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Alcune nozioni di metrica

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1 
 
Breve introduzione alla metrica italiana 
 
 
1. La poesia 
 
Caratteristiche generali 
Il testo poetico, come la prosa, è costituito da proposizioni. Rispetto alla prosa 
però presenta una differenza essenziale. Mentre, infatti, i testi in prosa non 
hanno in genere schemi fissi, il testo in versi è costituito da due aspetti 
specifici: 
a) da una parte i ritmi e i metri: fenomeni che si possono definire in a livello 
del verso 
b) dall’altra le rime e le strofe (fenomeni che si possono definire a livello dei 
rapporti fra (gruppi di) versi. 
 
Sia i ritmi e metri che le rime e le strofe rendono il testo in versi legato ad una 
certa disciplina formale a cui il poeta si attiene più o meno consapevolmente. Si 
dice per esempio che Dante pensasse in terzine. 
 
Un breve caveat terminologico 
Attenzione! In italiano si utilizza il termine poesia sia come categoria generale 
(la poesia vs la prosa, in neerlandese poëzie), sia per indicare i singoli 
componimenti in versi (in neerlandese gedicht). 
In italiano esiste anche il termine poema, che indica un testo in versi di una 
certa lunghezza, e di solito di carattere narrativo o descrittivo. I poemi sono di 
solito suddivisi in canti o libri. Al termine poema si aggiunge spesso un 
aggettivo che indica l’argomento o il sottogenere cui appartiene il poema, ad 
es. poema cavalleresco (ridderepos), poema didascalico (leerdicht), poema 
eroico (heldenepos), poema sacro (termine utilizzato da Dante per definire la 
Commedia). 
 
Esempi: i sonetti di Petrarca sono poesie; la Commedia di Dante, l’Orlando 
furioso di Ludovico Ariosto sono poemi. Un genere a metà strada fra la 
poesia e il poema è il poemetto, piuttosto diffuso nella poesia del secondo 
Ottocento e del primo Novecento (es. Giovanni Pascoli, Primi poemetti). 
 
 
 
 
 
2 
 
2. Il verso 
 
2.1. Sillabe toniche vs sillabe atone 
Nella poesia italiana prevale sin dal Duecento il cosiddetto verso sillabico, 
costituito dall’alternanza di sillabe toniche e atone. 
 
Le sillabe toniche, rispetto a quelle atone, sono più lunghe e portano un 
accento dinamico più o meno energico. 
Ecco i due segni metrici fondamentali : 
ӗ vocale breve in sillaba atona 
ḗ vocale breve in sillaba tonica 
 
2.2. Contare le sillabe 
In generale, contando il numero delle vocali in un verso otteniamo il numero 
delle sillabe. Il dittongo1 ha valore di una sola sillaba. 
 
Vi sono però alcune regole per quel che riguarda la combinazione di vocali. Più 
in particolare una giusta dizione di versi italiani si ottiene con quattro figure 
metriche principali: la sineresi, la dieresi, la sinalefe e la dialefe. 
 
a) La sineresi è il fenomeno della fusione in una sola sillaba di due vocali 
vicine nella stessa parola: 
«Dirò dell’altre cose ch’io v’ho scorte» 
 
b) La dieresi è lo stacco di due vocali contigue della stessa parola. 
«Dolce color d’ori ⁞ ental zaffiro» (Dante, Purgatorio, I, 13) 
 
c) La sinalefe è un’elisione ritmica di una vocale per evitare lo iato (incontro 
difficilmente pronunciabile di due vocali che non formano dittongo, es. 
'spi-are’). 
«torr’antica» invece di «torre antica» 
 
d) La dialefe è invece una una pausa all’interno di uno iato. 
«O | animal grazioso⁞e benigno» (Dante, Inferno, V, 87). 
 
2.3. La clausola e i tre tipi di versi italiani 
Nella metrica italiana si presta particolare attenzione alla parte finale di un 
verso (detta anche clausola). 
 
1 Gruppo costituito da due vocali che si seguono nella medesima sillaba. Una delle due è vocale 
sillabica, l’altra può essere sia vocale vera e propria ma asillabica, sia semiconsonante. 
3 
 
I versi, così, che terminano con una parola piana (con accento tonico sulla 
penultima sillaba, es. “inìzio”, “continènte”) sono chiamati versi piani. 
I versi che terminano con una parola tronca (con accento grafico sull’ultima 
sillaba, es. “virtù’, “libertà”) sono chiamati versi tronchi. 
I versi con un’ultima parola sdrucciola (con accento tonico sulla terzultima 
sillaba, es. “tàvolo”, “èsile”) sono versi sdruccioli. 
La grande maggioranza dei versi sono piani. 
 
Esempi: 
“Spesso il male di vivere ho incontrato” (Eugenio Montale): verso piano 
 “Non ho che superbia e bontà” (Giuseppe Ungaretti): verso tronco 
“(…) in silenzio. Nell’ombra del tardo crepuscolo” (Cesare Pavese): verso 
sdrucciolo 
 
2.4. I versi e il numero delle sillabe 
Nella poesia italiana i versi si distinguono in base al numero delle sillabe di cui 
sono formati. Si hanno così: i ternari, i decasillabi, gli endecasillabi, 
quindicisillabi ecc. Siccome il verso più frequente è quello piano, l’ultimo 
accento del verso cade sulla penultima sillaba (l’ultimo verso dell’endecasillabo 
cade sulla decima sillaba, l’ultimo verso del decasillabo cade sulla nona sillaba, 
ecc.) 
I versi più frequenti sono l’endecasillabo e il settenario; importanti sono anche 
il decasillabo, il novenario e il quinario. 
 
Endecasillabo 
L’endecasillabo è il verso più importante nella poesia italiana. L’endecasillabo 
ha l’ultimo accento sulla decima sillaba, e conta di solito 11 sillabe 
(endecasillabo piano). L’endecasillabo tronco conta soltanto 10 sillabe (perché 
l’ultima parola del verso è una parola tronca), l’endecasillabo sdrucciolo conta 
12 sillabe (l’ultima parola ha l’accento sull’antipenultima sillaba, vd. supra). 
Alcune forme metriche scritte di solito in endecasillabi sono il sonetto, la 
terzina (Commedia di Dante), e l’ottava rima (Orlando furioso, Gerusalemme 
liberata). 
 
Decasillabo 
Il decasillabo ha l’ultimo accento sulla nona sillaba, per cui il decasillabo piano 
(la versione di gran lunga più frequente) conta dieci sillabe. 
Il decasillabo è piuttosto raro. 
Es. “S’ode a destra uno squillo di tromba” (Alessandro Manzoni, Il conte 
di Carmagnola). 
4 
 
 
 
Novenario 
Un novenario è un verso con l’ultimo accento sull’ottava sillaba (e conta quindi 
di solito nove sillabe). E’ un verso piuttosto raro nella poesia italiana. Lo si trova 
soprattutto nella poesia dell’ultimo Ottocento e del Novecento (in Giovanni 
Pascoli e in D’Annunzio, ad esempio). 
 
Settenario 
Il settenario è un verso con l’ultimo accento sulla sesta sillaba (e conta quindi di 
solito sette sillabe). Dopo l’endecasillabo è il verso più diffuso nella letteratura 
italiana. Il settenario è frequente in generi leggeri e musicali (la canzonetta, ad 
esempio). La canzone (la forma più prestigiosa della lirica italiana, utilizzata di 
solito per argomenti importanti, e canonizzata da Dante e da Petrarca) è 
composta di diverse strofe di endecasillabi e settenari. 
 
Es. Giorgio Caproni, Uscita mattutina, è una poesia basata sull’alternanza 
(dall’effetto musicale) di settenari e novenari: 
“Come scendeva fina settenario 
e giovane le scale Annina! novenario 
Mordendosi la catenina novenario 
d’oro, usciva via settenario 
lasciando nel buio una scia novenario 
di cipria, che non finiva. novenario 
 
Senario 
Il senario è un verso con l’ultimo accento sulla quinta sillaba (e che nella 
versione piana conta sei sillabe). 
 
Es. Pietro Metastasio, da L’Arcadia in Brenta, atto III 
Dal primo momento 
che presi ad amarlo 
tal forza mi sento 
tal fede ho nel core 
che piena d’amore 
non posso lasciarlo 
ma posso morir. 
 
 
5 
 
Quinario 
Il quinario è un verso con l’ultimo accento sulla quarta sillaba (e conta quindi di 
solito cinque sillabe). È un verso piuttosto raro, utilizzato a volte anche in 
forma doppia (quinario doppio). 
 
I nomi inclusi in questa classificazione in versi non definiscono la struttura 
ritmica dei metri, né mette in rilievo i legami fra certe forme metriche. 
 
 
3. Le categorie dei metri italiani 
 
I versi italiani possono essere distintianche secondo le unità ritmiche di cui si 
compongono. Per analogia con i piedi latini si può parlare di ritmi giambici 
(giambo), trocaici (trocheo), dattilici (dattilo) e anapestici (anapesto). 
 
Il giambo è un piede formato da un’arsi di una sillaba breve e di una tesi di una 
sillaba lunga, secondo lo schema ∪ —; in termini ritmici significa una sillaba 
atona e una sillaba tonica. 
Il trocheo è formato da un elementum longum e da un elementum anceps 
nella sua forma pura secondo lo schema — ∪ ; in termini ritmici significa una 
sillaba tonica seguita da una sillaba atona. 
Il dattilo è formato da un’arsi di una sillaba lunga e da una tesi di due sillabi 
brevi, secondo lo schema — ∪ ∪; in termini ritmici significa una sillaba tonica 
seguita da due sillabe atone. 
L’anapesto è formato da due sillabi brevi che formano l’arsi e da una sillaba 
lunga che rappresenta la tesi, secondo lo schema ∪ ∪ —; in termini ritmici 
significa due sillabe atone seguita da una sillaba tonica. 
 
I metri composti di giambi e di trochei sono poliritmici, i metri dattilo-
anapestici sono monoritmici. 
I metri giambici sono il quinario, il settenario, il novenario, l’endecasillabo, il 
quindicisillabo. 
I metri trocaici sono il quaternario, il senario trocaico, l’ottonario. 
I metri dattilici e anapestici sono il trinario, il senario, il novenario, il 
decasillabo. 
 
 
 
 
 
6 
 
4. La rima 
 
4.1. Definizione e funzione 
In generale la rima si ottiene facendo terminare due o più versi con un gruppo 
di suoni uguali. 
La rima presenta due funzioni principali: 
a) una funzione fonetico - espressiva 
b) una funzione strutturale 
 
4.2. Il verso sciolto e la rima sciolta 
Esistono anche poesie composte parzialmente o interamente di versi privi di 
parole rima. In quel caso si parla di un verso sciolto. Nella tradizione poetica è 
di solito un endecasillabo (un esempio è il poema Il giorno di Parini, scritto nella 
seconda metà del Settecento). Nel Novecento, il verso diventa molto comune. 
 
Di solito, l’uso della rima può essere regolato da schemi di ricorrenza e 
alternanza delle parole che rimano (si vedano gli schemi presentati qui sotto 
della rima baciata (AABBCC), rima alternata (ABAB) e rima incrociata (ABBA). Se 
la successione delle parole rima è priva di regolarità, si parla di rima sciolta. 
 
4.3. Rime perfette vs rime non perfette 
Le rime non perfette sono rime in cui vengono ripetute soltanto alcuni elementi 
della catena sonora. 
Nel caso dell’assonanza, si ripetono soltanto le vocali della clausola, tra 
consonanti diverse. 
Es. «Fa’ la ninna, fa’ la nanna 
Piccino della mamma» 
(Canzone di Firenze) 
 
Nel caso della consonanza, si ripetono in due (o più versi) soltanto le 
consonanti delle parole rima, mentre le vocali sono diverse. 
Es. «Fior di ginestra, 
tutta s’infiora la campagna nostra, 
quando s’affaccia Nina alla finestra». 
(Foligno) 
 
4.4. La rima dal punto di vista lessicale: rima univoca, rima equivoca 
Una rima univoca consiste nella ripetizione della stessa parola 
Es. «Quella macchia! S’adopera a lavarla 
Il mare infinito; ma invano. 
7 
 
E la stella che vede, ne parla 
Al cielo infinito; ah! Invano» 
(Pascoli, L’anello) 
 
La rima equivoca consiste nella ripetizione della stessa parola ma con 
significato diverso; di solito le rime equivoche vengono utilizzate in giochi di 
parole o in artifici retorici. 
Es. «Lo viso e non diviso da lo viso, 
e per aviso credo ben visare; 
però diviso viso da lo viso, 
ch’altr’è lo viso che lo divisare». 
(Jacopo da Lentini, esempio di un “bisticcio”, o gioco retorico) 
 
4.5. La posizione della rima 
La rima baciata (AABBCC…) è usata soprattutto nella poesia popolare o in 
poesia narrativa. 
Es. «Nella Torre il silenzio era già alto. 
Sussurravano i pioppi del Rio Salto. 
 I cavalli normanni alle lor poste 
frangean la biada con rumor di croste. 
 Là in fondo la cavalla era, selvaggia, 
nata tra i pini su la salsa spiaggia»; 
(Giovanni Pascoli, La cavallina storna) 
 
La rima alternata (ABAB) prevede un incrocio di due coppie di rime. È una rima 
comune in molti generi. 
Es. « Da sé il più vecchio le spese faceva, 
per risparmio, e più forse per diletto. 
Con due fiorini un cappone metteva 
nel suo grande turchino fazzoletto». 
(Umberto Saba, Sonetto autobiografico 2) 
 
La rima incrociata (ABBA) si trova spesso nelle quartine del sonetto. 
Es. « Non chiederci la parola che squadri da ogni lato 
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco 
lo dichiari e risplenda come un croco 
perduto in mezzo a un polveroso prato». 
(Eugenio Montale, Meriggiare pallido e assorto) 
 
 
8 
 
La rima rinterzata (ABA CBC) è caratteristica delle terzine del sonetto. 
Es. « Il Tempo chiama dalla torre 
lontana… Che strepito! | È un tren, 
là, se non è il fiume che corre. 
 
O notte! Né prima io l’udiva, 
lo strepito rapido, il pieno 
fragore di treno che arriva». 
(Giovanni Pascoli) 
 
La rima incatenata (ABA BCB CDC DED ecc.) è caratteristica delle terzine 
dantesche. 
Es. «Per me si va nella città dolente, 
per me si va nell'eterno dolore, 
per me si va tra la perduta gente. 
 Giustizia mosse il mio alto fattore: 
fecemi la divina potestate, 
la somma sapienza e'l primo amore». 
(Dante, Inferno, III, 1-6) 
 
 
5. La strofa 
 
Nella maggior parte delle poesie i versi si susseguono secondo schemi più o 
meno regolari, che spesso si ripetono più volte nelle stesso componimento. I 
diversi tipi di strofe si distinguono secondo il numero di versi. 
 
Il distico 
Il distico è una strofa di due versi, di solito due versi della stessa lunghezza, e 
legata dalla rima (di solito una rima baciata, del tipo AABBCCDD…. Il distico è il 
verso tipico dell’epigramma (componimento poetico mirante a fermare in 
breve il ricordo di una vita o di un’impresa), e in generale di poesie più lunghe, 
di taglio narrativo. 
Es. La cavallina storna di Giovanni Pascoli è una poesia composta di distici 
con rima baciata (AABBCCDD) 
 
La strofa di tre versi 
Esistono diverse forme metriche composte di tre versi. La più famosa è 
indubbiamente la terzina o terza rima 
9 
 
La terzina è una strofa di tre endecasillabi. Una forma particolare, diventata 
famosa e fortunata nella letteratura italiana, è la cosiddetta terzina dantesca, 
utilizzata da Dante per la Commedia. Nella terzina il primo endecasillabo fa 
rima con il terzo, mentre il secondo fa rima con il primo e il terzo verso della 
terzina successiva. (ABA BCB CDC...). 
 
Es. Dante, Inferno, canto V: 
 Così discesi del cerchio primaio 
giù nel secondo, che men loco cinghia, 
e tanto più dolor, che punge a guaio. 
 Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: 
essamina le colpe ne l'intrata; 
giudica e manda secondo ch'avvinghia. 
 Dico che quando l'anima mal nata 
li vien dinanzi, tutta si confessa; 
e quel conoscitor de le peccata 
A 
B 
A 
B 
C 
B 
C 
D 
C 
 
La terzina viene utilizzata anche nel Novecento per poesie di lunghezza media e 
di carattere narrativo, descrittivo o riflessivo. Oltre a Pascoli, anche poeti come 
Pasolini e Sanguineti hanno utilizzato la terzina. 
 
Esistono anche terzine in altri generi poetici. Il sonetto è composto di due 
quartine e di due terzine. 
 
Un altro genere composto di strofe di tre rime è lo stornello, composto di un 
quinario e due endecasillabi. Si tratta di un genere antico, diffuso in particolare 
nell’Italia centrale. 
 
Quartina 
Una strofa di quattro versi a rima baciata, alternata o incrociata. La quartina 
compare già nelle poesie delle antiche civiltà come l’antica Grecia e l’antica 
Roma. 
I primi otto versi del sonetto sono composti di due quartine. In particolare 
nell’Otto-Novecento si trovanoanche poesie composte di quartine (es. Alla 
stazione una mattina d’autunno di Giosuè Carducci, o Non chiederci la parola di 
Eugenio Montale). 
 
La quinta rima 
Una strofa di cinque versi. 
 
10 
 
La strofa di sei versi (sestina) 
Sei versi, a volte secondo lo schema ABABAB, ma lo schema più frequente è 
però ABABCC. Altre varietà risultano dallo spezzamento del quindicisillabo. 
Sotto il nome di sestina si può distinguere tra: 
Sestina narrativa: una stanza composta da sei versi endecasillabi. 
Sestina lirica: è caratterizzata da stanze indivisibili e dalle seguenti 
regole (il componimento è formato da sei stanze di sei endecasillabi 
ciascuno; nessun verso rima all’interno della stanza; i versi che rimano 
tra loro terminano con la stessa parola-rima; nel congedo di tre versi 
ricompaiono tutte e sei le parole rima; i versi sono ordinati secondo la 
retrogradatio cruciata secondo lo schema ABCDEF, FAEBDC, CFDABE, 
ECBFAD, DEACFB, BDFECA. La sestina lirica fu utilizzata per es. da 
Francesco Petrarca che la inserì nove volte nel suo Canzoniere. 
 
La settima rima 
Una forma molto rara che si ottiene dalla sestina tradizionale (ABABCC) per 
mezzo dell’introduzione di un verso sdrucciolo sciolto dopo il quinto. 
 
L’ottava rima 
Dopo la terzina, è la strofa più famosa della poesia italiana. La sua forma 
primitiva era probabilmente l’ottava siciliana, secondo lo schema ABABABAB. 
L’ottava rima ha ricevuto la sua forma codificata nel Trecento (in alcune opere 
di Giovanni Boccaccio) con lo schema ABABABCC. 
Fino al Settecento è rimasta la forma metrica dei poemi epici. I poemi di 
Matteo Maria Boiardo (Orlando innamorato), Ludovico Ariosto (Orlando 
furioso), Torquato Tasso (Gerusalemme liberata) e Giovan Battista Marino 
(Adone) sono tutti stati scritti in ottava rima. 
 
La nona rima 
La nona rima, piuttosto rara, si può considerare un’ottava a cui si è aggiunto un 
altro verso. 
 
La decima rima 
E’ una strofa formata di tre coppie di endecasillabi a rima alterna seguite da tre 
endecasillabi monorimi e un endecasillabo che si rima col secondo delle coppie: 
ABABABCCCB. Usata in componimenti di argomento sacro o di carattere 
popolare. 
 
 
 
11 
 
6. Dalla strofa al genere: forme strofiche fisse e composte 
 
In alcuni casi certe forme strofiche vengono combinate in uno schema 
complesso che diventa un genere letterario autonomo. 
 
La ballata 
La ballata è un genere apparso intorno alla metà del XIII secolo nell’Italia 
centrale. Il genere viene perfezionato dagli stilnovisti e dal Petrarca. 
È formata di tre parti: il ritornello, la parte centrale con la stanza e la volta, e la 
ripresa. 
Secondo il numero di versi nel ritornello si può distinguere tra la ballata grande 
(ritornello con quattro versi), la ballata mezzana (ritornello con tre versi); 
ballata minore (ritornello con due versi) e la ballata piccola o minima 
(ritornello con un verso). 
 
Esempio: Guido Cavalcanti, Era in penser d’amor quand’i’ trovai 
 
Era in penser d’amor quand’ i’ trovai 
due foresette nove. 
Ritornello L’una cantava: «E’ piove 
(ripresa) Gioco d’amore in noi» 
 
Era la vista lor tanto soave 
Stanza e tanto questa, cortese e umile, 
ch’i dissi lor: «Vo’ portate la chiave 
di ciascuna vertù alta e gentile. 
 
Deh! Foresette, no m’abbiate a vile 
Volta per lo colpo ch’io porto; 
questo cor mi fue morto, 
 
Ripresa poi che ‘n Tolosa fui. 
 
La canzone 
La canzone è un genere composto di un numero indeterminato di strofe, 
caratterizzate da un’alternanza di endecasillabi e settenari. Secondo lo schema 
concreta si hanno tre varietà principali: 
Nella canzone antica o petrarchesca le strofe, di numero variabile, presentano 
lo stesso schema strutturale (stesso numero di versi, stessi tipi di versi, di solito 
endecasillabi alternati a settenari). L’unica strofa che può avere uno schema 
12 
 
diverso è il cosiddetto congedo o commiato, una strofa conclusiva con un 
numero limitato di versi. 
Le strofe regolari sono costituite da due elementi: la fronte (suddivisa in piedi) 
e la sirima/coda (suddivisa in volte); spesso tra i due si trova anche la 
diesi/chiave. Nella sirima alla fine si trova spesso un distico finale. 
La canzone leopardiana o libera è caratterizzata da una libertà parziale o totale 
nella struttura delle strofe. Si può avere un certo numero di versi sciolti 
intercalati negli schemi tradizionali, ma si possono avere anche strofe diseguali 
tra loro per il numero di versi. Nel canto A Silvia di Leopardi le strofe vanno da 
sei a quindici versi e quasi in ciascuna più della metà dei versi sono senza rima. 
 
Il sonetto 
Nella forma più generale è costituito da quattordici endecasillabi, raggruppati 
in due quartine e due sestine. Esiste una similitudine strutturale fra questa 
struttura interna del sonetto e la suddivisione delle strofe di una canzone in 
fronte e sirima: le quartine corrispondono ai due piedi della fronte, mentre le 
due terzine corrispondono alle due volte della sirima. Tra le quartine e le 
terzine c’è quasi sempre una forte cesura sintattica. 
Vi sono anche sonetti minori in ottonari e settenari e minimi in quinari. 
Dal punto di vista della lunghezza si possono distinguere: 
- Il sonetto caudato (con coda di uno o più versi) 
- Il sonetto doppio (con un settenario dopo ciascuno dei versi dispari 
delle quartine e dopo ciascuno dei versi pari delle terzine) 
- Il sonetto reinterzato (con settenario dopo ciascuno dei versi dispari 
delle quartine e dopo il primo e il secondo verso di ciascuna terzina) 
- Il sonetto con fronte di dieci versi 
 
Alcuni esempi di sonetti novecenteschi: 
 
Mio padre è stato per me "l'assassino"; 
fino ai vent'anni che l'ho conosciuto. 
Allora ho visto ch'egli era un bambino, 
e che il dono ch'io ho da lui l'ho avuto. 
 
Aveva in volto il mio sguardo azzurrino, 
un sorriso, in miseria, dolce e astuto. 
Andò sempre pel mondo pellegrino; 
più d'una donna che l'ha amato e pasciuto. 
 
Egli era gaio e leggero; mia madre 
13 
 
tutti sentiva della vita i pesi. 
Di mano ei gli sfuggì come un pallone. 
 
"Non somigliare - ammoniva - a tuo padre": 
ed io più tardi in me stesso lo intesi: 
Eran due razze in antica tenzone. 
(Umberto Saba) 
 
Donna bambina ma di troppe brame 
o donna di dolori e di buriane, 
sempre presa da trippe e budellame, 
non so uscire dal buio stamane, 
 
dal cavo della mia notte catrame, 
e sollevarmi e via con voglie grame 
tra geli duri e colpi di caldane, 
fingendo quieti, cose lievi e piane, 
 
per i giorni di guerra e bulicame 
e per predar le prede piene e vane, 
e a vedere come senza esche o trame 
 
poco lega l'amoroso legame… 
Oh cuore che mi caschi! Che rimane? 
Un annientato niente. E ho anche fame. 
 (Patrizia Valduga) 
 
Verso libero 
Il verso libero, che si è affermata nella poesia italiana dal primo Novecento in 
poi, si caratterizza per un uso libero di accenti e sillabe. Il poeta non segue 
quindi gli schemi metrici della tradizione, né per i singoli versi (endecasillabo, 
settenario, ...), né (soprattutto) per l’organizzazione dei versi in forme metriche 
(canzone, sonetto, sestina,...). Da questo punto di vista, forse è più corretto 
parlare di poesia libera, piuttosto che semplicemente di verso libero. 
 
(ultimo aggiornamento: 14 / 02/ 2013)