel che lo riguarda, fa cose che altri individui, o altri gruppi, non fanno. Gli organismi odierni, per il solo fatto di trovarsi sulla Terra, dimostrano di essere adattati ad occupare il posto che occupano. Noi, forse, potremmo vantarci di avere qualità che non si trovano fra i membri delle altre specie, ad esempio abbiamo creati- vità estetica, libertà morale, autodeterminazione, tutta- via queste qualità hanno un valore solo per noi uomini. A ben vedere, tutte le ragioni per cui ci riteniamo superiori partono dalla nostra prospettiva. Noi esseri umani possiamo giudicare se un nostro simile è miglio- re di un altro sotto un determinato profilo, ad esempio un bravo falegname sa lavorare il legno meglio di un bravo scrittore, tuttavia queste regole valgono per noi, per come viviamo. Tutte le nostre considerazioni nascono dal nostro punto di vista. Ricordo personal- mente della scherzosa disputa fra zoologi e botanici. I primi sostengono che gli animali sono superiori alle piante in quanto si spostano qua e là, i secondi ribatto- no che sono le piante ad essere più evolute degli animali perché non hanno bisogno di muoversi: sfrut- tano i raggi del sole per sintetizzare le sostanze di cui hanno bisogno. E� chiaro quanto sia goliardico questo dibattito. Ogni organismo fa bene, a volte ottimamen- te, il compito che è andato via via imparando durante la sua evoluzione. Noi esseri umani, sostiene Taylor, diciamo di essere superiori agli altri organismi in quanto unici agenti morali, ma si tratta di confusione concettuale. Gli standard morali non sono concettualmente applicabili agli esseri che mancano di tale capacità. Riguardo, poi, il nostro maggiore valore inerente, Taylor ricorda che molte società umane sono ancora divise in caste. Se la nostra società occidentale è arrivata a negare le diffe- renze fra gli uomini in quanto non esistono prove scientifiche a sostegno, perché allora continuiamo a voler discriminare gli altri organismi quando la nostra base biologica, il DNA, è la stessa? Certo, sono diversi i geni. E allora? Per quale ragione, dice Taylor, un diverso arrangiamento genetico dovrebbe essere un marchio di valore superiore? In definitiva, in mancan- za di qualsiasi buona ragione per rivendicarla, la superiorità umana può apparire semplicemente l�espres- sione irrazionale di un pregiudizio che favorisce una specie su milioni di altre. D�altro canto rifiutare la superiorità umana permette di evidenziare la sua con- troparte positiva: la dottrina dell�imparzialità delle specie che apre la porta all�etica del rispetto. Ecco allora che il discorso di Taylor si sposta sull�atteg- giamento morale supremo e si chiede: cosa cambia in noi se decidiamo di abbracciare l�etica del rispetto? La risposta viene da dentro. Innanzitutto si riordina pro- fondamente il nostro universo morale e, così facendo, cambia il nostro atteggiamento nei confronti della natura. Il nostro punto di vista umano diventa secon- dario e lascia spazio al nostro agire per il bene della natura. La realizzazione dei singoli organismi viventi, spiega Taylor, consiste nel raggiungimento del pieno sviluppo delle loro potenzialità biologiche. Se il loro bene viene raggiunto dalla pienezza della forza e della salute, il nostro agire deve favorire queste potenzialità. Deve permettere che ciascun individuo si adatti con successo all�ambiente e realizzi la sua esistenza com- piendo i normali stadi del ciclo di vita suo e della sua specie. Allo stesso modo il nostro agire deve favorire il bene di una popolazione o di una comunità agevolan- do il mantenimento del gruppo come sistema coerente (geneticamente ed ecologicamente) cioè come organi-smi in relazione fra loro. Inoltre il bene deve essere fine a se stesso, deve essere indipendente da qualsiasi principio di utilità o di interesse. Noi sappiamo di poter agire per il bene o contro il bene di un individuo e questo deve essere sufficiente per indirizzare il nostro comportamento. Il fatto che agiamo per il suo bene, e non contro il suo bene, deve essere indipendente dalla sua consapevolezza, dal suo interesse e dalla sua sensibilità nei confronti del dolore. A Frankena che chiede: �che importanza ha lo strappare una foglia da un albero, tanto non se ne �accorge�?� (6) Taylor potrebbe rispondere che gli alberi, anche se privi di desideri o sentimenti, possono essere danneggiati o favoriti e noi dobbiamo tendere al loro bene. Nel senso che abbiamo degli obblighi morali prima facie nei loro 44 confronti in quanto membri della comunità biotica della Terra e siamo legati loro moralmente in quanto concorrono a mantenere vivi ed integri gli ecosistemi. Noi abbiamo il dovere morale di promuovere il �bene per il loro bene� aiutandoli a realizzare e mantenere �una sana esistenza in uno stato naturale�. Riguardo le norme morali l�etica del rispetto non sostiene i diritti delle piante, degli animali, delle comu- nità o delle popolazioni, anche se non li esclude, tuttavia ottiene, secondo Taylor, molti degli stessi obiettivi. Naturalmente non propone soluzioni nelle rivendicazioni in conflitto. Ovverosia non tratta di come si risolvano le eventuali dispute che possono sorgere dal nostro rispetto per le persone (nel dominio dell�etica umana) e dal nostro rispetto per la natura (nel dominio dell�etica ambientale), tuttavia questo non rientra fra i suoi scopi. Taylor vuole solo dimostrare come sia sbagliato partire da un presupposto antropo- centrico e come, al contrario, si debbano considerare gli organismi viventi affinché siano ritenuti entità che possiedono un valore inerente: gli oggetti appropriati dell�atteggiamento del rispetto. L�etica della terra Dopo aver passato in rassegna le etiche individualisti- che pure di Singer e Regan e le etiche che prendono in considerazione il singolo individuo per poi allargarsi ad abbracciare anche gli insiemi, descritte da Goodpa- ster e Taylor, diamo uno sguardo alle etiche olistiche. Come si ricorderà il nuovo corso dell�etica olistica prese l�avvio negli anni 1940 con l�etica della terra di Aldo Leopold, di cui abbiamo già parlato. L�etica della terra trova oggi un grande sostenitore nel filosofo e teologo John Baird Callicott, che ama definirla �olisti- ca per davvero� (7). Nel portare avanti il pensiero di Leopold, Callicott difende l�etica della terra da chi la attacca su più fronti descrivendola una �pericolosa assurdità� e da chi, più bonariamente, la snobba con- siderandola �una nobile, ma ingenua, supplica morale carente, nel complesso, del sostegno di struttura teori- ca� (8). Abbiamo già avuto modo di notare come, in effetti, lo stile semplice degli scritti di Leopold, som- mati alla mancanza di una sua scolarità filosofica, ha portato alcuni pensatori a definirla superficiale. Calli- cott, al contrario, la elogia definendola un�etica deon- tologica (orientata al dovere) piuttosto che prudenziale (dettata dall�opportunità di cautelarsi) e ne definisce i fondamenti logici con queste sontuose parole: �I suoi elementi concettuali sono una cosmologia copernica- na, una storia naturale protosociobiologica darwiniana dell�etica, i legami darwiniani di parentela tra tutte le forme di vita sulla Terra e un modello eltoniano della struttura della biocenosi, tutto coperto di una psicolo- gia morale humeana-smithsoniana� (9). Alcuni fatti innegabili sono, secondo Callicott, la prova inconfuta- bile che l�etica della terra sia l�unica etica possibile. Se da una parte le scienze ecologiche ci confermano che l�ambiente naturale è costituito da una comunità, la così detta comunità biotica, non si può negare che la selezione naturale ci abbia dotato della capacità di percepire l�identità dei membri della comunità ecologi- ca e di riconoscere gli stretti legami di parentela che intercorrono fra loro. Ciò significa che la selezione naturale ci ha dotato di una intima responsabilità morale che ci obbliga ad elaborare delle norme com- portamentali per arginare il nostro potere di distruzio- ne nei confronti dell�integrità, della diversità e della stabilità ambientale. Ma queste norme devono derivare dalla considerazione che le relazioni ecologiche sono le artefici della natura degli organismi e non il contrario. E� l�intero, il sistema in sé, che modella e forma, letteralmente e direttamente, le sue parti componenti. Da questo ne deriva che il �diritto di vita� per i singoli membri non è coerente con la struttura della comunità biotica e quindi non può essere incluso dall�etica della terra. L�individualismo non può essere contemplato e la considerazione etica del singolo deriva unicamente dal fatto che ciascun individuo ha un valore in quanto è una parte della comunità. L�etica del valore di Holmes Rolston III Nel suo articolo Challenges in Environmetal Ethics (10) Hol- mes Rolston III analizza approfonditamente i singoli organismi, le specie e gli ecosistemi per giungere ad enunciare la sua etica olistica che lui stesso definisce etica del valore. Tracciamo il percorso del suo ragiona- mento. Innanzitutto Rolston ribadisce con forza la necessità di elaborare dei concetti etici nei confronti della natura. Se fino alla metà del XX secolo l�uomo era ritenuto il solo soggetto e il solo oggetto dell�etica in quanto si pensava che la morale non avesse niente a che vedere con la natura, oggi la visuale si è notevolmente allargata. Per quale ragione, ci si chiede, la coscienza deve essere la discriminante per negare alle altre forme di vita una considerazione morale? Sappiamo bene che l�uomo è l�unico soggetto etico in quanto il solo in grado di darsi delle norme comportamentali, tuttavia non si vede il motivo per il quale si debba limitare a considerare moralmente solo la sua sfera. L�uomo è l�unico misuratore delle cose ma non può essere la sola misura, dice Rolston. E� bene, quindi, analizzare i probabili oggetti etici e valutare, uno per uno, i motivi della considerazione morale. L�etica del valore ha bisogno di una attenta analisi del mondo naturale e dei suoi abitanti. Rolston inizia dagli animali superiori (11). Una volta, dice, gli animali superiori erano considerati alla stregua di macchine. Si credeva fossero incapaci di pensare e rispondessero agli stimoli esterni in modo automatico, stereotipato. Proprio perché carenti di una mente essi non godevano di alcun rispetto etico. Oggi la situazione è decisamen- 45 te cambiata. La biologia evoluzionistica li ha riscattati avvicinandoli all�uomo. Così sappiamo che gli animali selvaggi difendono la propria vita perché hanno un proprio bene. Infatti cacciano e si riparano, si prendo- no cura della prole, fuggono dalle minacce, si stancano, si eccitano, dormono, si accoppiano e, come diceva Jeremy Bentham, soffrono. Il compiere azioni di que- sto tipo non è, però, una questione rilevante, afferma Rolston. Molto più lo sarebbe se fossero in grado di parlare o di ragionare, insomma mettessero in atto qualcosa che indicasse capacità culturali. Il fatto che soffrano o si comportino in un modo che spesso assomiglia a quello umano non ci autorizza a conside- rarli umani. Trattarli in modo naturale (per quello che sono) e avere rispetto per loro non significa trattarli da uomini. Non bisogna farli soffrire, questo è vero, tuttavia il rispetto compassionevole è solo una parte dell�analisi. Considerare le pecore e i coguari come fossero uomini, scrive, vorrebbe dire elevarli in modo innaturale, come fossimo incapaci di valutarli per quello che sono. L�etica, a riguardo, si deve uniformare a questa evidenza. Così la nostra morale deve seguire la natura. Trattare gli animali comeuomini è franca- mente eccessivo, dice Rolston, è andare contro natura. Il filosofo analizza poi gli altri organismi. Non si può negare, afferma, che l�uccidere un mammifero provo- chi dei risentimenti nell�animo umano, tuttavia ciò non accade per le piante. Perché? Sembra quasi che in mancanza di sensibilità al dolore l�etica non abbia significato. Se nessuno ha pensato di istituire società umanitarie a difesa delle sole piante o per gli insetti è forse perché sentiamo in cuor nostro che il rispetto per la vita si ferma ad un certo livello nella scala gerarchica della zoologia. E� innegabile: un gattino provoca tene- rezza mentre un ragno o uno scarafaggio incute timore e disgusto. Comunque, si deve senz�altro andare alla ricerca di un�etica più obiettiva lasciando da parte le nostre pulsioni. Infatti molti di noi ritengono giusto e doveroso rispettare la vita in sé, a chiunque essa appartenga: insetto, mammifero o pianta. Per esempio preferirebbero leggere un cartello del tipo �lasciate vivere i fiori� piuttosto che �lasciate stare i fiori affinché altri ne possano godere�. E� questione di dare un valore alla vita in sé piuttosto che considerarla un bene strumentale al servizio dell�uomo. Tuttavia, no- nostante la nostra sensibilità, è piuttosto bizzarro credere che le piante abbiano bisogno della nostra benevolenza, oppure che dovremmo considerare il loro punto di vista, quando esse stesse non curano i propri interessi. Se gli alberi e i fiori non hanno cura di loro stessi, si chiede il filosofo, perché dovremmo averne noi? La domanda è lecita, tuttavia si rivela carente di analisi. Il ragionamento etico non può fermarsi ad un livello così superficiale, continua Rolston. Sicuramente un organismo è un sistema spontaneo che si auto-mantie- ne, che si riproduce, che esegue un programma. Al suo interno esiste un�informazione che sovraintende le cause e senza la quale non sarebbe altro che un mucchietto di terra. Questa informazione, contenuta nella sequenza di basi del DNA, dà all�organismo un telos, un fine, uno scopo del quale l�organismo non ha sentore. Il DNA, la molecola di cui sono composti i geni, è un set logico. Rolston lo definisce un set proposizio- nale, usando un termine che richiama provocatoria- mente il modo in cui propositum, in latino, significa asserzione, compito, tema, piano, progetto, frase co- gnitiva. Ma il DNA è anche un set motivazionale, nel senso che non si limita all�asserzione ma rende possi- bile, anzi guida, il movimento, la vita dell�organismo, trasformando il genotipo potenziale nell�espressione fenotipica. Il DNA �trae vantaggio� dal suo ambiente così la vita può sorgere dalla roccia e tornare ad essa per diventare, di nuovo, risorsa per un�altra vita. Ed anco- ra, il DNA è un set normativo che distingue tra quello che è e quello che dovrebbe essere. Insomma il DNA, nel suo complesso, rende l�organismo un sistema assiolo- gico, valutativo. La quercia cresce, si riproduce, guari- sce le sue ferite e resiste alla morte. Il �valore�, dice Rolston, è presente nei suoi obiettivi. La conclusione che se ne trae è innegabile: il valore non è antropoge- nico, bensì biogenico e non c�è nessun motivo per escludere gli organismi dalla considerazione morale. Ancora una volta Rolston ritiene riduttivo fermare l�analisi a questo punto. Infatti il singolo individuo, pensato come soggetto solitario in un mondo inorga- nico, non potrebbe vivere. Non avrebbe nessun valore senza ciò che gli sta attorno e col quale si rapporta. Dobbiamo considerare l�individuo adattato entro un ecosi- stema. Dice Rolston: solo con una visione più ampia il singolo, preso come �punto di esperienza� nella rete di interconnessione tra i viventi, acquista un valore intrin- seco per sé, promuove la propria realizzazione e al tempo stesso modifica l�ambiente attraverso la sua tecnica, il suo know-how. E� logico, quindi, affrontare l�analisi dal punto di vista dell�ecosistema. Prima di fare ciò è però bene soffer- marsi a considerare la specie come oggetto morale. La specie, ce lo dicono i biologi, è il raggruppamento base su cui poggia la tassonomia (la classificazione degli esseri viventi). Nella sua formulazione più semplice il �concetto biologico di specie� recita che due organi- smi sono della stessa specie se, incrociandosi, genera- no individui fecondi. L�esempio classico riguarda il cavallo e l�asino che appartengono a due specie distinte perché dal loro incrocio nascono individui sterili: muli e bardotti. Tuttavia i biologi sanno anche quanto sia difficile valutare l�appartenenza alla stessa specie di due gruppi simili. Il confine genetico è spesso più labile di quanto si pensi. Tra animali superiori le divisioni 46 sono abbastanza nette (ma non sempre), fra gruppi di animali inferiori e soprattutto fra gruppi di piante -che possono ibridarsi ed incrociarsi liberamente- i confini sono più sfumati, a volte impossibili da valutare ogget- tivamente. Chi conosce un po� l�ambiente dei sistema- tici sa delle accese dispute che nascono fra i sostenitori di questo o di quel tipo di raggruppamento. Per fortuna la nostra analisi morale non risente di questo fatto contingente. Anche se in taluni casi la divisione in specie è arbitraria, e comunque non si presenta come qualcosa di fisso ed immutabile nel tempo, si sa con certezza che in un ecosistema in evoluzione il semplice individuo conta poco. E� il gruppo, la popolazione, la specie che determina il futuro dei singoli. Una specie esiste, afferma Rolston, deve esistere! E� anche vero che una specie non ha sé, non ha nulla di analogo al sistema nervoso o all�apparato circolatorio degli esseri viventi. Ma questo, nell�ottica della morale, non è la sola cosa che conta. Infatti i processi che abbiamo visto appartenere al singolo riappaiono nella specie. Se consideriamo ad esempio il difendere la vita, resistere alla morte o rigenerarsi, scopriamo che il set genetico di una specie abbraccia un telos ampio, più ampio di quello di un individuo. E questo perché una specie contiene tutte le variabili genetiche degli individui che la compongono e che permette la sopravvivenza stessa della specie nel tempo. Più ampia è la variabilità genetica di una specie e più facilmente la specie supererà i momenti difficili. Supponiamo, ad esempio, che un gruppo di individui popolino un ambiente mite e che, per una qualsiasi ragione climatica, geologica o altro, la temperatura cambi improvvisamente diven- tando rigida. Molti individui moriranno non posseden- do quel gene che permette loro di mantenere il calore con più efficienza, ma la specie continuerà ad esistere perché ci saranno degli individui che hanno quel gene e che sopravviveranno riproducendosi anche in condi- zioni climatiche avverse. La specie, in sintesi, contiene una miriade di geni che si sono andati evolvendo nel tempo, che sono stati selezionati e conservati. Un individuo non potrà mai contenere tutte le variabili genetiche che ha la sua specie. Uno stesso individuo ha, solitamente, due varianti (un gene proviene dal padre e uno dalla madre). Una specie, invece, ne contiene tante. Un gene non adatto oggi può rimanere latente in un piccolo numero di individui per poi venire fuori al momento giusto. E� per questa ragione che le specie con poche centinaia di esemplari sono destinate al- l�estinzione. I ripetuti incroci fra individui sempre più imparentati causano la perdita dei geni meno rappre- sentati e la specie si indebolisce sempre più. C�erano dei collezionisti senza scrupoli, racconta Rolston, che nelle hummocks africane catturavano far- falle e poi bruciavano la regione per distruggere gli esemplari rimasti e mandare alle stelle il valore dei campioni raccolti. Questo è un fatto gravissimo e forse, continua Rolston, non è neppure lecito costruire una diga che minaccia l�estinzione di farfalle e gru, anche se serve agli esseri umani che utilizzano l�acqua per iloro bisogni. Determinare l�estinzione di una specie è ben più di un�uccisione multipla, è un super- omicidio. Dopo un�estinzione niente di quel tipo potrà vivere e morire. L�estinzione è un blocco del flusso vitale; è l�evento più distruttivo in assoluto. Così, se la specie ha un�integrità e un �diritto di vita� che sono molto più importanti dell�integrità e della vitalità del singolo, allora, per salvaguardare il suo bene, diventa lecito anche uccidere qualche esemplare. Ma c�è qualcosa di ancora più grande della specie e che ha più valore: l�ecosistema. Ad un�analisi superficiale, racconta Rolston, gli ecosistemi possono sembrare niente più di una raccolta di processi casuali. Una foresta può sembrare un�accozzaglia di alberi, erbe, cespugli e animali che condividono un territorio. Nel suo ambiente ogni soggetto trova quello che gli serve per vivere (mangia, dorme, si ripara ecc.), ha rapporti con gli altri (si accoppia, caccia o è cacciato, bruca o è brucato) e utilizza risorse inorganiche (acqua, aria, terra), ma tutto sembra finire qui. Le relazioni fra i componenti di una foresta sembrano casuali, senza criterio. Eppure non è così. Gli ecosistemi generano e supportano la vita, tengono alta la pressione selettiva, offrono infinite possibilità di adattamento, determina- no l�evolversi dei tipi giusti. Gli ecosistemi sono comunità di vita, sono unità di sopravvivenza, sono luoghi dove si intrecciano i destini di migliaia di esseri viventi. Già prima dello sviluppo della ecologia, affer- ma Rolston, i biologi conclusero che la definizione �lotta per la sopravvivenza del più adatto� era troppo grossolana. Nella realtà esiste una co-azione nell�adat- tamento, piuttosto che una competizione. Preda e predatore, parassita e ospite, brucatore e brucato sono forze contendenti in processi dinamici dove il benes- sere di ognuno è legato a quello di ogni altro. Certo, le connessioni fra i viventi sono meno forti di quelle fra gli organi interni di un organismo, ma non sono meno importanti. Se a differenza degli animali superiori gli ecosistemi non hanno esperienza, a differenza delle piante non hanno genoma, a differenza della specie non hanno telos, non per questo gli ecosistemi sono meno reali. Si dice, afferma Rolston, che solo gli organismi sono veri perché un livello di organizzazio- ne è reale quando modella il comportamento del livello sottostante. La cellula è reale perché determina il destino degli aminoacidi (i componenti delle proteine) e l�organismo è reale perché coordina il movimento di cuore e polmoni. Ma se è vero questo anche la comu- nità biotica è vera, perché la nicchia (cioè il posto e il ruolo di una specie nell�ecosistema) modella la morfo- logia degli individui all�interno dell�ecosistema stesso. 47 Ogni cosa è connessa alle altre. Qualche volta le associazioni sono obbligate, più spesso le dipendenze sono parziali e duttili, altre volte non sono significati- ve. Non si deve cercare un singolo centro o un singolo programma in un ecosistema, si devono cercare matri- ci, interconnessioni fra centri (singole piante ed anima- li, linee dinamiche di speciazioni), stimoli creativi, potenziali aperti. A ben vedere l�esterno è vitale quanto l�interno e gli ecosistemi sono sistemi selettivi così come lo sono gli organismi. Sebbene non siano super- organismi come in tanti vogliono far credere, gli ecosistemi sono comunque una sorta di campo vitale. Un campo vitale dotato di un proprio valore, un �valore sistemico�. Così come esiste il �valore intrin- seco� (per definire il valore in sé) e il �valore strumen- tale� (quando il valore viene dato in base a un determi- nato fine) si può parlare di �valore sistemico� per precisare che, seppur non depositari di valore, gli ecosistemi sono produttori di valori e, in quanto tali, abbiamo doveri morali nei loro confronti. Ecco il punto, conclude Rolston. Quando incontriamo un sistema che progetta e protegge i suoi membri, nascono dei doveri. Perché, se da un lato è vero che gli uomini sono abbastanza importanti per godere di diritti e prosperare, dall�altro è anche vero che non sono così importanti da degradare e distruggere gli ecosistemi a loro piacimento, almeno senza avere le prove schiaccianti che non ci sia una contropartita culturale preponderante. Quale deve essere, allora, il nostro comportamento nei confronti della natura? Secondo Rolston, per risponde- re a questa domanda abbiamo bisogno di capire innan- zitutto come il valore è distribuito nella natura, poi di un�etica che rispetti questo valore. Questa �etica del valore� si deve basare sui fatti reali, dice Rolston, in quanto �Il modo in cui è informa il modo in cui deve essere� (12). E� vero che gli obblighi etici prescindono da ciò che la scienza ci dice sul mondo, tuttavia la scienza non può che esserne il fondamento. �Il nostro modello di realtà implica un modello di condotta�. Ovviamente dobbiamo fare una scelta: un modello che considera la natura come un valore solo per l�uomo implica una condotta differente da uno nel quale la natura proietta i suoi valori. Per Rolston la scelta biocentrica è quella giusta. Intendiamoci, nessuna ricerca potrà mai verificare che, dal punto di vista ambientale, il giusto sta nella comunità biologica al- l�equilibrio e non altrove. E neppure la descrizione ecologica potrà mai approvare la giustezza del sistema. Tuttavia se lasciamo che la scienza entri nel dominio della valutazione e da ciò ne facciamo seguire un�etica, risulta chiaro che, sempre secondo Rolston, la teoria che dà agli insiemi un maggior valore ha solide basi per essere accettata. L�etica del valore è quindi biocentrica ed olistica. Per Rolston la frase ben nota: �non c�è valore senza qualcuno che valuta� non è ingiusta, ma è parziale. Gli uomini valutano chiaramente il loro mondo e così fanno, forse, gli animali senzienti. Le piante non lo fanno, non hanno facoltà di scelta e non fanno scelte, così come non lo fanno le specie, gli ecosistemi, la Terra e la natura tutta. Generalmente si pensa che i valori, le stime, come potrebbero essere il solletico o il rimorso, devono essere sentiti per esserci. Oppure si dice che il valore non sentito è un nonsenso; non ci sono pensieri senza pensatori, percezioni senza perci- pienti, bisogni senza agenti, bersagli senza scopi. In- somma molti credono che il valore non sia esistito fino alla comparsa degli uomini, ma da quanto discusso fin qui risulta ovvio come questa visione antropocentrica sia ristretta. Coloro i quali rispettano la vita in sé sentono il bisogno di una etica più conforme all�ordine naturale che l�ecologia mette in evidenza. La valutazio- ne umana è un processo che la natura ha selezionato, tuttavia la vitalità del sistema è reale, non è qualcosa che funziona nella mente umana e basta. La natura è valutabile sia con, che senza, l�essere umano. Il valore richiede solo qualcuno che lo detiene e quindi esisteva ancor prima che arrivassero gli uomini a valutare. Sicuramente esiste un valore antropogenico, cioè un valore generato dagli uomini, ma esiste anche un valore biogenico. E questo valore è dato dall�intero continuum dei viventi. Il sistema naturale stesso è in grado di valutare e la valutazione umana è un suo prodotto. Se partiamo da queste basi, argomenta Rolston, la morale risulta più obiettiva. Non si tratta di considerare eticamente i soli individui senzienti. Cosa sia �giusto� del mondo biologico non è la produzione di piacere o dolore. Quello che è giusto comprende la struttura ecosistemica, gli organismi negli ambienti che li hanno selezionati e che li sostengono. Il valore, tutto il valore, è generato dentro la comunità geosistemica ed ecosi- stemica. Il valore sfuma lentamente passando dal valore soggettivo a quello obiettivo e si apre a ventaglio dall�individuo al suo ruolo e alla sua matrice. Le nature dei singoli esseri non sono separate semplicemente dentro e perse stesse, ma si affacciano all�esterno e si coadattano entro nature più ampie. Il �valore-in-sé� si allarga dal semplice organismo per diventare �valore- nell�insieme�. Il valore intrinseco del singolo, quello di un individuo �per quello che è esso stesso�, diventa problematico in una rete olistica. Il valore intrinseco è una parte in un tutto che non può essere frammentato valutandolo isolatamente. Un telos isolato è biologica- mente impossibile. Ogni cosa è buona in un ruolo, in un intero. Così si esprime Rolston: �Il sistema è un trasformatore di valore dove forma ed essere, processo e realtà, fatto e valore sono legati indissolubilmente. I valori intrinseco e strumentale fanno la spola avanti e indietro, parti-negli-interi e interi-nelle-parti, dettagli 48 locali di valore inclusi in strutture globali, gemme nella loro incastonatura: una corporazione dove il valore non può rimanere da solo. Ogni bene è nella comuni- tà.� (13) L�antropocentrismo arroga agli uomini ciò che permea la comunità. Mentre è il sistema che crea vita, che seleziona per adattamento, che costruisce vita sempre più ricca in qualità e quantità, che supporta miriadi di specie, aumenta l�individualità, la autonomia ed anche la soggettività. Il �valore sistemico�, in definitiva, è ben più grande del �valore intrinseco� che appartiene al singolo individuo, ed un�etica del valore ne tiene giustamente conto. Con l�etica del valore di Rolston abbiamo concluso la rassegna delle idee filosofiche ambientali che, nello schema proposto nel primo articolo, venivano definite sotto i termini antropocentrico e biocentrico. La pros- sima volta affronteremo gli argomenti dell�ecologia profonda (deep ecology). Piergiacomo Pagano Note (1) K. E. Goodpaster On Being Morally Considerable reprinted in Zimmerman M.E. et al. edts. ENVIRONMENTAL PHILO- SOPHY, Prentice Hall, 1998 p.56-70 (2) Si veda lo scorso articolo Filosofia ambientale: antropo- centrismo debole ed etica animale NATURALMENTE a. 14 n. 4 dic. 2001 (3) Idem (4) P. W. Taylor The Ethics of Respect for Nature reprinted in Zimmerman M.E. et al. edts. ENVIRONMENTAL PHILOSOPHY Prentice Hall, 1998 p.71-86 (5) Ivi, p.78 (6) W. K. Frankena Ethics and Environment in: Goodpaster K.E. and Sayer K.M. (edts) ETHICS AND PROBLEMS OF THE 21ST CENTURY, Notre Dame, Ind., 1979, p.11 (7) J. B. Callicott The Conceptual Foundations of the Land Ethic reprinted in Zimmerman M. E. et al. edts. ENVIRONMENTAL PHILOSOPHY, Prentice Hall, 1998 p.109 (8) Ivi, p.102 (9) Ivi, p.108 (10) Holmes Rolston III Challenges in Environmetal Ethics reprinted in Zimmerman M.E. et al. edts. ENVIRONMENTAL PHILOSOPHY, Prentice Hall, 1998 p.124-144 (11) già chiamarli superiori implica una classificazione, comunque per superiori generalmente si intendono uccelli e mammiferi (12) Holmes Rolston III Challenges in Environmetal Ethics cit., p.143 (13) Ibid. sommario febbraio 2002 Quanto sono nuovi i “nuovi” Discipline e unitarietà della scienza Discussione sulle basi Un affascinante cattivo maestro La candela Gazebo (XIII) L’evoluzione per selezione naturale e Filosofia ambientale Raccontare la matematica La valutazione Progettazione per moduli: Anodi negativi, catodi positivi? Tutti, prima di essere grandi, siamo Il verziere di Melusina (palma) Birdwatching (ballerina) L’angolo del morbido (problemi della prof.) Le belle notizie Recensioni Tyler Volk Eugenio Del Toma Simon Winchester La rif erma Appello dei Docenti delle Discipline scientifiche
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