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Commento al nuovo art. 615 c.p.c. Un ter

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daMiano Micali
Un termine finale per l’opposizione all’esecuzione…o forse no? 
Sottofondo di una polemica sulla stabilità (e sull’efficacia 
processuale e sostanziale) dell’esecuzione forzata*
Sommario: 1. L’“ultimo” intervento in materia esecutiva con il d.l. 3-5-2016, n. 59. – 2. Introduzione 
al problema del “termine finale” per l’opposizione. – 3. L’interpretazione e gli effetti della formula legisla-
tiva. – 4. Il rafforzamento (indiretto) della teoria sulla stabilità degli esiti esecutivi. – 5. Cenni all’efficacia 
processuale e sostanziale dell’atto esecutivo.
1. L’“ultimo” intervento in materia esecutiva con il d.l. 3-5-2016, n. 59.
È ormai noto che la penna del legislatore del processo civile abbia assunto un ritmo 
di lavoro a dir poco frenetico, come dimostra la febbrile produzione di “riforme”, 
alla continua ricerca dell’“efficientismo” processuale1; il che, se offre continui 
spunti di riflessione normativa, anche critica, non sempre si traduce in un beneficio 
per la chiarezza e la coerenza del sistema2. In questo contesto generale, peraltro, 
* Il presente contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee.
1 Già in occasione del commento al d.l. 12-9-2014, n. 132, gradi, Inefficienza della giustizia civile 
e «fuga dal processo», Messina, 2014, 14, rilevava l’«affastellamento di riforme disorganiche, ovvero di 
progetti di riforma presentati, ritirati o anche solo annunciati», aventi la comune finalità di «rendere 
più efficiente e snello il processo di cognizione e il processo esecutivo, al fine di ridurre la convenienza 
di strategie processuali basate su tattiche ostruzionistiche».
2 Assai critico dell’operato del legislatore è, ad esempio, Tedoldi, Le novità in materia di esecuzione 
forzata nel d.l. n. 83/2015…in attesa della prossima puntata…, CorG, 2016, 153 ss., il quale contesta 
la ripetuta novellazione del codice con «dettami (stentiamo, invero, a chiamarle norme) sempre più 
prolissi e illeggibili, aggiunti anche in sede di conversione e scritti in perfetto stile burocraticobancario-
ministeriale» e dichiara «irreversibilmente compiuta (…) la crisi del positivismo giuridico e, diremmo, 
del diritto stesso come strumento di conformazione anzitutto logica e sistematica della realtà effettuale, 
per il sopravvento incontrastato di una tecnocrazia economicofinanziaria, che sostituisce al pensiero 
giuridico la più prosastica delle prassi aziendalistiche»; caPPoni, Dieci anni di riforme sull’esecuzione 
forzata, in www.judicium.it, 2015, 3, ammonisce che «la corrività e l’imprevedibilità con cui il legislatore 
continua ad attivarsi, come fosse alla ricerca veemente del tassello mancante, portano a credere che la 
OPINIONI E COMMENTI
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l’esecuzione forzata ricopre un inedito ruolo di primaria importanza3, avendo ormai 
abbandonato i panni della «Cenerentola del processo civile»4, e assunto quelli di 
perno di un rapporto sempre più stretto «tra diritto processuale civile e crescita 
economica che, nella specifica prospettiva dell’esecuzione forzata, si traduce nella 
tutela “competitiva” del credito»5, la quale è ostacolata – stando ai dati rilevati dal 
Governo italiano in relazione al rapporto “doing business” della Banca Mondiale – 
da un impegno temporale per il “recupero del credito” pari a circa tre volte quello 
necessario per ottenere soddisfazione in altri paesi avanzati6; competitività in virtù 
della quale, dopo l’ottenimento di un titolo per un diritto certo, liquido ed esigibile, 
«i controlli sono riguardati con insofferenza crescente», e «le possibilità di conte-
stazioni sono viste come ostacoli per la tempestiva realizzazione del diritto, e un 
sistema tanto più risulterà “competitivo” quanto meno spazio assicuri agli incidenti 
di cognizione»7.
stagione delle riforme “a sorpresa” non sia ancora terminata. È una prospettiva che seriamente preoc-
cupa gli operatori, sempre più disorientati. L’individuazione del diritto vigente e di quello applicabile 
è operazione che a volte richiede uno studio a sé»; Bove, Sugli ultimi “ritocchi” in materia di espropria-
zione forzata nel D.L. n. 59/2016, www.lanuovaproceduracivile.com, 2016, 2, rileva che «i Governi che si 
sono succeduti negli ultimi quindici anni, compreso quello attuale, hanno avuto e continuano ad avere 
un approccio ai problemi della giustizia civile, se così possiamo dire, confusionario e compulsivo».
3 Rileva roMano, Espropriazione forzata e contestazione del credito, Napoli, 2008, 69, che «fino al 
2005, la materia ordinata nel libro terzo del codice è rimasta per lo più ai margini dei moti e dei processi 
di rinnovamento, pressoché del tutto negletta non soltanto da quegl’interventi normativi concreta-
mente poi riusciti, i quali hanno in linea di massima riguardato il giudizio ordinario di cognizione ed i 
procedimenti speciali, ma sovente già da molti dei disegni e dei progetti di riforma successivamente non 
riversati in alcun atto avente forza di legge»; sul tema, v. pure le considerazioni di caPPoni, op. cit., 1 
ss., il quale evidenzia che, se, «quando, verso la fine degli anni Ottanta, s’iniziò a parlare di interventi di 
“pronto soccorso” sul processo civile, a nessuno venne in mente di proporre qualche misura “urgente” 
per l’esecuzione forzata», al contrario, «dal 2005 a oggi (…) il processo esecutivo è entrato in una 
girandola di riforme».
4 Miccolis, Le modifiche alla disciplina dell’esecuzione forzata: quadro generale, FI, 2015, V, 76. id., 
Prospettive ed evoluzione del processo esecutivo in Italia, in dalFino (a cura di), Scritti dedicati a Mauri-
zio Converso, Roma, 2016, 321 ss., rileva d’altra parte come, dal 2005 in poi, il processo esecutivo abbia 
ricevuto attenzioni crescenti da parte del legislatore, tanto da affermare, per riprendere la metafora già 
utilizzata, che «Finalmente nel 2005/2006 (…) Cenerentola ha incontrato il suo “Principe Azzurro”».
5 caPPoni, Il giudice dell’esecuzione e la tutela del debitore, RDPr, 2015, 1461; in argomento, v. anche 
Id., Il processo civile e la crescita economica (una commedia degli equivoci), in www.giustiziacivile.com, 
2015; Id., Dieci anni di riforme, cit., 12 ss.; sul tema della “competitività” del processo civile, v. inoltre 
caPoni, Doing business come scopo del processo civile?, FI, 2015, V, 10 ss.
6 Su queste tematiche, e sui rischi insiti nella funzionalizzazione del diritto alle esigenze, non meglio 
precisate, dello sviluppo economico, v. caPoni, op. loc. cit., che ha stimolato le considerazioni, in tema di 
(in)efficienza del sistema giudiziario italiano e della sua scarsa attrattività a livello mondiale, di PaTrone, 
Doing Business e processo civile. A proposito di uno scritto di Remo Caponi, in www.academia.edu.
7 caPPoni, Il giudice dell’esecuzione, cit., 1461.
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Opinioni e commenti 421
Seguendo, con buona probabilità, questo (in sé, non sempre encomiabile e in 
parte anche discutibile) intento, il legislatore della decretazione d’urgenza8 – con 
un intervento peraltro non preannunciato dal disegno di legge delega per la riforma 
del processo civile già approvato dalla Camera e, mentre scrivo, ancora all’atten-
zione del Senato9 – ha modificato il testo dell’art. 615 c.p.c., intervenendo su una 
norma che, prima dell’ulteriore recente d.l. 27-6-2015, n. 83, convertito con l. 6-8-
2015, n.  13210, era rimasta sostanzialmente immutata dall’emanazione del codice 
di rito11, salvo che per le modifiche apportate dal d.l. 14-3-2005, n. 35, convertito 
con l. 14-5-2005, n. 80, che aveva riconosciuto, dietro gli stimoli della dottrina, il 
8 Le critiche sul più recente modus legiferandi sono purtroppo ricorrenti, sicché mi limito qui a 
richiamare alcune delle ultime manifestazioni, impersonate dalla voce di caPPoni, Il giudice dell’ese-cuzione, cit., 1462, che ammonisce che l’intervento sul processo civile è sempre più spesso «realizzato 
con veicoli che consentono di aggirare o escludere in radice il dibattito tra le categorie interessate: 
il decreto-legge (che entrerà in vigore non prima della legge di conversione), l’emendamento “a sor-
presa”, la norma delegata. Un legislatore occulto, attivissimo nella sua compulsività, lancia segnali 
riconoscibili da una platea specializzata di osservatori internazionali che curano una particolare conta-
bilità: “la prestazione dei diversi sistemi giudiziari può essere espressa in elementi misurabili e compa-
rabili tra di loro”». Critico “a monte” è caPoni, op. cit., 11, il quale rileva che «gli interventi legislativi 
si susseguono a raffica, poiché i rapporti internazionali che conteggiano le riforme nei vari paesi 
escono a cadenza annuale o biennale. Conta l’approvazione della riforma, più che il grado della sua 
effettiva attuazione, poiché la prima è facilmente conteggiabile, la seconda meno». L’interventismo 
compulsivo del legislatore del processo civile è stato censurato pure da consolo, Un d.l. processuale in 
bianco e nerofumo sullo equivoco della “degiurisdizionalizzazione”, CorG, 2014, 1173 ss., che riconosce 
che «il legislatore processuale ha ormai abituato gli operatori del diritto ad interventi minuti, privi 
a monte di un coerente disegno riformatore. Si modifica una disposizione qui e una lì, nella (vana) 
speranza che ciò sia sufficiente a portare un po’ di ossigeno alla nostra giustizia civile, ormai da lustri 
in affanno (o forse solo per mostrare attivismo). Ovviamente non è così: l’intervento “a macchia di 
leopardo” (come già in passato l’abbiamo definito, degradando oggi quel felino ut supra), se va bene, 
non muta lo stato delle cose; se va male incrina e complica istituti già rodati, i cui mali non risiedono 
certo nella loro disciplina positiva, ma nella cronica carenza di risorse e di disciplina dei fattori umani 
in campo».
9 Si tratta del d.d.l. 2953/XVII/C, approvato dalla Camera dei Deputati il 10-3-2016 e poi tra-
smesso al Senato della Repubblica, dove è ancora oggetto di esame come d.d.l. 2284/XVII/S, che nulla 
dispone(va) al riguardo.
10 Il quale, aggiungendo un terzo periodo al primo comma dell’art. 615 c.p.c., secondo cui, «se il 
diritto della parte istante è contestato solo parzialmente, il giudice procede alla sospensione dell’effi-
cacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata», si è limitato a conferire 
riconoscimento in via legislativa a quanto già avveniva nella pratica giudiziale. In argomento, Tedoldi, 
op. cit., 181, considera la precisazione «un’ovvietà, che il legislatore ha inteso introdurre expressis verbis 
nel comma 1 dell’art. 615 c.p.c.», poiché «nessuno dubitava che il giudice dell’opposizione a precetto 
possedesse, già prima della novella, poteri di sospensione parziale dell’efficacia esecutiva del titolo».
11 Evidenzia roMano, op. cit., 96, che «proposte e disegni di rinnovamento i quali abbiano avuto 
vasta eco, in genere assai sporadici in relazione a tutto il libro terzo, risultano specialmente rari proprio 
a proposito dell’opposizione all’esecuzione», e le relative disposizioni normative «non solo sono rimaste 
inalterate sin dall’origine del codice di procedura civile, ma prima del 2006 hanno costituito oggetto di 
riflessione in chiave di riforma – si direbbe quasi “contro voglia” ed in maniera obbligata – pressoché 
unicamente nel quadro dei progetti di legge delega per la revisione organica dell’intero codice di rito».
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potere inibitorio dell’efficacia esecutiva del titolo anche al giudice dell’opposizione 
all’esecuzione c.d. a precetto (e salva la – fortunatamente – brevissima parentesi di 
operatività dell’art. 14, l. 24-2-2006, n. 52, che aveva aggiunto un inciso all’art. 616 
c.p.c., secondo cui «la causa è decisa con sentenza non impugnabile», poco dopo 
soppresso dall’art.  49, 2° co., l. 18-6-2009, n.  69, che aveva ristabilito il regime 
impugnatorio tradizionale12).
L’ultimo intervento in ordine di tempo, apportato dall’art. 4, 1° co., lett. a e l, d.l. 
3-5-2016, n. 59, già convertito, con modifiche, con l. 30-6-2016, n. 119, si manife-
sta attraverso l’aggiunta di un terzo periodo al secondo comma dell’art. 615 c.p.c., 
che testualmente recita che «nell’esecuzione per espropriazione l’opposizione è 
inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione a 
norma degli articoli 530, 552, 569, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero 
l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui 
non imputabile»; aggiunta cui fa eco la contestuale novellazione dell’art. 492, 3° co., 
c.p.c., cui è stato aggiunto l’inciso che «il pignoramento deve contenere l’avverti-
mento che, a norma dell’articolo 615, secondo comma, terzo periodo, l’opposizione 
è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione 
a norma degli articoli 530, 552 e 569, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti 
ovvero che l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per 
causa a lui non imputabile»13.
È solo incidentalmente che segnalo la ricorrente, impunita e preoccupante per-
severanza del governo-legislatore nel confessare apertamente l’assenza del requisito 
dell’urgenza nelle disposizioni inserite nel decreto legge, come dimostra l’art. 4, 3° 
12 Sulla vicenda, anche per un approfondito esame delle complicazioni interpretative e pratiche 
e delle critiche generate dall’accennata riforma, v. longo, Le opposizioni dell’esecutato e dei terzi nel 
processo esecutivo, in Miccolis-Perago (a cura di), L’esecuzione forzata riformata, Torino, 2009, 622 ss.
13 Incidentalmente, bisogna rilevare che la norma non specifica le conseguenze dell’eventuale man-
cato inserimento dell’avviso nell’atto di pignoramento, e tuttavia mi sembra di dovere escludere che ciò 
possa risolversi in una causa di nullità, in quanto l’avvertimento non deve ritenersi essenziale allo scopo 
dell’atto di pignoramento, come del resto accade per gli ulteriori avvertimenti richiesti dall’art. 492 
c.p.c. (quanto alle conseguenze dell’omissione dell’avvertimento di cui all’art. 492, 3° co., c.p.c., rela-
tivo alla possibilità di ricorrere alla conversione ex art. 495 c.p.c., v. Cass., Sez. III, 23-3-2011, n. 6662, 
che esclude la nullità, e tuttavia ritiene impossibile la prosecuzione dell’esecuzione sino alla vendita, se 
prima non sia stato integrato l’avvertimento), e può perciò dar luogo a mera irregolarità, forse (neces-
sariamente) sanabile con un’integrazione postuma. In questi termini, v. Farina, Le modifiche “urgenti” 
all’espropriazione forzata nel d.l. 3 maggio 2016, n. 59, in www.eclegal.it, 2016, § 1, la quale ritiene che il 
vizio «possa essere sanato mediante notifica di un atto successivo da parte del creditore procedente (o 
di altro creditore intervenuto) prima della pronuncia dell’ordinanza di vendita»; diversamente, Bove, 
Sugli ultimi “ritocchi”, cit., 10, crede «ragionevole ritenere che essa, più che provocare una nullità del 
pignoramento, conduca piuttosto ad escludere l’operatività della preclusione stabilita nel correlato 
secondo comma dell’art. 615 c.p.c., così come oggi è stato riscritto. L’alternativa sarebbe ritenere che la 
disposizione che impone il detto avvertimento finisca per essere una norma senza effettiva cogenza, la 
qual cosa non sembrerebbe razionale».
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Opinioni e commenti 423
co., d.l. 59/2016, per cui «le disposizioni di cui al comma 1, lettere a) e l), si appli-
cano ai procedimenti di esecuzione forzata per espropriazione iniziati successiva-
mente all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
Tornando al merito,ove ci si lasci coinvolgere dall’intento “competitivo” som-
mariamente tratteggiato, l’inserimento delle norme nel sistema sembrerebbe 
immediato, e dovrebbe consentire di rilevare la positivizzazione di un termine 
finale per la proposizione dell’opposizione all’esecuzione, i.e. per l’esercizio dello 
strumento rimediale ad hoc per il controllo di legalità e giustizia dell’esecuzione 
forzata, consistente in un’azione cognitiva che sollecita un’attività di valutazione 
e giudizio della pretesa creditoria rappresentata nel titolo esecutivo14. Tale inseri-
mento, infatti, in un’ottica efficientista e competitiva, dovrebbe non solo ridurre 
l’impegno temporale necessario per il “recupero dei crediti”, limitando l’impiego 
delle parentesi cognitive endoesecutive, ma anche garantirne la stabilizzazione 
dei risultati, impedendo la contestazione “tardiva”, e dunque permettere al c.d. 
“sistema Italia” l’agognata scalata del ranking mondiale sull’efficienza dei sistemi 
giudiziari nazionali, dalle cui risultanze è sempre più dipendente il c.d. enforce-
ment shopping, e quindi la scelta del paese in cui intraprendere un’attività eco-
nomica a seconda dell’efficacia e dell’efficienza del sistema di tutela esecutiva 
offerto.
Al netto delle ipotizzate motivazioni, per la cui ragionata critica rimando ai lavori 
citati in nota 5, e per restare invece al tema (e sul piano) prettamente tecnico, una 
tale conclusione sarebbe (stata) positivamente accolta da chi scrive, che si era già 
espresso a favore del riconoscimento di una “preclusione” all’esercizio dello stru-
mento oppositivo, e ciò non solo nel senso che, dopo la chiusura dell’esecuzione, al 
debitore sia impedito l’utilizzo del rimedio previsto dall’art. 615 c.p.c., ma anche 
nel più generale senso che, una volta conclusasi l’esecuzione con la realizzazione 
di un risultato favorevole per il creditore, al debitore sia preclusa la spendita di 
rimedi cognitivi “tardivi” per recuperare il risultato ottenuto, attraverso la contesta-
zione “postuma” dell’esistenza dei presupposti per la soddisfazione del credito, i.e. 
l’azione esecutiva (in particolare il titolo esecutivo, che ne è l’elemento costitutivo 
principale) e il diritto di credito15.
14 Sull’opposizione all’esecuzione, tra i tanti, v., oltre ai classici scritti di lieBMan, Le opposizioni di 
merito nel processo esecutivo, Roma, 1936, passim, e di Furno, Disegno sistematico delle opposizioni nel 
processo esecutivo, Firenze, 1942, passim; Mandrioli, voce Opposizione (diritto processuale civile), Enc. 
dir., XXX, Milano, 1980, 431 ss.; vaccarella, voce Opposizione all’esecuzione, Enc. giur., XXI, Roma, 
1990, 1 ss.; oriani, voce Opposizione all’esecuzione, Digesto/civ., XIII, App., Torino, 1995, 585 ss.; 
Bucolo, L’opposizione all’esecuzione, Padova, 1985; per una panoramica sugli strumenti di opposizione 
nel processo esecutivo, dopo le riforme del 2005-2009, v. longo, op. cit., 549 ss.
15 V., si vis, Micali, Titolo esecutivo e “conflitti esecutivi”: alcune dinamiche in materia di esecuzione 
forzata nella più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite, REF, 2015, 441 ss.
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E tuttavia, l’intenzione del legislatore non emerge in questo senso dal dettato 
normativo, che anzi sembrerebbe, a un esame più realistico, inidonea allo scopo 
prefigurato. In effetti, vi sono alcuni interrogativi che consentono subito di esclu-
dere l’interpretazione dell’inciso nel senso appena proposto; ad esempio: perché, 
se lo scopo era quello di precludere l’esercizio tardivo dei rimedi cognitivi avverso 
l’esecuzione, così da garantirne la stabilità, il legislatore ha ritenuto di fissare il ter-
mine finale non già al momento della chiusura del procedimento esecutivo, e dun-
que dell’adozione del provvedimento satisfattivo, bensì a un momento (abbastanza) 
anticipato rispetto a questo, come quello dell’emanazione dell’ordinanza determi-
nativa delle modalità di liquidazione degli assets pignorati? Perché, se questa era 
l’idea, il legislatore ha “omesso” di considerare che, accanto all’opposizione all’ese-
cuzione, esiste un ulteriore (successivo) e specifico strumento di contestazione dei 
crediti, tipicamente collocato proprio dopo la liquidazione, che è l’opposizione 
distributiva ex art. 512 c.p.c.? E infine, perché, se il legislatore voleva garantire la 
stabilità e l’efficienza dell’esecuzione, ha sentito il bisogno di fissare un termine solo 
per l’espropriazione, e non anche per le esecuzioni in forma specifica, per le quali 
non esiste una previsione analoga?
Queste riflessioni confermano il dubbio sopra prospettato e inducono subito a 
indirizzare la ricerca in un ambito non già “esterno”, bensì “interno” all’esecuzione, 
rectius all’espropriazione; e cioè, non nel senso di indagare sulle possibilità rimediali 
al di fuori dell’esecuzione, e una volta conclusa la stessa, ma di valutare il (rinnovato) 
rapporto con gli altri “mezzi di controllo” endoesecutivi; solo dopo aver compiuto 
questa ricerca, forse, l’occasione della modifica normativa potrà essere colta per 
ulteriori riflessioni a proposito dell’accennata questione dell’effettività e definitività 
dei risultati dell’esecuzione.
2. Introduzione al problema del “termine finale” per l’opposizione.
Prima di procedere nel senso indicato, nondimeno, è ancora opportuno rilevare 
il collegamento che comunque sussiste tra la stabilità dell’esecuzione e la questione 
del termine finale per la sua opposizione, com’è evidente dalla considerazione del 
ruolo che l’opposizione all’esecuzione assume all’interno del sistema del Libro III 
del codice di rito. E infatti, storicamente – anche in virtù dell’opera legislativa di eli-
minazione delle «sovrastrutture imitate dal procedimento contenzioso», che ha fatto 
sì che si cristallizzasse l’idea che «il processo di esecuzione non ha, nella sua essenza, 
carattere contraddittorio»16, ed è comunque inidoneo all’attività decisoria – si è rite-
nuto che l’attività compiuta dinanzi al giudice dell’esecuzione abbia e debba avere 
(almeno per regola) natura prettamente esecutiva, di “attuazione del programma” 
16 Così la Relazione al re del ministro guardasigilli sul codice di procedura civile del 1940, n. 31.
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Opinioni e commenti 425
scolpito nel titolo esecutivo, mentre ogni contestazione implicante una valutazione 
e decisione con efficacia di accertamento richieda l’esercizio delle apposite azioni 
oppositive (artt. 615, 617, 619, 512 c.p.c.), che introducono delle parentesi cogni-
tive esterne, strutturalmente autonome ma funzionalmente coordinate e deputate 
al controllo dell’esecuzione. È evidente, pertanto, che la primaria giustificazione 
della regola di stabilità degli esiti esecutivi sia rinvenibile proprio nel meccanismo 
dell’onere di reazione attraverso opposizione, la cui attivazione è rimessa all’inizia-
tiva del soggetto passivo.
È così, dunque, che il discorso sulla stabilità dell’esecuzione coinvolge non sol-
tanto la problematica della natura dell’opposizione, ma anche e particolarmente 
quella dell’esistenza di un termine finale per la proposizione di questa. E, se sulla 
natura dell’opposizione la dottrina si è prevalentemente assestata nel senso di rite-
nere che essa sia uno strumento di controllo dell’esecuzione illegittima e/o ingiusta, 
introduttivo di un’azione di mero accertamento avente a oggetto l’azione esecutiva 
(in particolare, il titolo esecutivo; c.d. opposizione d’ordine o di rito all’esecuzione) 
e/o il diritto di credito (c.d. opposizione di merito all’esecuzione)17; la questione 
del termine finale è invece un po’ più complessa, non solo perché, a quanto pare, 
il codice non ne prevede(va?) uno18, ma anche perché bisognerebbe innanzitutto 
cogliere il senso di un tale, eventuale, termine.
A tal proposito, non solo valela pena ricordare che l’espressa previsione di un ter-
mine finale per l’opposizione ha talvolta costituito oggetto di suggerimenti de iure 
condendo19, e ha, in taluni casi, fatto apparizione in proposte di riforma della legi-
slazione20, ma è anche necessario evidenziare che, se gli interpreti non dubitano che 
17 Per queste conclusioni, con le ineliminabili differenze, v. in particolare Furno, op. cit., 129 ss.; 
Mandrioli, op. cit., 432 ss.; oriani, op. cit., 585 ss.; più recentemente, longo, op. cit., 553 ss.
18 Rileva Mandrioli, op. cit., 445, che «l’opposizione all’esecuzione non è assoggettata ad alcun 
termine di preclusione, neppure a quello che emerge indirettamente dagli art. 530 e 569 c.p.c. e che 
sicuramente riguarda soltanto le opposizioni agli atti esecutivi. In pratica, il termine finale è determi-
nato dall’esaurimento delle operazioni esecutive (…)».
19 In questo senso si era già espresso grasso, Il processo esecutivo nelle prospettive della ricodifica-
zione, RDPr, 1985, 547; in tema, v. pure la proposta di ProTo Pisani, Per un nuovo codice di procedura 
civile, FI, 2009, V, 101 ss., che distingueva tra opposizione all’esecuzione per motivi di merito e per 
motivi di rito, la prima potendo proseguire anche dopo la vendita, sebbene “convertita” in opposizione 
distributiva; la seconda potendo invece continuare, anche dopo la vendita, al solo fine «dell’accerta-
mento degli eventuali danni dovuti all’opponente».
20 V., a tal proposito, l’art. 21, d.d.l. 1463/VIII/S; l’art. 2, 2° co., n. 33, lett. a e b, della proposta della 
c.d. “Commissione Tarzia” (visionabile in RDPr, 1996, 945 ss.), poi ripreso dal d.d.l. 7353/XIII/C, il 
cui art. 2, 1° co., lett. nn, nn. 1 e 2, prevedeva la revisione del sistema delle opposizioni nel senso della 
«proponibilità dell’opposizione all’esecuzione per espropriazione fino al provvedimento che dispone 
l’assegnazione o la vendita (…)», e con la «previsione che il precetto per l’espropriazione contenga, a 
pena di nullità, l’espresso avvertimento del termine per proporre l’opposizione»; l’art. 43, lett. a, d.d.l. 
4578/XIV/C, che voleva introdurre un termine per la c.d. opposizione di merito, «avente ad oggetto le 
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l’opposizione all’esecuzione non sia più proponibile una volta chiusa l’esecuzione21, 
analoga concordia non sussiste a proposito della valenza di questo termine “finale”, 
non tutti essendo d’accordo sul rilievo che la sua vana decorrenza impedisca succes-
sivi “pentimenti” o “ripensamenti” del debitore e consenta la cristallizzazione degli 
esiti satisfattivi dell’esecuzione22 (per approfondimenti, v. infra, §§ 4-5).
contestazioni relative al diritto sostanziale tutelato dal processo esecutivo», da proporre, nell’espropria-
zione, «non posteriormente all’espletamento della vendita forzata».
21 Cfr. Mandrioli, op. cit., 445; andrioli, Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 
1957, 342 ss.; saTTa, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1965, 469; garBagnaTi, 
Opposizione all’esecuzione, NN.D.I., XI, Torino, 1965, 1072; Bucolo, op. cit., 412 ss.; per ulteriori indi-
cazioni, v. longo, op. cit., 551.
22 I contributi sul tema sono assai numerosi, e mi limiterò a richiamarne alcuni, anche per ulteriori 
indicazioni bibliografiche; per un’accurata sintesi, v. comunque vaccarella, Titolo esecutivo, pre-
cetto, opposizioni, Torino, 1993, 55 ss., spec. 61-62. Da una parte si collocano coloro i quali escludono 
il valore definitivo dell’esecuzione, almeno nel senso di garantire la protezione dei risultati ottenuti, 
tra cui ricordo allorio, Saggio polemico sulla giurisdizione volontaria, in Problemi di diritto, II, 
Milano, 1957, 3 ss., e Id., Nuove riflessioni critiche in tema di giurisdizione e di giudicato, in Problemi 
di diritto, I, Milano, 1957, 9 ss., che, anche per via della concezione “amministrativa” dell’esecuzione 
forzata, rifiuta l’equiparazione al giudicato e considera gli esiti dell’esecuzione come soggetti a mera 
preclusione processuale e sempre aperti ad azioni per la ripetizione del consegnato; garBagnaTi, 
Preclusione “pro iudicato” e titolo ingiuntivo, RDPr, 1949, I, 302 ss.; Id., Espropriazione, azione esecu-
tiva e titolo esecutivo, RTPC, 1956, 1331 ss.; Id., Fallimento ed azioni dei creditori, RTPC, 1960, 368 
ss. e Id., Espropriazione e distribuzione della somma ricavata, RDPr, 1971, 175 ss., il quale evidenzia 
l’autonomia dell’azione esecutiva, che esclude la cognizione o l’accertamento anche sommario del 
credito sostanziale, e conclude per la mera preclusione processuale dell’atto esecutivo finale, ripeti-
bile tramite condictio indebiti; similmente, ToMei, Cosa giudicata o preclusione nei processi sommari ed 
esecutivi, RTPC, 1994, 827 ss., spec. 851 ss., che, superando e ribaltando il suo precedente pensiero 
(espresso in ToMei, I difficili nodi dell’atto di precetto, in Studi in onore di Liebman, III, Milano, 1979, 
2399 ss.), e facendo leva sulla spiccata autonomia dell’azione esecutiva rispetto al diritto sostanziale, 
contesta la stabilità degli effetti, disconoscendo tanto il valore di giudicato, quanto la contestata 
natura di preclusio pro iudicato agli esiti del processo esecutivo, perché sconnessi da qualunque cogni-
zione sul diritto sostanziale preteso; denTi, voce Distribuzione della somma ricavata, Enc. dir., XIII, 
Milano, 1964, 321 ss.; Tarzia, L’oggetto del processo di espropriazione, Milano, 1961, 49 ss., secondo 
cui «la tesi dell’ammissibilità di un giudizio di ripetizione ad esecuzione ultimata (e sempre che non 
sia stata già emessa una pronuncia definitiva in seguito ad opposizione all’esecuzione) si appoggia su 
dati positivi non trascurabili, e più ancora sull’assenza di altri dati, che impongano l’estensione al caso 
dei principii che governano la cosa giudicata sostanziale»; Bove, L’esecuzione forzata ingiusta, Milano, 
1996, 7 ss., 153 ss., ritiene che «il credito, pur rappresentando la realtà sostanziale dalla quale il pro-
cesso esecutivo parte e alla quale vuole poi tornare, non ha un ruolo nell’analisi strutturale dell’attività 
esecutiva e nella delineazione del contenuto di quell’essenziale figura giuridica processuale che è 
l’azione esecutiva», e, perciò, che è «evidente che alla fine del processo esecutivo si sa per certo che 
un trasferimento patrimoniale c’è stato, ma invero nulla si sa su quali siano gli effetti sostanziali che 
quel trasferimento ha prodotto»; in questo senso, pure la china, voce Esecuzione forzata. Profili 
generali, Enc. giur., XIII, Roma, 1993, 3 ss., che esclude la stabilità degli esiti dell’esecuzione «proprio 
perché essa volutamente copre un’area di esigenze della vita associata che la cognizione ed il giudicato 
lasciano scoperta; la esigenza e necessità che sul versante della legalità restino situate non solo le solu-
zioni definitive di vicende sostanziali ma anche le soluzioni provvisorie (…), e che quindi anche il 
provvisorio possa essere, oltre che accertato, eseguito»; caPPoni, Intervento di creditori sforniti di 
titolo esecutivo e stabilità della distribuzione forzata, GI, 1991, IV, 216 ss., che distingue tra effetto di 
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Opinioni e commenti 427
Ebbene, se si ha presente il dibattito dottrinale sulla valenza del termine finale 
per l’opposizione, mentre si legge il testo dei precedenti progetti di legge, si trae 
accertamento del credito vantato (che non discende, almeno direttamente, dalla distribuzione), e pre-
clusione processuale, legata all’«esaurimento di una fase processuale all’interno della quale tutte le 
parti potevano, senza limitazioni, giovarsi di rimedi oppositori (…)»; Id., Effetti della distribuzione 
forzata, onere di specifica contestazione dell’esecutato, ripetizione di indebito ed “autorità” della distri-
buzione tra le stesse parti del processoesecutivo in altra espropriazione successiva, FI, 1992, I, 1884 ss., 
spec. 1889, ove l’A. riprende e puntualizza alcune osservazioni già rassegnate, per distinguere la 
stabilità della distribuzione forzata dall’accertamento del credito, sicché l’eventuale azione tardiva del 
debitore che dimostrasse l’assenza di giustificazione del pagamento effettuato a favore del singolo 
creditore (ove ritenuta ammissibile, e così pare ritenere l’A.), «non sarebbe (…) una “speciale” tutela 
cognitiva avverso i risultati della distribuzione forzata (nell’ambito della quale la tutela cognitiva del 
debitore è definitivamente esaurita …), ma una “normale domanda per la restituzione di quel che al 
procedente sia stato dato senza essergli dovuto” (…)»; tale distinzione richiama quella già suggerita 
dalla pionieristica opera di lieBMan, op. cit., 238 ss., laddove, da una parte, l’A. ricorda che «l’oppo-
sizione di merito è (…) soggetta a un termine di decadenza, oltre il quale non può più essere valida-
mente proposta. Collegata infatti agli atti esecutivi (…), essa diventa improponibile quando quelli, 
succedendosi nell’ordine prestabilito, raggiungono un certo risultato che non è più consentito di 
rimuovere» (ivi, 238), e, dall’altra, precisa che, «esaurita l’esecuzione (…), è definitivamente esclusa 
ogni possibilità di opposizione. Ciò non esclude peraltro che il debitore possa far valere contro il 
creditore l’inesistenza del credito (…). Quest’azione, che non ha più alcun rapporto col processo 
esecutivo, ormai chiuso (…), tende alla restituzione delle cose sottratte con l’esecuzione (…) o quanto 
meno, se questa non è più possibile, al pagamento di una somma equivalente a titolo di risarcimento» 
(ivi, 245). Nel senso opposto, e dunque a favore della stabilità dei risultati dell’esecuzione forzata, 
vanno menzionati non solo coloro i quali ritengono di poter riconoscere all’esecuzione un’efficacia 
intermedia tra adempimento e accertamento, espressa nella formula della preclusione pro iudicato (in 
questa direzione, un primo accenno è rintracciabile nella fondamentale opera di redenTi, Diritto 
processuale civile, III, Milano, 1957, 105, secondo cui «l’esecuzione, anche se condotta fino in fondo, 
non dà luogo di per sé alla formazione di un accertamento munito di autorità di cosa giudicata nel 
senso dell’art. 2909, ma soltanto ad una presunzione o preclusione pro iudicato a protezione dei risul-
tati», sicché, se «la sua efficacia non si può estendere fuori da questo ambito», resta fermo che «il 
debitore (…) non può più ripetere quanto ciascuno dei creditori abbia percepito» (ivi, 198); v. anche 
carneluTTi, Diritto e processo, Napoli, 1958, 351, il quale, tra i primi, teorizza la stabilità della «attri-
buzione», nei riguardi del debitore, richiamando il sistema delle opposizioni esecutive, e affermando, 
in via di principio, che «se con il giudicato si inizia la conversione in essere del dover essere, con 
l’attribuzione si direbbe che tale conversione trova il suo compimento»; saTTa, op. cit., 216, che, 
similmente a Carnelutti, ma sulla base di un’impostazione totalmente differente (in virtù della quale 
«il titolo (…) è costitutivo del credito, o più in generale del diritto»; ivi, 74), ricorda che «in quanto il 
creditore abbia conseguito la somma che gli compete nella distribuzione, il suo credito è soddisfatto 
per la parte che ha ricevuto, e non può più essere messo in discussione sotto nessun profilo (salvo 
naturalmente che non fosse stata proposta opposizione, e l’esecuzione non fosse stata sospesa)»; 
Minoli, Contributo alla teoria del giudizio divisorio, Milano, 1950, 144; andrioli, op. cit., 3 ss., per il 
quale «il contrasto fra certezza e giustizia, che (…) nel processo di cognizione è composto con l’isti-
tuto della cosa giudicata a favore della prima, nel processo di esecuzione è risolto con gli art. 542 e 597 
i quali (…) fissano per le espropriazioni mobiliare e immobiliare il termine preclusivo alle opposizioni 
del debitore»; Mazzarella, Pagamento ed esecuzione forzata (note esegetiche sull’art.  494 c.p.c.), 
RTPC, 1967, 231 ss.; Bonsignori, L’esecuzione forzata, 3a ed., Torino, 1996, 175 ss., spec. 177, ove l’A. 
riconosce la «immutabilità di effetti nei rapporti fra esecutante e esecutato, pur se, in ipotesi, non 
esista un sottostante rapporto di credito-debito: ciò è dovuto (…) sia alla preclusione della opposi-
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conferma del fatto che, come anticipato, la modifica dell’art. 615, 2° co., c.p.c., non 
possa essere intesa, almeno direttamente, come positiva di un termine finale per 
ogni contestazione della pretesa creditoria; e infatti, al contrario, in ciascuno dei 
progetti menzionati, accanto alla previsione di un termine finale per la proponibi-
lità dell’opposizione all’esecuzione – limitato all’espropriazione e anticipato rispetto 
alla chiusura della stessa (proprio come statuisce l’attuale testo dell’art. 615, 2° co., 
c.p.c.) –, rimaneva ferma l’esistenza delle c.d. controversie distributive (art.  512 
c.p.c.), e cioè delle contestazioni aventi a oggetto i crediti dei creditori partecipanti 
all’espropriazione (cfr., in tal senso, art. 2, 1° co., lett. oo, n. 6, d.d.l. 7353/XIII/C; 
art. 45, 1° co., lett. c, d.d.l. 4578/XIV/C).
Appare allora chiaro che la problematica del termine di “proponibilità” dell’oppo-
sizione, per come affrontata dagli interventi normativi in esame, non è relativa alla 
definitività dell’esecuzione, ma è invece direttamente collegata ai rapporti con l’isti-
tuto delle controversie distributive, che, stando all’art. 512 c.p.c., possono portare 
alla cognizione sulla sussistenza e/o l’ammontare di uno, alcuni o tutti i crediti vantati 
nell’esecuzione, con ciò “replicando” un possibile, anzi tipico oggetto processuale 
dell’opposizione all’esecuzione: la contestazione dei fatti costitutivi e/o l’esistenza 
di fatti impeditivi, modificativi e/o estintivi del diritto di credito esercitato in execu-
tivis; quello che, tradizionalmente, si identifica con l’oggetto dell’opposizione c.d. 
di merito all’esecuzione23.
zione all’esecuzione, sia all’indiscutibilità del fondamento dell’azione, una volta che sia stata realizzata 
nell’espropriazione, sia, infine, perché manca una qualunque azione per la riapertura della distribu-
zione del ricavato»); ma anche coloro che, al di là di qualunque tertium genus, parificano l’efficacia 
dell’esecuzione a quella dell’accertamento (in questo senso, v. soprattutto Fazzalari, Lezioni di diritto 
processuale civile. Processi di esecuzione forzata, Padova, 1986, 107 ss., che, nel solco della sua teoria 
“processuale” del giudicato, come esaurimento dei poteri autoritativi del giudice, afferma e ricollega 
la stabilità degli effetti del processo esecutivo al conseguimento del bene dovuto e alla consumazione 
dei poteri di opposizione, ritenendo che, «concluso il processo di espropriazione forzata, il risultato 
(…) diventa, per la sua natura di misura giurisdizionale, incontestabile», e che, «usando 
convenzionalmente il linguaggio proprio del processo di cognizione, si può parlare anche a questo 
proposito di “cosa giudicata”, cioè di stabilità degli effetti del pagamento coattivo»; è peraltro impor-
tante ricordare che l’A. raggiunge la medesima soluzione per l’esito dei processi di esecuzione in 
forma specifica; v. anche ProTo Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2012, 736, che 
teorizza la stabilità della distribuzione del ricavato, e prima id., Note problematiche e no sui limiti 
oggettivi del giudicato civile, FI, 1987, I, 1, 453 ss., secondo cui la preclusione pro iudicato è una cosa 
giudicata «quantitativamente (non qualitativamente) minore».
23 Ciò, chiaramente, a patto che si condivida l’idea – su cui v. ancora infra nel testo – che le con-
troversie distributive siano a tutt’oggi suscettibili di condurreall’accertamento pieno sul merito del 
credito vantato, e non già a un accertamento sommario e meramente endoesecutivo su situazioni a 
rilievo esclusivamente processuale (nel primo senso, v. soprattutto caPPoni, L’opposizione distributiva 
dopo la riforma dell’espropriazione forzata, CorG, 2006, 1760 ss.; carraTTa, Le controversie in sede 
distributiva fra ‘diritto al concorso’ e ‘sostanza delle ragioni creditorie’, CorG, 2009, 559 ss.; Tiscini, Le 
controversie distributive di nuova generazione. Riflessioni sulla natura e sui rapporti con altri incidenti 
cognitivi, REF, 2015, 1 ss.); rileva a tal proposito vincre, Profili delle controversie sulla distribuzione 
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Opinioni e commenti 429
Ed è su questo aspetto che devo dunque concentrarmi, iniziando da un rapido flash-
back sulla “storia” dei rapporti tra gli strumenti oppositivi. Difatti, la previsione di un 
“doppio canale” di rimedi avverso la pretesa creditoria fatta valere con l’azione esecu-
tiva – per non parlare della convivenza, non sempre facile, tra l’opposizione all’esecu-
zione (art. 615 c.p.c.) e l’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), che però esula 
dal mio esame24 – ha determinato l’insorgere della necessità di un’actio finium regun-
dorum tra l’opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) e le controversie distributive 
(art. 512 c.p.c.), e tale questione è rimasta oggetto di dibattito fino a tempi recentis-
simi25; d’altra parte, la soluzione al problema dei rapporti tra l’opposizione all’esecu-
del ricavato, Padova, 2010, 220 ss., che «il nucleo del problema (…) ha origine soprattutto nell’idea 
che vi sia una certa contiguità tra l’opposizione all’esecuzione e la controversia distributiva sia per 
quanto riguarda l’oggetto del possibile accertamento, sia per quanto riguarda gli effetti, che esse 
producono sull’azione espropriativa, quando questa sia ormai giunta in fase di distribuzione». Per 
l’alternativa interpretativa secondo cui le controversie distributive avrebbero a oggetto non il diritto 
di credito, bensì la sua mera appendice processuale del diritto al ricavato, peraltro sostenuta dall’A. 
appena citata (vincre, op. cit., 64 ss., spec. 101 ss.), v. ancora infra. Per una panoramica dell’evolu-
zione normativa e dottrinale, v. Perago, Le contestazioni distributive nell’espropriazione forzata rifor-
mata, REF, 2012, 385 ss.
24 E per la quale rimando, su tutti, all’accurata indagine di oriani, L’opposizione agli atti esecutivi, 
Napoli, 1987.
25 Per un’ampia panoramica delle tesi proposte al riguardo, anche prima delle riforme del 2005/2006, 
v. vincre, op. cit., 224 ss., che evidenzia come sul punto si fossero sviluppati «due orientamenti: 
secondo l’uno è esclusa la possibilità di promuovere l’opposizione all’esecuzione in sede di distribu-
zione, secondo l’altro vi è invece, seppur con vari limiti, questa possibilità»; v. pure vaccarella, Titolo 
esecutivo, cit., 236 ss., 262 ss. Stando al primo degli accennati orientamenti, una volta giunti alla fase di 
distribuzione del ricavato, l’opposizione ex art. 615 c.p.c. non sarebbe più proponibile, sebbene siano 
diverse le ragioni: per alcuni (v. soprattutto MonTesano, L’opposizione all’esecuzione e le controversie 
sulla distribuzione del ricavato, RDPr, 1957, 555 ss.), ciò dipende dall’esaurimento della fase espro-
priativa e dall’apertura di una vera e propria fase cognitiva, in cui accertare i crediti degli intervenuti; 
e tuttavia, nel caso in cui non vi sia un concorso di creditori, l’unico strumento proponibile sarebbe 
ancora l’opposizione all’esecuzione (id., ivi, 565); per altri (v. in particolare andrioli, op. cit., 123 ss.; 
Bonsignori, Distribuzione forzata e assegnazione del ricavato, Milano, 1962, 397 ss.), ciò è conseguenza 
dell’irrilevanza del titolo esecutivo nella fase di distribuzione, il che, peraltro, implica in questo caso 
l’esclusione del ricorso all’art.  615 c.p.c. anche quando vi sia un solo creditore procedente; questo 
orientamento è stato riproposto, dopo le riforme del 2005/2006, da roMano, Espropriazione forzata, 
cit., 395. Stando invece al secondo orientamento ricordato, l’opposizione all’esecuzione sarebbe ancora 
utilizzabile in fase di riparto, sulla base di alcuni rilievi, tra cui spicca in particolare la persistente rile-
vanza del titolo esecutivo (per cui v. saTTa, op. cit., 217; ma anche garBagnaTi, Espropriazione, azione 
esecutiva, cit., 1331 ss., spec. 1360 ss., per cui non tanto conta la presenza del titolo esecutivo, quanto 
l’unitarietà dell’azione esercitata dal creditore titolato, dall’espropriazione fino alla soddisfazione; Id., 
Opposizione, cit., 1073; allorio-colesanTi, voce Esecuzione forzata, NN.D.I., IV, Torino, 1960, 744). E 
ciò, senza voler considerare le complicazioni derivanti dalla riforma dell’iter processuale per l’opposi-
zione di cui all’art. 512 c.p.c., che, laddove interpretata in senso riduttivo del relativo oggetto, ritenuto 
il mero “diritto al concorso” o “diritto al ricavato” (su cui v. informazioni in vincre, op. cit., 87 ss.), 
consentirebbe con maggiore facilità, secondo alcuni (v., ad es., consolo, Spiegazioni di diritto proces-
suale civile, I, 2a ed., Torino, 2012, 410), la convivenza di entrambi i rimedi, distinti proprio in relazione 
all’intensità della cognizione e degli effetti di accertamento prodotti dalle pronunce ex artt. 512 e 615 
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zione e l’opposizione distributiva, che è notoriamente utilizzabile anche e specialmente 
nei confronti dei creditori intervenuti (art. 499 c.p.c.)26, coinvolge altresì la questione 
degli strumenti utilizzabili dal debitore per contestare i crediti degli intervenienti prima 
dell’approdo alla distribuzione, il che richiede un accenno all’evoluzione interpretativa 
relativamente ai rapporti tra intervento dei creditori (titolati e non) e contestazione 
del credito, anche in rapporto all’esistenza di un potere del giudice dell’esecuzione di 
rilievo “officioso” dei presupposti per l’intervento in espropriazione.
A tal proposito, è noto che la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate, nel 
corso degli anni, sulla possibilità di contestare l’intervento dei creditori nell’espro-
priazione, ai sensi degli artt. 499 ss. c.p.c., prima di giungere alla fase della distri-
buzione (artt. 509 ss. c.p.c.), ove le contestazioni sono espressamente riconosciute, 
con idoneità alla decisione piena della questione, dall’art. 512 c.p.c.27. Il problema, 
d’altra parte, ha sempre convissuto con la ricorrente considerazione in ordine all’esi-
stenza di un potere “cognitivo” del g.e. sui presupposti dell’intervento, esercitabile 
lungo il corso dell’espropriazione, fino alla distribuzione del ricavato28. Il rimedio 
bon à tout faire – al di là delle ipotesi di “cognizione anticipata” sul credito in qual-
che misura realizzabili in sede di conversione del pignoramento, cessazione della 
vendita forzata, riduzione del cumulo espropriativo, ecc.29 – è stato tipicamente 
rinvenuto nell’opposizione agli atti ex art. 617 c.p.c., così ritenuta utilizzabile non 
solo per contestare il provvedimento del g.e. – la cui adottabilità, come ha rilevato 
autorevole dottrina, avrebbe fatto naufragare l’idea legislativa di una separazione 
c.p.c. In ogni caso, il problema ulteriore consiste nel cogliere l’ampiezza delle contestazioni spendibili 
in sede di distribuzione, e cioè capire se, ammessa o meno l’opposizione ex art. 615 c.p.c., il debitore 
possa far valere tutte quelle questioni che possono costituire oggetto del giudizio di opposizione ese-
cutiva, i.e. azione esecutiva e condizioni dell’azione, titolo esecutivo, presupposti processuali, pigno-
rabilità dei beni e questioni attinenti al diritto sostanziale (per una convivenza di entrambi i rimedi, a 
seconda dell’oggetto concreto dell’opposizione, v. ad. es. caPPoni,Manuale di diritto dell’esecuzione 
civile, 2a ed., Torino, 2012, 437 ss.). Su questi aspetti, v. infra nel testo.
26 Sul punto, v. le indicazioni fornite da vincre, op. cit., passim, spec. 64 ss.; nascosi, Contributo 
allo studio della distribuzione della somma ricavata nei procedimenti di espropriazione forzata, Napoli, 
2013, 185 ss.
27 Per una panoramica esaustiva, rinvio agli approfondimenti di caPPoni, Manuale, cit., 271 ss., 
spec. 294 ss.; vincre, op. cit., passim; nascosi, op. loc. cit.
28 In argomento, funditus, Pilloni, Accertamento e attuazione del credito nell’esecuzione forzata, 
Torino, 2011, passim, spec. 58 ss.; v. anche caPPoni, Manuale, cit., 279 ss., 294 ss.
29 Per alcuni ragguagli, v. opp. locc. citt. in nota 28, nonché Tiscini, op. cit., 12 ss.; Perago, op. cit., 390 ss.
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perfetta tra esecuzione e cognizione30 –, ma anche, a monte, per contestare diretta-
mente l’intervento dei creditori stessi31.
Sulla tematica, tuttavia, ha inciso il d.l. 35/2005, che ha attribuito al debitore 
il potere di “disconoscere” i crediti degli interventori non titolati (art. 499, 6° co., 
c.p.c.), contestualmente alla limitazione della legittimazione all’intervento (art. 499, 
1° co., c.p.c.); e d’altra parte, sebbene sia da riconoscere l’esistenza di un (inelimi-
nabile) potere “cognitivo” del g.e. sulla ricorrenza dei presupposti del suo agire, che 
può esercitarsi anche relativamente a questioni potenzialmente oggetto di appositi 
giudizi cognitivi32, bisogna rilevare che tale cognizione ha natura pregiudiziale, e che 
30 Anche in considerazione delle più recenti riforme, caPPoni, Dieci anni di riforme, cit., 15 ss., 
rileva che «l’esecuzione è così sempre più spesso un’attività che nasce semplice e rapidamente diviene 
complessa, che richiede controlli e decisioni di vario contenuto sui suoi presupposti come sul suo 
oggetto; molte verifiche o incidenti una volta esterni sono stati portati al suo interno, allo scopo di 
esaltarne l’efficienza ma in definitiva complicandola; soltanto se vista da molto lontano l’esecuzione 
stessa potrebbe definirsi, secondo una comune ma ottativa espressione, adeguamento della realtà a 
ciò che risulta dal titolo. Possiamo anzi affermare – sebbene non sia facile individuare una coerente 
linea di tendenza negli ultimi raffazzonati interventi del legislatore – che sempre più l’esecuzione si 
presenta come un groviglio indistinguibile di cognizione ed esecuzione, mentre sempre più il g.e. è 
chiamato a utilizzare, nella sua attività “esecutiva”, i dispositivi appresi nell’esercizio della giurisdi-
zione dichiarativa».
31 V. le indicazioni di Pilloni, op. cit., 78 ss., nonché la panoramica di caPPoni, Manuale, cit., 294 ss.
32 Sull’argomento, mi limito qui a evidenziare che la realizzata eliminazione di «tutte le ingom-
branti sovrastrutture imitate dal procedimento contenzioso», al fine di «distinguere nettamente il 
procedimento esecutivo dalle fasi di cognizione che eccezionalmente possono incidere nel suo corso» 
(Relazione al re, cit., n. 31), se ha senza dubbio consentito di fare giustizia della confusione spesso 
ingenerata dalla formulazione caotica del codice di rito del 1865, che sovrapponeva la cognizione 
all’esecuzione e viceversa, d’altra parte non può escludere l’esistenza di un potere di cognizione/
valutazione dei presupposti dell’esecuzione stessa, frequentemente interrelato all’attività di esecuzione 
del precetto (basti fare riferimento, da un lato, alla risalente opera di MarTineTTo, Gli accertamenti 
degli organi esecutivi, Milano, 1963, dall’altro, alla recente indagine di Fornaciari, Esecuzione forzata 
e attività valutativa, Torino, 2009, che si occupano del problema relativo alle «valutazioni» e agli 
«accertamenti» compiuti già entro la sede squisitamente esecutiva); e tuttavia, la separazione sistemica 
tra le due tipologie di attività consente di risolvere i dubbi intorno alle interferenze tra esecuzione e 
cognizione, poiché consente di riconoscere che, pur premessa l’esigenza di un dovere di apprezza-
mento e valutazione (incidentale) dei presupposti del potere esecutivo del giudice e dei presupposti e 
requisiti del procedimento e dei singoli atti esecutivi (v., a tal proposito, Fornaciari, op. cit., passim, 
spec. 83 ss.; già carneluTTi, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, II, Roma, 1942, 105, del 
resto, puntualizzava che «la differenza tra processo esecutivo e processo giurisdizionale non sta in 
ciò, che in quello non si giudichi come in questo, ma che in questo si giudica soltanto cioè l’agire del 
giudice si risolve nel giudicare, mentre in quello l’azione del giudice non è il giudizio ma richiede 
naturalmente il giudizio»), ciò non ha nulla a che vedere con la cognizione (verificazione principale) del 
merito dell’esecuzione, che il legislatore del 1940-42, checché se ne dica, ha senza dubbio confinato 
nella sede apposita (ed esterna) delle opposizioni, unico scenario in cui la cognizione è esercitata in 
via principale. Tutto ciò dovrebbe chiarire che, se non è messa in dubbio la possibilità che, nel corso 
dell’esecuzione, il giudice si ritrovi a pronunciare provvedimenti fondati su un apprezzamento delle 
condizioni “di merito” dell’esecuzione, ciò non implica affatto una decisione su tali presupposti, la cui 
valutazione in quella sede è solo incidentale e pregiudiziale rispetto al provvedimento esecutivo da 
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tale potere non è idoneo alla decisione della questione, che è risolta dal g.e. non in 
via principale, ma solo incidentalmente, al fine di determinarsi in ordine al conte-
nuto del provvedimento esecutivo da adottare33.
Ora, se, con le modifiche apportate nel 2005, il legislatore ha riconosciuto al debi-
tore la facoltà di disconoscere integralmente o parzialmente il credito dei soli credi-
tori intervenuti non muniti di titolo (art. 499, 3° e 6° co., c.p.c.) – in conseguenza del 
quale disconoscimento il creditore deve introdurre un apposito giudizio per l’accer-
tamento del credito e l’ottenimento del titolo34, pena l’esclusione dal riparto –, ciò 
dovrebbe, entro certi limiti, escludere la riconoscibilità di un potere generalizzato di 
opposizione agli atti per contestare l’intervento del creditore non titolato35; d’altra 
emanare, mentre la verifica principale, diretta e piena degli stessi è, e non può che essere, strettamente 
riservata alle sedi cognitive delle opposizioni (sul tema, a proposito della categoria dei c.d. «provvedi-
menti giudiciali», v. anche Mandrioli, L’azione esecutiva. Contributo alla teoria unitaria dell’azione e 
del processo, Milano, 1955, 454 ss.).
33 A tal proposito, è opportuno precisare, come rileva caPPoni, Manuale, cit., 294, che la verifica 
del credito anteriormente all’udienza di cui all’art. 499, 6° co., c.p.c., già ammessa dalla precedente 
giurisprudenza, attiene a un «limitato controllo del giudice dell’esecuzione – relativo (…) alla mera 
“legittimazione” – in sede espropriativa e segnatamente in occasione della conversione del pignora-
mento»; lo stesso A., tuttavia, si interroga «se vi sia spazio per un controllo di merito in relazione alle 
molte occasioni in cui il giudice dell’esecuzione deve procedere ad una ricognizione dei crediti presenti 
nel processo in vista di provvedimenti da assumere nella fase espropriativa» (ivi, 295), indicando le 
articolate soluzioni giurisprudenziali adottate sul punto, che, per la maggior parte, consistono nella 
persistente separazione tra valutazione incidentale e sommaria compiuta dal g.e. ai fini della prosecu-
zione della fase espropriativa e valutazione principale e piena compiuta in sede di opposizione all’ese-
cuzione (avverso i creditori titolati) o di opposizione distributiva (avverso i creditori non titolati); su 
quest’ultimoaspetto, v. Pilloni, op. cit., 62 ss., nota 18. A proposito della modifica dell’art. 512 c.p.c., 
comunque, caPPoni, Dieci anni di riforme, cit., 14, rileva che «la riforma dell’art. 512 c.p.c. (2005) ha 
posto sulla scena un g.e. che non si limita a eseguire, ma conosce allo scopo di eseguire. L’esecuzione 
può essere un luogo in cui i diritti si accertano, sia pure ai soli fini esecutivi».
34 Del quale, peraltro, si dovrebbe valutare la compatibilità e concorrenza con il giudizio eventual-
mente instaurato in seguito all’apposita (e rinnovata) contestazione del debitore effettuata in sede di 
distribuzione del ricavato, ai fini di un’eventuale riunione dei procedimenti, o della sospensione (par-
ziale) della distribuzione in attesa della risoluzione della prima controversia (che, comunque, dovrebbe 
intervenire non oltre i tre anni dal disconoscimento del credito, in virtù dell’art. 510 c.p.c., pena l’inef-
ficacia dell’accantonamento delle somme e la prosecuzione e completamento della distribuzione; in 
questo senso, ad es., caPPoni, L’opposizione distributiva, cit., 1765); diversamente, il problema potrebbe 
essere risolto attraverso la radicale negazione della possibilità di agire ex art. 512 c.p.c. laddove si sia 
già provveduto al disconoscimento del credito, nel qual caso ogni contestazione andrebbe proposta 
nel giudizio di merito introdotto dal creditore disconosciuto per l’ottenimento del titolo (così, ad es., 
roMano, op. cit., 292 ss., che però fa salva la deducibilità delle sopravvenienze, nonché delle que-
stioni attinenti alla prelazione dei crediti; contra, Pilloni, op. cit., 214, secondo cui, per la salvaguardia 
dell’interesse del debitore, dovrebbe sempre essergli consentito il ricorso all’art.  512 c.p.c. laddove 
questi voglia contestare la ricorrenza delle condizioni per l’accantonamento delle somme).
35 Per alcune riflessioni sul tema, anche in senso dubitativo, v. caPPoni, L’accertamento dei crediti 
nell’espropriazione forzata dopo le leggi 80 e 263 del 2005, CorG, 2008, 871 ss., spec. 874 ss., che peraltro 
fornisce preziosi ragguagli sulla ricorrente problematica del(la concorrenza con il) potere del giudice in 
sede di conversione del pignoramento, e in altre fattispecie che presuppongono una qualche cognizione 
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parte, comunque, si ammette che, anche in presenza di riconoscimento del credito, 
il debitore possa poi azionare l’opposizione distributiva ex art. 512 c.p.c., valendo 
il primo «ai soli effetti dell’esecuzione», e dunque non precludendo l’apertura di 
un giudizio di cognizione piena, avente a oggetto la valutazione e decisione, in via 
principale, dei crediti degli intervenienti36.
Quanto invece ai creditori titolati, siano essi pignoranti o intervenienti, la loro 
mancata soggezione al potere di disconoscimento si spiega non tanto con l’esistenza 
delle contestazioni distributive, quanto soprattutto con l’ormai prevalente orien-
tamento che ritiene che i creditori muniti di titolo esecutivo, e solo costoro, siano 
potenziali legittimati passivi nel giudizio di opposizione all’esecuzione ex art. 615 
c.p.c.37, in quanto titolari, come il creditore pignorante, del “diritto a procedere ad 
esecuzione forzata”.
del giudice sui diritti in concorso (sul tema, v. pure Id., Manuale, cit., 294 ss., spec. 301 ss.; v. anche 
Tiscini, op. cit., 12 ss.). D’altra parte, pur approvando la soluzione proposta nel testo, il problema di 
opportunità potrebbe non essere integralmente risolto, ove si consideri che la facoltà di disconosci-
mento può essere esercitata solo dopo l’udienza in cui si dispone in ordine alla vendita o assegnazione 
(artt. 530, 552, 569 c.p.c.), e dunque quando l’esistenza dei crediti è stata ormai “presunta” ai fini della 
valutazione di proporzionalità del compendio pignorato (art. 492 c.p.c.), così frustrando l’esigenza del 
debitore di “invalidare” o “inibire” prontamente l’intervento del creditore al fine di evitare la conside-
razione del suo credito come base per la valutazione di sufficienza dei beni pignorati; ciò che, secondo 
alcuni, dovrebbe far rivivere l’idea della opponibilità preventiva ex art. 617 c.p.c. E tuttavia, non solo, 
in generale, lo strumento dell’opposizione agli atti si dimostra inidoneo alla decisione della sussistenza 
del credito dell’interveniente, ma anche non si vede come tale strumento potrebbe servire allo scopo, 
non potendo immaginarsi una sospensione dell’esecuzione a danno di tutti (art.  618 c.p.c.), per la 
contestazione di un solo creditore, né, d’altra parte, una “provvisoria” esclusione del credito dell’inter-
veniente, e dunque una contestuale riduzione del pignoramento (art. 496 c.p.c.) o una cessazione della 
vendita forzata (art.  504 c.p.c.), poiché ciò contrasterebbe con il diritto all’accantonamento di cui 
all’art. 510 c.p.c., ed equivarrebbe all’immediata frustrazione dell’interesse del creditore alla partecipa-
zione al riparto, che non sarebbe retroattivamente recuperabile in caso di rigetto dell’opposizione agli 
atti, per via dell’efficacia “liberatoria” degli atti riduttivi o terminativi appena richiamati.
36 In questo senso, tra gli altri, caPPoni, L’opposizione distributiva, cit., 1764 ss.; più cautamente, 
Tiscini, op. cit., 16 ss., spec. 18, secondo cui, «ferma restando l’inefficacia del riconoscimento sotto il 
profilo sostanziale, nonché la natura endoesecutiva dei rispettivi giudizi, che il debitore che abbia già 
riconosciuto il credito (ai fini dell’intervento) possa poi contestarlo in sede distributiva, osta al buon 
senso, prima ancora che alle esigenze di economia processuale»; per ulteriori indicazioni, v. Pilloni, 
op. cit., 215 ss.
37 Così, v. già Cass., Sez. III, 16-5-1987, n. 4516, RDPr, 1989, 584 ss., con nota di caPPoni, Intorno 
ai rimedi “cognitivi” avverso l’accertamento dei crediti nella conversione del pignoramento; di recente, 
Cass., S.U., 7-1-2014, n. 61, REF, 2014, 191 ss., nonché 297 ss., la quale ha sancito che «sia il creditore 
pignorante, sia quello interveniente (munito di titolo) sono, in buona sostanza, titolari dell’azione di 
espropriazione che deriva dal titolo di cui ciascuno di essi è munito e che ciascuno di essi esercita nel 
processo esecutivo». In dottrina, già prima della riforma del 2005, che ha esaltato il valore del titolo 
esecutivo anche ai fini dell’intervento nell’espropriazione, la soluzione della legittimazione passiva 
dell’interveniente titolato, anche laddove questi non avesse compiuto atti d’impulso, era maggioritaria; 
al riguardo, v. indicazioni in vincre, op. cit., 219 ss., testo e note 2 ss.; longo, op. cit., 558, nota 25; 
nonché l’argomentata soluzione di roMano, op. cit., 364 ss.
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Una prima conclusione può pertanto fissarsi: posto che i crediti degli interve-
nienti “non titolati” non sono mai stati oggetto di opposizione all’esecuzione – ma 
solo e tuttalpiù, almeno fino al 2005, di opposizione agli atti esecutivi –, il problema 
del termine finale per l’opposizione all’esecuzione non riguarda questa (comunque 
ampia: cfr. art. 499, 1° co., c.p.c.) categoria di creditori, per la quale si deve ritenere 
che l’unico strumento autenticamente cognitivo oggi utilizzabile sia proprio e diret-
tamente l’opposizione distributiva ex art. 512 c.p.c.38; al contrario, la questione del 
rapporto tra i rimedi si pone in relazione alla posizione processuale dei creditori 
“titolati” ai sensi dell’art. 474 c.p.c.
Acquisita la puntualizzazione dell’ambito operativo del problema, e passando 
ora direttamente alla questione della concorrenza o meno dei rimedi, devo rilevare 
che, dal punto di vista del debitore, la regolazione dei relativi rapporti è sempre 
stata mutevole, anche in virtù della fragile fisionomia delle controversie distributive, 
specie a seguito dell’interventosull’art. 512 c.p.c. da parte del d.l. 35/2005, che ha 
nuovamente fatto discutere sulla natura e sull’oggetto della cognizione esercitata, 
mettendosi talvolta addirittura in dubbio che si trattasse di attività cognitiva e non 
piuttosto di attività esecutiva39.
Prima delle recenti modifiche, quando dominava l’idea della natura cognitiva 
piena delle controversie distributive, la giurisprudenza si era prevalentemente 
orientata nel senso di ritenere l’alternatività tra opposizione all’esecuzione e con-
troversie distributive, da risolversi a seconda della finalità perseguita dal debitore: 
l’opposizione all’esecuzione avrebbe avuto per oggetto la contestazione del diritto 
a procedere all’esecuzione forzata, e avrebbe mirato alla caducazione dell’azione 
esecutiva e dei suoi effetti; le controversie distributive, pur avendo il medesimo 
oggetto, oppure essendo rivolte più semplicemente alla contestazione del credito, 
avrebbero avuto il più limitato effetto di escludere il creditore contestato dalla 
distribuzione, salva l’esecuzione sino a quel momento condotta40. In realtà, si trat-
tava di un orientamento opinabile, poiché gli effetti dell’opposizione non sono sem-
38 Salvo, ovviamente, l’eventuale sviluppo cognitivo della causa introdotta dal creditore discono-
sciuto per procurarsi il titolo esecutivo mancante, ai sensi degli artt. 499 e 510 c.p.c., la quale dovrebbe 
avere priorità di trattazione rispetto alle controversie distributive sul medesimo oggetto (v. nota 34). Per 
l’esenzione dei creditori non titolati dallo strumento dell’opposizione all’esecuzione, e per la relativa 
sottoposizione alle controversie distributive, già prima delle modifiche del 2005, v. Perago, op. cit., 396.
39 Sul tema, v. vincre, op cit., passim, spec. 64 ss.; nascosi, op. cit., 215 ss.; roMano, op. cit., 389 
ss.; caPPoni, Manuale, cit., 437 ss.; Tiscini, op. cit., passim; Perago, op. cit., passim; prima delle ultime 
riforme, tra i tanti, vaccarella, Titolo esecutivo, cit., 236 ss., 261 ss.; Bove, L’esecuzione forzata ingiusta, 
cit., 150 ss.; garBagnaTi, Il concorso di creditori nel processo di espropriazione, Milano, 1959, 91 ss.; 
andolina, “Cognizione” ed “esecuzione forzata” nel sistema della tutela giurisdizionale, Milano, 1983, 
111 ss.; andrioli, op. cit., 124.
40 Per indicazioni, v. Pilloni, op. cit., 83, nota 64, 235 ss.; vaccarella, op. loc. ult. cit.; Tiscini, op. 
cit., 5 ss.
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Opinioni e commenti 435
pre caducatori dell’esecuzione, dipendendo ciò dall’oggetto concreto dell’azione 
oppositiva (es. contestazione parziale del credito; impignorabilità di alcuni soltanto 
dei beni, ecc.), e, quando anche escludano integralmente l’azione esecutiva conte-
stata, non sempre ciò comporta la chiusura dell’esecuzione (es. contestazione del 
credito del solo creditore procedente, in presenza dell’intervento di terzi creditori 
titolati41). Più logico era allora l’orientamento che riteneva la parziale “fungibilità” 
oggettiva dei giudizi (in disparte la differenza di legittimazione soggettiva attiva), 
nella misura in cui potevano entrambi avere a oggetto la sussistenza del diritto di 
credito (del procedente e/o degli interventori titolati), con idoneità al giudicato 
sostanziale; questo approccio, com’è evidente, escludeva la validità di un criterio 
differenziale di tipo esclusivamente oggettivo, e implicava invece il ricorso (anche) 
a un criterio cronologico, per cui l’opposizione esecutiva avrebbe potuto essere 
attivata fino alla distribuzione, a partire dalla quale, invece, avrebbero trovato spa-
zio le sole controversie distributive, salvo che per gli aspetti per cui residuava una 
infungibilità tra i rimedi (v. subito infra).
Certamente, le riforme intervenute negli anni 2005-2009, con l’“interiorizzazione” 
e la (apparente) “sommarizzazione” delle controversie distributive, mediante l’attri-
buzione al g.e. del potere decisionale “di prime cure” e la sottoposizione del rela-
tivo provvedimento all’impugnazione «nelle forme e nei termini di cui all’articolo 
617, secondo comma», avrebbero potuto spingere a una più netta distinzione tra 
i due rimedi (già inerente la natura cognitiva)42, così da consentirne la convivenza 
anche oltre la liquidazione, e tuttavia questa ipotesi non convince, poiché ritengo, 
al contrario, che la modifica dell’art. 512 c.p.c. non abbia affatto mutato la natura 
cognitiva piena delle controversie distributive, ancora deputate alla valutazione di 
merito sul diritto di credito, e abbia solo perseguito un intento semplificativo e 
(auspicabilmente) deflattivo delle opposizioni, affidandosi al(l’eccezionale) potere 
decisorio immediato del g.e., ma senza eliminare la regola che consente il ricorso a 
un giudizio a cognizione piena ed esauriente sull’oggetto della contestazione, anche 
oltre lo schema “in unico grado” dell’opposizione agli atti, e dunque lungo tutta la 
serie delle impugnazioni43.
41 V. Cass., S.U., 7-1-2014, n. 61, cit., che ha parificato l’azione esecutiva esercitata dai creditori 
intervenuti titolati a quella esercitata dal creditore procedente, così che si è ritenuto che l’esecuzione 
possa proseguire nonostante l’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione esperita avverso il creditore 
procedente.
42 Per alcune informazioni sul punto, v. Perago, op. cit., 398 ss.; Tiscini, op. cit., 1 ss.
43 Questa posizione è esaustivamente motivata da carraTTa, op. loc. ult. cit.; v. anche Tiscini, I prov-
vedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009, 217 ss.; id., Le controversie, cit., passim, spec. 21 
ss., che tuttavia, quanto al controllo del provvedimento, ritiene integralmente applicabile il regime 
dell’opposizione agli atti; analogamente, caPPoni, L’opposizione distributiva, cit., 1760 ss., che pure 
ritiene che l’oggetto delle controversie distributive sia rimasto il diritto sostanziale, ma riconosce la 
limitata impugnabilità del provvedimento mediante il solo strumento dell’opposizione agli atti, sebbene 
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436 Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
Ne consegue, a mio avviso, che tra i due rimedi poteva ancora predicarsi una par-
ziale sovrapposizione/fungibilità (e quindi reciproca esclusione in fase di riparto), 
specificamente quanto alla contestazione della pretesa sostanziale dei creditori 
titolati, e cioè limitatamente all’esistenza e/o all’ammontare del diritto di credito: 
c.d. opposizione di merito44. Al contrario, non potevano (e non possono) dedursi, 
tramite l’opposizione distributiva, le questioni inerenti il titolo esecutivo in senso 
formale (laddove si ritenga che esso sia ancora rilevante, come potrebbe suggerire la 
differenziazione, anche in fase distributiva, tra creditori titolati e non, questi ultimi 
essendo soltanto legittimati all’accantonamento delle somme in caso di disconosci-
mento del credito)45, l’impignorabilità dei beni (ammesso e non concesso che questa 
sia ancora contestabile dopo l’intervenuta vendita degli stessi) e, infine, la carenza 
dei presupposti processuali generali; per questi aspetti, e solo per questi, allora, 
residuava il problema della possibilità di farli valere quando ormai il processo fosse 
transitato alla fase distributiva, nel qual caso si sarebbe potuto/dovuto fare ricorso 
all’opposizione all’esecuzione, essendo infungibile allo scopo l’opposizione distri-
butiva46.
Così stando le cose, si sarebbe dunque potuto differenziare tra le opposizioni di 
rito all’esecuzione, proponibili solo nelle forme dell’art. 615 c.p.c. e lungo tutto il 
con la precisazione che esso possa comunque condurre all’accertamento con efficacia di giudicato dei 
crediti contestati; per ulteriori riferimenti, anche in senso contrario, v. nascosi, op. cit., 189, nota 6, 
193, nota 12.
44 Ciò chiaramente presuppone, come anticipato, il rifiuto delle dottrine che teorizzano un mero 
“diritto alricavato”.
45 In realtà, la conclusione esclusiva potrebbe essere mitigata, come suggerisce l’opinione di 
roMano, op. cit., 323 ss., secondo cui l’ambito oggettivo della lite distributiva «s’estende piuttosto 
all’intero diritto del convenuto di procedere ad esecuzione forzata. Anche qui, dunque, autentica mate-
ria del contendere sembra esser una situazione giuridica di matrice processuale del creditore: precisa-
mente, quel diritto di partecipare all’espropriazione che dipende dalla contemporanea presenza del 
credito e del requisito formale di legittimazione di cui all’art. 499, comma 1°, c.p.c., e che in caso di 
tempestivo intervento titolato neppure si distingue, per presupposti e contenuto, dall’omologo diritto 
di cui all’art. 615, comma 1°, c.p.c.»; va da sé che l’accoglimento di questa impostazione, sicuramente 
estensiva della nozione di contestazione “del credito” di cui all’art. 512 c.p.c., allargherebbe ulterior-
mente il settore di fungibilità tra opposizione all’esecuzione e contestazione distributiva, riducendo la 
concorrenza dei rimedi.
46 In questo senso, dopo un’iniziale negazione (v. caPPoni, L’opposizione distributiva, cit., 1767), 
caPPoni, Manuale, cit., 437-438, secondo cui «l’opposizione ex art. 615 c.p.c. dovrebbe essere espe-
ribile sino al momento in cui l’esecuzione si esaurisce con il raggiungimento delle sue finalità (sod-
disfazione dei creditori aventi diritto)», e inoltre, «non potendo le opposizioni distributive avere ad 
oggetto il diritto della parte istante di procedere all’esecuzione forzata, né la pignorabilità dei beni, né 
la legittimità sostanziale dell’intera esecuzione, dovrebbe fare eccezione a questa regola soltanto il caso 
in cui la contestazione riguarda (non l’esistenza stessa del diritto di procedere ad esecuzione forzata, 
ma unicamente) il concreto ammontare del credito, con la conseguenza per cui il suo vittorioso espe-
rimento non potrebbe mai portare alla completa caducazione dell’esecuzione; pertanto, l’opposizione 
sarebbe logicamente “riassorbibile” dallo schema descritto dall’art. 512 c.p.c.».
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Opinioni e commenti 437
corso dell’espropriazione, e le opposizioni di merito all’esecuzione, proponibili ex 
art. 615 c.p.c. fino alla liquidazione, ed ex art. 512 c.p.c. in sede di distribuzione.
Ovvero, in senso ancora più radicale, si sarebbe potuto ritenere che, «una volta 
entrati nella fase terminale del giudizio espropriativo, appare preferibile risolvere 
ogni questione attraverso il rimedio più snello contemplato dall’art. 512 c.p.c.»47, 
con che, probabilmente, si sarebbe legittimata una preclusione processuale a far 
valere i difetti inerenti l’azione esecutiva, il titolo esecutivo e la pignorabilità dei 
beni, una volta intervenuta la vendita forzata48. E tuttavia, se si poteva e si doveva 
in ogni caso convenire sul fatto che, «transitato dalla fase liquidativa a quella sati-
sfattiva, l’accoglimento della contestazione proveniente dal debitore non determina 
il venir meno del pignoramento e della successiva vendita forzata, poiché se in sede 
di distribuzione il debitore fosse in grado di dimostrare l’inesistenza dei crediti in 
concorso, potrebbe ottenere la consegna del denaro percepito dalla vendita e non 
la caducazione degli atti esecutivi già posti in essere»49, ciò a mio avviso non con-
sentiva di ritenere che l’opposizione all’esecuzione fosse radicalmente bandita dalla 
fase distributiva50, bensì solo che il momento di proposizione, rectius di accogli-
mento dell’opposizione influisse sull’efficacia processuale e sostanziale della sen-
tenza definitiva del giudizio.
Ebbene, se, fino a qualche settimana fa, si trattava di riflessioni contrastate e 
ipotetiche, non altrettanto può dirsi dopo l’ultima modifica del secondo comma 
dell’art. 615 c.p.c., con cui si è testualmente esclusa la proponibilità dell’opposi-
47 nascosi, op. cit., 216.
48 Rileva nascosi, op. loc. ult. cit., che «accogliendo questa tesi si viene a fissare un termine (rap-
presentato quindi dall’udienza di discussione del progetto di riparto) per proporre l’opposizione ex 
art. 615 c.p.c., termine di cui non vi è traccia nella norma, sennonché lo stesso art. 512 c.p.c. pare piut-
tosto chiaro nell’indicare che eventuale contestazioni sull’esistenza ed ammontare del credito debbono 
essere prospettate in occasione della distribuzione e devono essere composte mediante l’impiego del 
nuovo procedimento a struttura bifasica e non con l’opposizione all’esecuzione»; già prima, roMano, 
op. cit., 395, secondo cui «il miglior modo per coordinare opposizione all’esecuzione e controversie di 
cui all’art. 512 sembra tuttora esser quello d’eleggere a discrimen il tempo in cui la contestazione sia 
formulata: fino a che non si transiti alla fase di ripartizione del ricavato, è possibile proporre unica-
mente l’opposizione all’esecuzione, beninteso solo nei confronti dei creditori pignoranti o comunque 
provvisti di titolo esecutivo; da che invece diviene proponibile la contestazione nelle forme di cui 
all’art. 512, queste debbono ritenersi esclusive dell’opposizione, la quale più non potrà a tal punto 
esser promossa», ma ciò sulla base della (diversa) premessa che, «poiché insomma non è dubbio 
che tutte le contestazioni che potrebbero dar luogo ad opposizione all’esecuzione possano – quando 
appunto sorgono “in sede di distribuzione” – esser decise a mente dell’art. 512, è ragionevole conclu-
dere ch’esse anche debbano – quando sorgono “in sede di distribuzione” – esser decise in tal modo» 
(cfr. supra, nota 45).
49 nascosi, op. cit., 217 ss. Per questa precisazione, v. già vincre, op. cit., 247 ss.
50 Rileva Tiscini, Le controversie, cit., 9, che «nel dato normativo non vi è traccia di limitazioni di tal 
genere (per lo meno ex latere dell’opposizione all’esecuzione), sicché applicarle per via interpretativa 
finisce per non essere condivisibile, né conveniente nell’economia generale degli interessi in gioco».
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438 Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
zione dopo l’ordinanza determinativa delle modalità di liquidazione del patrimonio, 
mediante una norma della quale è giunta l’ora di individuare il significato concreto 
e le conseguenze applicative.
3. L’interpretazione e gli effetti della formula legislativa.
Escluso allora, come preannunciato, che la modifica in esame possa essere intesa 
come fissativa di un termine finale per ogni contestazione della pretesa creditoria, 
credo che il legislatore dello scorso maggio abbia semplicemente voluto risolvere la 
querelle interpretativa in ordine al concorso tra lo strumento di cui all’art. 615 c.p.c. 
e quello di cui all’art. 512 c.p.c., nel limitato ambito dell’espropriazione forzata.
In questo senso, gli effetti dell’intervento legislativo sono duplici.
Per un verso, l’apposizione di un termine di “ammissibilità”51 all’opposizione 
all’espropriazione rappresenta la positivizzazione dell’idea che i rapporti con le 
controversie distributive (al netto delle differenze contenutistiche e di legittima-
zione, che certamente permangono) siano retti da un criterio cronologico, tale per 
cui, dopo un certo termine, non è più proponibile l’opposizione ex art. 615 c.p.c. 
e diventa proponibile, in via esclusiva, l’opposizione distributiva ex art. 512 c.p.c., 
come d’altronde aveva recentemente riconosciuto – pur in presenza di qualche con-
trasto – la Corte di cassazione52, superando i più risalenti orientamenti che soste-
nevano il concorso di entrambi gli strumenti. Certamente improponibile, infatti, è 
l’alternativa di ritenere che la disposizione aggiunta al secondo comma dell’art. 615 
c.p.c. abbia altresì voluto escludere che, dopo l’ordinanza ex artt. 530, 552 e 569 
c.p.c., la pretesa dei creditori titolati possa essere ulteriormente contestata nel 
merito: per fare ciò, al netto di ogni questione

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