Buscar

MATERIALE DIDATTICO DIRITTO AMMINISTRATIVO

Prévia do material em texto

MATERIALE DIDATTICO DIRITTO AMMINISTRATIVO I 
 
1) La formazione del diritto amministrativo 
1.Vediamo qui il primo aspetto. L'opportunità politico sociologica che la summa reipublicae non si concentri 
su un solo organo in plenitudo potestatis ma si distribuisca tra più organi fu scorta già dal pensiero greco e fu 
ripresa, come è noto, nell'illuminismo da Montesquieu. 
2. Ne derivava un’importante conseguenza: che si venivano ad ipostatizzare le singole funzioni dello Stato, in 
quanto isolate e attribuite a diversi organi o gruppi di organi, ciascuno avente un proprio apparato: i poteri e le 
soggezioni (ai controlli) dei singoli organi o gruppi di organi (poteri) dovevano così essere regolati da norme 
certe, onde la costituzione fosse perfetta. 
Secondo il modello costituzionale inglese e le indicazioni dei teorici, il potere legislativo fu costituito dai 
Parlamenti, quello «esecutivo» dal Governo, quello giurisdizionale dagli organi giudiziari. A tutti e tre i poteri 
partecipava il Capo dello Stato, sia pure in modi molto differenti. 
3. Siamo però in grado di dire qualche cosa di più intorno al principio della divisione dei poteri: esso fu, per 
lungo tempo, un principio politico fondamentale, di quelli che si chiamano principi istituzionali. 
Nello Stato liberale esso aveva valore fondamentale in quanto, circondando di remore 1'autorità (checks and 
balances, secondo l'espressione anglosassone), rendeva il portatore di essa sufficientemente debole perché non 
intervenisse a turbare i detentori delle egemonie economiche, e sufficientemente forte per colpire chi a quelle 
egemonie volesse attentare. 
4. Per cui oggi il principio in questione è un principio organizzativo generale, non più un principio istituzionale. 
Esso sta ad esprimere questo: che è opportuno distribuire le funzioni dello Stato tra gruppi di organi, separati 
e indipendenti. Anzi, come principio organizzativo esso viene applicato non solo nell'organizzazione dello 
Stato, ma anche in quella di enti diversi, pubblici e privati. 
5. In conclusione oggi viviamo entro Stati nei quali il principio di divisione dei poteri ha valore di principio 
organizzativo. Alla stregua di questo suo contenuto dobbiamo riferire ad essa i concetti di amministrazione 
pubblica. 
6. [La premessa sulla divisione dei poteri] Introduce direttamente in alcuni problemi giuridici: in primo luogo 
quello della nozione giuridica di amministrazione pubblica. 
7. Per mostrare come e perché ciò avvenga è necessario un breve excursus storico; da esso risulterà come 
attività e apparato amministrativo pubblico non sono nozioni astratte ma concrete, il cui contenuto positivo 
non è sempre stato il medesimo, per via di condizioni storiche più volte mutate, e oggi di nuovo in corso di 
mutamento. 
8. Amministrazione-apparato e amministrazione-attività di amministrazione, di atti di amministrazione, si 
parla in molti rami di diritto: amministrazione internazionale, amministrazione diocesana, regola di buona 
amministrazione, amministrazione del padre di famiglia, atti di ordinaria e straordinaria amministrazione 
organi amministrativi delle società commerciali, e così via. 
Si comprende perciò come sia balenata talora l’ipotesi che esista un concetto giuridico di amministrazione di 
valore generale. 
Scarsissimo è l'ausilio che possono offrire qui 1'etimologia e la semantica, alle quali pure alcuni tutori 
sono ricorsi. Si discute, invero, se la radice di “administro” sia minus o manus. Sappiamo però che minister 
significava, nell'alta Repubblica romana, assistente, aiutante; e “administrare” dare : opera di assistente, 
servire. Ma in Cicerone “administrare” può rendersi con 1’odierno inglese “to manage (administrare 
provinciam: Verr. 2.4.64; ma finanche “administrare bellum: Div. 2.36; imperator est admìnistrator 
belli gerendi “: de Orat. 1.48. 210) . 
In seguito il significato varia ancora e diviene quello di svolgere attività strumentale. 
9. La spiegazione di questo fatto si trova nel carattere che avevano gli apparati: come meglio vedremo laddove 
tratteremo degli uffici pubblici, gli apparati amministrativi dì quel periodo non sono apparati dello Stato, ma 
apparati dei singoli munera; di fronte alla comunità associata non esistono, giuridicamente , se non uffici 
(munera). Dietro gli uffici, come fatti interni, possono anche esservi poderose organizzazioni, ma esse non 
hanno rilievo giuridico esterno; 
10. Nell'ordinamento feudale europeo. 
Questi profili giuridici dovevano ancor più accentuarsi nell'ordinamento feudale - europeo: caratteristica di 
questo periodo è infatti l'attribuzione al munus di un beneficium, cioè di un patrimonio con destinazione 
istituzionale al sostentamento dell'attività specifica del munus, e, secondo un rapporto giuridico del tutto 
particolare, del suo titolare. 
Nell'apparato amministrativo e nell'attività amministrativa di questo periodo si confondono, giuridicamente, 
gli elementi attinenti all’attività' connessa al munus, e quelli attinenti alla gestione patrimoniale dei cespiti 
costitutivi del beneficio: confusione, s'intende, ove si parta dalla nostra realtà giuridica, effettuale e concettuale, 
moderna, poiché, più che di confusione, dovrebbe parlarsi, "per allora, di non distinzione tra l'aspetto (di cura 
dell' interesse) pubblico e quello (di cura dell’interesse) privato dei singoli apparati. 
11. Negli Stati patrimoniali. 
Dopo il fallimento dell'esperienza democratica dei comuni e dopo un periodo transitorio di controversa 
interpretazione, ha inizio un nuovo periodo nel quale gli ordinamenti giuridici generali assumono la forma 
ancor oggi vigente cui va propriamente riservato il termine di Stato. In materia si registrano sostanziali 
divergenze problematiche e storiografiche, e quindi terminologiche. 
Nelle sue linee generali lo Stato, nel suo primo apparire, si presenta come dei caratteri che vengono indicati 
con i termini di «assoluto», di «polizia», «patrimoniale», e la sua costituzione materiale prende corpo nella 
teoria e nella prassi del paternalismo. 
Lo Stato è considerato un'entità astratta, che trova la sua espressione materiale nel principe. 
Questi è sovrano del suo territorio e delle persone pertinenti al territorio. Il territorio è oggetto di “dominio 
eminente” per cui egli ne dispone: può cederlo, permutarlo, costituirlo in dote (donde il nome di Stato 
patrimoniale). 
Sulle persone è attribuita al principe una «plenitudo potestatis » , sicché le persone stesse sono non cittadini, 
ma sudditi; non hanno cioè, di fronte al sovrano, diritti uti cives, ma sono in una istituzionale situazione 
di soggezione generale; onde o non sono titolari di diritti personali di libertà, o, nel migliore dei casi, 
se questi diritti sono riconosciuti, non godono di guarentigia giuridica, onde possono venir meno con un 
jussus princinis (donde il nome dì Stato di sudditi). 
Il principe, non come titolare della carica, ma come istituzione (la corona), non è un organo dello Stato: è lo 
Stato. Egli dà l'indirizzo politico e assomma in sé tutte le funzioni dello Stato, e le esercita tramite persone 
fisiche al suo servizio. 
12. Tuttavia, sempre in sede teorica, il principe non è libero di fare ciò che egli vuole; egli deve infatti 
perseguire il bene comune; ed è questo l'elemento che sopravvive della precedente figura del munus. Solo che 
qui la funzione non incombe su una persona fisica, ma, con un procedimento di ipòstasi, in buona parte prodotto 
dall'influsso del diritto canonico, si trasferisce su una entità astratta: la corona. All’infuori del limite astratto 
del bene comune nessuna norma (le poche eccezioni sono veramente eccezioni),vincola il principe o ne 
disciplina i poteri (donde il nome di Stato assoluto). 
Si comprende allora come, in questo primo periodo della storia dello Stato, 1'apparato amministrativo non ha 
rilievo giuridico proprio di fronte ai sudditi: esso è 1' «amministrazione del principe». 
In quanto è del principe, è anch'esso vincolato dal fine del perseguimento del bene comune; l'attività 
amministrativa è rivolta, per definizione, al benessere e alla pace dei sudditi, e deve eliminare le turbative alla 
pace stessa: donde il- nome specifico di “Stato di polizia “. 
13. Nello Stato di polizia, a differenza da quello del periodo precedente, esiste un'organizzazione 
amministrativa centrale talora anche molto forte, come nel Regno di Francia: anzi in alcuni di tali stati vi è la 
tendenza a accentramento sempre maggiore. 
Appoggiata a saldi fondamenti filosofici e politici, la costituzione loro riposa sul postulato che essendo 
funzione precipua del principe la cura del bene comune, egli deve necessariamente avere i più ampi poteri: da 
ciò deriva il principio generale di diritto, fondamentale in questa forma di Stato, che la somma potestà del 
sovrano può far venir meno, cioè sospendere far perdere o estinguere, qualsiasi diritto dei sudditi o far cessare 
qualsiasi attività che essi svolgano, anche se giuridicamente non qualificata. 
Dalla denominazione di ius politiae, attribuita alla somma potestà relativa, che esisteva in forma limitata anche 
nello Stato giurisdizionale, trasse il nome di Stato di polizia. Gli istituti amministrativi, posti alle dipendenze 
dirette del principe, svolgevano attività regolata da ordini di servizio e anche da norme, le quali però erano 
norme direttive, nella maggior parte dei casi di carattere interno, non vincolanti per chi le emanava, e talora 
derogabili anche dalle autorità subordinate. La loro osservanza non poteva essere richiesta dagli amministrati, 
e dalla loro violazione nessun tribunale era competente a decidere. 
14. Come ben osservano alcuni storici del diritto, fin dalla metà del secolo XVII, in molti Stati, specie italiani 
e germanici, era avvenuto che le forme, di per sé molto dure, dello Stato di polizia, si erano attenuate, 
l'amministrazione paternalista cedendo ad amministrazioni più vincolate, le attività di polizia assumendo forme 
più blande. 
Dopo la rivoluzione francese, sempre soprattutto nei medesimi Stati, con l'avvento delle restaurazioni avvenne 
qualche cosa di più, nel senso che le istituzioni francesi, respinte nel diritto costituzionale, furono spesso 
accolte nelle strutture dell'amministrazione. 
15. Nel Regno delle due Sicilie, il tanto discusso Ferdinando I, benché aborrisse da ogni idea di Stato 
costituzionale, come più volte mostro in infauste circostanze, riformò l'amministrazione fin dai primi anni della 
restaurazione, secondo criteri e principi moderni. Taluni istituti e leggi napoletane furono pregevolissimi e se 
essi furono presto dimenticati, si dovè a cause di altr'ordine. E fu soprattutto nel Regno Meridionale che, in 
questo, primo periodo, si trovò realizzata la separazione fattizia dell'amministrazione dagli altri poteri: 
basterebbe a provarlo il sistema ivi vigente del contenzioso amministrativo, secondo cui le controversie 
amministrative erano attribuite a un insieme di tribunali amministrativi, indipendenti dal Governo e dotati di 
grande autorità. La legislazione amministrativa era abbondante, contemplava molte materie, e applicava in 
gran parte, e per prassi, il principio della legalità. Questo ordinamento era in pieno fieri alla morte di 
Ferdinando I, ma poi, per la retrività dei successori e per altre più profonde ragioni, si arrestò in questo stadio 
intermedio, se non arretrò. 
16. Cronologicamente l’opposto avvenne nel Regno Sardo: salito al trono Carlo Alberto, si iniziò una revisione 
del sistema amministra rivo secondo criteri talora molto audaci. Dal 1830, molto prima dello Statuto, cominciò 
pertanto un lavoro che, progredendo, permise all'Italia unificata di avere immediatamente un Sistema 
amministrativo di complesso disegno. Analogamente a quanto avvenne nelle Due Sicilie, il diritto 
amministrativo sardo esistette prima della costituzione, anch'esso informato a una attuazione fattizia e 
incompleta della separazione dei poteri solo che il primo si arrestò a metà strada, il secondo ricevette definitiva 
sanzione Statuto albertino. 
In Francia la rivoluzione instaurò organismi amministrativi vasti e complessi, regolò secondo criteri generali 
la posizione degli organi, degli impiegati, dei mezzi d'azione amministrativa; istituì il Consiglio di Stato e 
magistrature amministrative inferiori per quasi ogni controversia riflettente l'amministrazione. Non solo 
dunque si formò presto un diritto amministrativo, ma questo prese dimensioni così ampie e caratteri così ben 
determinati che, specie nei successivi regimi, la stessa struttura dello Stato assunse un profilo caratteristico, 
reso da alcuni giuristi francesi nel concetto di Stato à regime administratif. In altri Stati invece, come in Italia 
fin dal momento dell'unificazione, esistè un diritto che disciplinava l'amministrazione in modo specifico, ma 
non così spiccato come in Francia. 
 
2) La costruzione del diritto amministrativo 
 
1. Si hanno due forme: lo Stato di polizia e lo Stato di diritto, le quali variano soprattutto nel tempo. Nello 
Stato di polizia l'amministrazione è retta da una sola norma — quella detta prima — o da norme puramente in-
terne; in ogni caso perciò il diritto amministrativo non costituisce, oppure costituisce solo in parte, un diritto 
che ha efficacia in tutta la sfera dello Stato, in quanto che l’osservanza delle sue norme non può essere opposta 
in giudizio da privati contro le amministrazioni, né queste ultime sono tenute a osservarlo rigidamente: da ciò 
una fondamentale differenza rispetto al diritto proprio della giurisdizione. Nello Stato di diritto invece esiste 
un ordinamento giuridico dell'amministrazione qualificato dal fatto che l'amministrazione stessa è legata da 
norme esterne nel contenuto della sua azione, le quali la vincolano, così come, altre norme vincolano la 
giurisdizione. 
2. Per la rapidità con la quale riuscì a raccogliere i consensi della pubblica opinione, per le sue dimensioni e 
per la compiutezza delle proprie elaborazioni, che investirono ogni aspetto delle scienze sociali, esso è forse 
ancora oggi l'esempio più, cospicuo di forza persuasiva di un’ideologia. Tanto che le rivoluzioni attraverso le 
quali esso evolvette in prassi (inglese 1688, ma soprattutto statunitense 1787 e francese 1789) diedero vita ad 
un tipo di Stato profondamente diverso dal precedente. In questo tipo di stato, lo Stato liberale, 
l’amministrazione pubblica assume proprio rilievo giuridico. 
3. Le due vie dello Stato moderno in Occidente 
Il diritto amministrativo — si è notato — è il frutto di un’evoluzione e la sua configurazione dipende in larga 
misura da tale evoluzione. Ora, questa evoluzione è legata al diverso sviluppo dello Stato, secondo i due 
modelli individuati da Voltaire nel XVIII secolo e sviluppati da Tocqueville in quello successivo. Il primo è 
quello continentale (francese, innanzitutto), caratterizzato dal potere assoluto dell'esecutivo, dalla 
centralizzazione, dalla preminenza dell'eguaglianza sulla libertà. Il secondo è quello anglosassone (innanzitutto 
inglese), caratterizzato dalla tradizione liberale e dalla preminenza del Parlamento, dal self-government, dal 
progresso dell’eguaglianza d'intesa con la libertà. 
4. Si segua il percorso compiuto. 
All'origine ci sono le «due vie dello Stato moderno in Occidente », e cioè il percorso parallelo di Inghilterra e 
Francia. Il parallelismo, però, non vuol dire eguaglianza.Le differenze principali stanno nella incruenta 
glorious revolution del 1688, seguita, un secolo più tardi, dalla Rivoluzione in Francia. 
La prima consolida il Parlamento, la seconda ha un esito diverso, consolida l'esecutivo. 
5. Il diritto amministrativo si sviluppa, innanzitutto, nel secondo tipo di Stato, com'è naturale, per la più 
compiuta affermazione dell'esecutivo e dei suoi poteri. Ma, poi, da un lato, si carica di significati diversi: nato 
come diritto speciale dell'esecutivo, inteso come un potere privilegiato, e, quindi, con contrassegni autoritari, 
sviluppa una componente liberale, in funzione di garanzia dei cittadini nei confronti del potere esecutivo e, più 
tardi, si colora di socialismo, apprestando la strumentazione dell'ingerenza statale nell'economia e 
dell'attuazione dello Stato sociale. Dall'altro, registra una rapida espansione anche nel modello anglosassone. 
Per cui vicende storiche parallele (Francia e Inghilterra, nel XIX secolo, sono le due grandi potenze mondiali, 
con ampi eserciti e vasti imperi coloniali; ambedue registrano i primi progressi dell'industrializzazione; 
debbono finanziare eserciti e guerre e, quindi, dotarsi di amministrazioni fiscali e di spesa complesse) 
producono esiti di cui noi siamo ora in grado di vedere le somiglianze, che erano, invece, ignorate o negate dai 
contemporanei. 
6. Il liberalismo francese e il modello inglese 
Il diritto amministrativo francese, una volta terminata l'esperienza napoleonica (che aveva dato ad esso una 
forte impronta autoritaria), prese una direzione diversa. Saranno ora esaminate le forze che operarono questo 
cambiamento; poi, i cambiamenti prodotti. 
Caduto Napoleone, riprende quota la corrente liberale, affascinata dall'esperienza inglese. Già Voltaire era 
stato attratto dal costituzionalismo parlamentare inglese e dalla sua filosofia liberale. 
Dal 1814 al 1830, segue un periodo nel quale dottrine politiche ed esperienze liberali inglesi ricevono la 
massima attenzione. 
7. Oggetto di particolare interesse per i liberali francesi sono alcuni tratti della Costituzione inglese. Il primo 
è quello del dominio del diritto comune sull’amministrazione. I liberali lamentano che, in Francia, i rapporti 
tra l’amministrazione e i cittadini siano de puissance à sujet, mentre osservano che in Inghilterra essi sono da 
eguale ad eguale. 
E lo storico Maurizio Fioravanti aggiunge, più tardi: «... l'Ottocento liberale... metteva continuamente in 
guardia contro ogni « regime speciale »; in fondo, il grande libro del liberalismo europeo rimaneva pur sempre 
il codice civile ». 
Il secondo tratto caratteristico del sistema inglese è, agli occhi dei liberali francesi, il self-government, 
contrapposto all'assenza di libertà locali e al dispotismo amministrativo sul continente. 
Il terzo tratto caratteristico è costituito dal sistema giudiziario inglese, con i giudici di pace, le giurie (trial by 
jury) e un unico ordine di corti, eguale per privati e poteri pubblici, capace di contenere l'arbitrio 
amministrativo, di affermare la ride of law e di riconoscere i diritti dei cittadini nei confronti della pubblica 
amministrazione. 
Infine i liberali francesi apprezzano le procedure in contraddittorio degli uffici pubblici inglesi, specialmente 
per l'espropriazione. 
Alla luce di questi esempi, i liberali francesi propongono di correggere l'edificio del diritto amministrativo. 
L'attenzione dei liberali e dei liberali-moderati per il diritto amministrativo inglese è il séguito naturale per 
l'interesse per il diritto costituzionale, che porterà, negli anni trenta e negli anni settanta, il parlamentarismo, 
di cui l'Inghilterra era considerato il principale modello, in Francia. 
8. La rivoluzione del 1848 e gli avvenimenti successivi mutarono la legislazione, dapprima in senso più 
liberale, poi reazionario (1852), poi di nuovo liberale. moderato (186o); nel diritto amministrativo di 
conseguenza si ebbe un breve periodo d'arresto; nel frattempo il Consiglio di Stato veniva elaborando tutta la 
giurisprudenza del contenzioso di excès de pouvoir, lavoro sottile e geniale, com'è ben noto. 
9. La terza Repubblica e la liberalizzazione del diritto amministrativo 
Se da Napoleone I a Napoleone III il quadro di protezione delle libertà rimane difettoso, per il mantenimento 
di regole sfavorevoli alle libertà, l'incompleta natura della giurisdizione amministrativa e la trasformazione 
degli impiegati dello Stato in impiegati del governo, tutte scelte volute dai difensori dell'ordine sociale e del 
regime politico, con la terza Repubblica il diritto amministrativo acquisisce caratteristiche liberali. 
Già in precedenza il carattere autoritario e dispotico del diritto amministrativo era stato attenuato nella gestione 
quotidiana del potere, special-mente da parte del Conseil d'Etat, rimasto immutato nei poteri e nella struttura, 
ma gestito da liberali: si tratta di « ..les traditions de respect du droit privé, de modération et d'equité qui 
s'affermissent et se développent chaque jour davantage dans la jurisprudence du Conseil d'Etat». 
E già in precedenza si erano registrati alcuni altri progressi del liberalismo nelle istituzioni. Per citarne solo 
due, si ricorda l'attribuzione al giudice ordinario, già nel 1810, delle procedure di espropriazione e 
l'introduzione, nella Costituzione nel 1848, del principio del merito per la selezione dei dipendenti pubblici. 
10. Ma, con la terza Repubblica, dal 1870, si registrano due cambiamenti importanti, che accolgono le tesi 
liberali: la soppressione della garanzia dei funzionari e il pieno riconoscimento del Conseil d'État come organo 
giudicante. si passa dal regime di justice rétenue a quello di justice déléguée (cioè il Consiglio di Stato diviene, 
da organo consultivo, organo giudicante a proprio titolo) e il compito di giudice dei conflitti di attribuzione 
viene sottratto al Conseil d'Etat e conferito al Tribunal des conflits, composto dì quattro membri della corte 
amministrativa e di quattro della Corte di Cassazione, sotto la presidenza (in realtà, puramente formale) del 
ministro di giustizia. 
11. Dunque, il droit administratif, nato agli inizi del XIX secolo per rafforzare lo Stato repubblicano e, poi, 
imperiale e per proteggere il potere esecutivo nei confronti degli interventi dei giudici, diviene, alla fine dello 
stesso secolo, il mezzo per consentire la tutela giudiziaria dei cittadini, nei confronti del potere esecutivo. Il 
Conseil d'Etat, con una altrettanto radicale trasformazione, diviene da principale organo dell'esecutivo, 
giurisdizione indipendente e attento censore del governo e della pubblica amministra-zione. Aspetto ancor più 
singolare, quest'ultimo ruolo è svolto dal Conseil d'Etat introducendo, sviluppando e applicando principi 
generali di diritto, con un'attività, quindi, essenzialmente creativa, che compensa la carenza di norme generali 
tipica del diritto amministrativo. 
 
12. Caratteristiche del droit administratif; judge-made law e droit de privilège 
Il droit administratif ha due caratteristiche principali: è un diritto in larga misura di formazione 
giurisprudenziale ed è un diritto speciale, derogatorio nei confronti del diritto privato. 
La seconda caratteristica del diritto amministrativo francese è di essere un diritto speciale, separato dal diritto 
privato, con propri principi e istituti, diversi da quelli del diritto privato e, quindi, derogatorio o esorbitante 
rispetto a questo. Dunque, la distinzione diritto pubblico-diritto privato è il punto di partenza del diritto 
amministrativo francese, a differenza di quello inglese, dove la distinzione era, fino a tempi recenti, sconosciuta 
o rifiutata. 
Il diritto amministrativo — viene spiegato — è un « droit de privilège » perchéfondato sul rapporto ineguale 
tra amministrazione ed amministrato. 
13. Subito in Francia il diritto amministrativo salì a grande splendore: fin dall’alba dei tempi moderni in questa 
nazione il potere pubblico si era andato sempre più rafforzando, e formatasi una forte compagine nazionale, si 
era sempre più accentrato. 
14. Sorse, prima che altrove, proprio in Italia, ad opera del Romagnosi. Nel fervore di studi e di opere che 
caratterizzò la cisalpina, poi Regno Italico, e che la Francia cercò quasi sempre di soffocare, il Romagnosi fu 
a lato dell’operoso della giustizia, conte Luosi, il quale dall'Università di Pavia, lo trasferì a Milano, a una 
cattedra di “alta legislazione in rapporto alla pubblica amministrazione” per lui istituita appositamente. Caduto 
il Regno italico, la cattedra parve all’Austria un focolaio di liberalismo; e pare che per mostrare il carattere 
puramente scientifico del proprio magistero, il Romagnosi abbia redatto in pochissimo tempo, nel 1814, i suoi 
“Principi fondamentali del diritto amministrativo onde tesserne le istituzioni". Sembra anche che egli 
volutamente abbia usato un linguaggio astruso, quasi esoterico, per non farsi capire dalla censura. 
15. Fu l'Austria che nel 1817 abolì la cattedra di Milano. 
Due anni dopo si istituiva a Parigi la cattedra di diritto pubblico e amministrativo per il De Gérando (1819). 
Così la scienza del diritto amministrativo, come avvenne del resto per altre scienze morali, nata in Italia, fu 
stroncata da stranieri, e a un certo punto la dovemmo reimportare. 
16. Per assurgere a una problematica maggiore in quest'ordine di problemi è quindi sufficiente spostarsi da un 
atteggiamento, che contempli prevalentemente l'amministrazione, a un atteggiamento che contempli 
prevalentemente l'amministrato. Con ciò non voglio certo affermare che questo secondo atteggiamento sia più 
importante nel sistema generale del diritto amministrativo; semplicemente non occorre lasciarlo troppo in 
ombra. E neppure si deve credere che fra le due indagini vi sia un intervallo: esse si compenetrano perché, 
studiandosi un “obbligo”, dato che esso nella quasi totalità dei casi (come pare), presuppone due soggetti, si 
dovrà anche per forza dì cose, e ove si voglia ben fare, non trascurare lo studio di quanto si riferisce a uno dei 
soggetti stessi. 
17. Significato specifico del diritto amministrativo; sua nascita ed evoluzione. Possiamo adesso afferrare il 
significato specifico del diritto amministrativo: esso è qualche cosa di più di un semplice “settore” della 
normazione positiva; è un corpo di norme formanti sistema che ha per oggetto la regolazione dell’attività 
dell’apparato amministrativo pubblico. 
18. Tuttavia non si crea un ramo del diritto se questo non risponde a specifiche sollecitazioni di interessi. In 
questo caso gli interessi furono costituiti da quelle forze, di vario colore e rappresentatività, che tendevano a 
dare allo Stato strutture centralizzate; il diritto amministrativo sorse pertanto per attribuire all'autorità 
pubblica una acconcia forza nel senso dell’anti-autonomismo; in quel momento storico in Francia, 
l’autonomismo significava reazione in sede politica, e barriere economiche in sede economica. 
Come succede per una gran quantità di fenomeni sociali, in seguito lo stesso strumento, del diritto 
amministrativo, fu utilizzato dalle correnti autonomiste e libertarie in senso antistatalista e antiautoritario. 
Onde oggi sono in esso presenti ambedue le opposte istanze. 
Di qui il suo perpetuo oscillare, varie volte e in varie occasioni rilevato, tra il principio di libertà e quello di 
autorità, e in sede meno appariscente, ma egualmente importante, tra il decentramento e l’accentramento, tra 
lo statalismo e l’autonomismo; la prevalenza dell’uno o dell’altro momento deriva in gran parte delle variazioni 
della costituzione in senso materiale: onde in periodi di contrasti come l’attuale, il diritto amministrativo è 
mantenuto in stato di fluidità. 
 
3) Diritto amministrativo e interessi 
1. Che il diritto amministrativo disciplini le forme di coesistenza e incontro di interessi pubblici e dei privati 
corrisponde esattamente a quanto detto in precedenza, in quanto i primi si riconducono al principio di autorità, 
i secondi di a quello di libertà: onde i punti di vista dai quali si prenda in esame la materia. 
2. Attività amministrativa e interessi pubblici. 
L'attività amministrativa, sostanzialmente, non si pone del resto come attività imperatoria: l’azione 
amministrativa è oggi così compenetrata negli atti della nostra vita quotidiana, anche i più umili e modesti, che 
se essa avesse carattere solamente imperativo ne resterebbero tutti soffocati. 
Sostanzialmente 1'azione amministrativa è cura di interessi pubblici. È perciò necessario passare a considerare 
quest'altro suo aspetto. 
3. La chiave per comprendere le molteplici figure giuridiche con le quali il diritto regola 1'attività della 
amministrazione pubblica, sta nello stabilire il modo in cui le norme di diritto amministrativo investono gli 
interessi pubblici e privati, e ciò che esse costituiscono nella predeterminazione di quelle sicurezze giuridiche 
che giustificano 1'esistenza stessa del diritto. 
4. Norme e interessi. 
Sarebbe, anzitutto necessario stabilire che cosa è un interesse; e questo comporterebbe una lunga esposizione 
di opinioni. 
Per brevità enunciamo senz'altro la opinione che appare più persuasiva, secondo la quale il concetto di interesse 
non possiede una fisionomia propria nel mondo giuridico, ma è da questo preso così come si trova, in altra 
realtà, sociale-economica. Onde, nel mondo del diritto, esso non perde nulla dei multiformi aspetti che ha 
altrove, di sollecitazione da bisogno, di forza espansiva, di spinta cessante al limite del soddisfacimento, ecc. 
ecc. 
Per quanto riguarda quella che abbiamo detto questione generale, non è difficile vedere che il dibattito ha assai 
scarsa ragione d'essere: concetti e interessi non sono due pianeti costretti a girare dalle leggi di gravitazione 
ciascuno nella sua orbita. La norma giuridica, scritta o meno, in quanto ha un contenuto concettuale, non nasce 
da un arbitrio o da un caso, ma da una ponderazione di interessi; tanto che si parla di « scopo » della norma, o 
di «funzione » di essa (funzione ha qui un significato generico) per indicare il contenuto normativo visto in 
ordine ai risultati sostanziali che si producono mediante gli effetti giuridici previsti dalla norma stessa. 
Possiamo quindi porre come fermo che ogni norma è collegata a interessi. 
Mediante 1'incorporazione, la norma giuridica disciplina un interesse dall'interno: in mancanza di norma, tale 
interesse tenderebbe a porsi nei suoi termini sostanziali di forza, individuale se di un singolo, politica se di una 
collettività. Mediante la tutela riflessa, la norma giuridica disciplina un interesse dall'esterno, in quanto, cioè, 
potendo esso entrare in contrasto con altri interessi. 
5. D'altra parte non può esservi alcun dubbio sul consistere l'attività amministrativa pubblica nel 
perseguimento di fini immediati, cioè nella cura di interessi propri dell'autorità, da parte dei pubblici poteri: 
anche se si tratta di fatto che ha valore tecnico organizzativo, ed è insufficiente ad assurgere a criterio di 
caratterizzazione giuridica, è tuttavia certo che questo fatto vi è, e non può essere trascurato dal giurista. 
La constatazione di tale fatto, pone, con automatica conseguenza, questa domanda: vi è un rapporto tra gli 
interessi affidati alla cura delle singole articolazioni (organi, enti, soggetti) che compongono i pubblici poteri, 
e le norme che disciplinano l'attività dei poteri medesimi? 
Cioè, p. es., se la Direzione generaledella bonifica provvede alla cura degli interessi che le norme hanno 
qualificato come interessi dello Stato, e affidato allo Stato stesso per la cura, quale rap porto vi è tra questi 
interessi e le varie norme che regolano la bonifica integrale? Siccome, nel caso, questa attività dello Stato tocca 
materie attinenti alla proprietà, vi sono rapporti giuridici tra gli interessi tutelati dalle norme sulla bonifica 
integrale e quelli tutelati dalle norme sul diritto di proprietà? 
6. Dibattito sui rapporti tra norme e interessi. 
Appare particolarmente rilevante, per la ragione che il diritto amministrativo regola la zona in cui più forte si 
verifica l'urto degli interessi. 
7. «Attività amministrativa» come nozione di scienza dell'organizzazione. Esaminiamo ora se possa avere 
valore giuridico la nozione di attività amministrativa o amministrazione-attività. 
Perciò, come la nozione di amministrazione apparato, anche questa di attività amministrativa pertiene alla 
scienza dell'organizzazione, non alle scienze giuridiche; più che esser definita, 1'attività amministrativa può 
esser descritta come quell' attività rivolta alla cura di interessi propri e altrui determinati in modo previo. 
Il punto più importante della descrizione sta nella "predeterminazione”. Ogni attività umana è, infatti, in senso 
lato, rivolta alla cura di interessi. Caratteristica della attività amministrativa è di avere ad oggetto interessi 
determinati in modo previo da organismi, autorità, persone, in posizione sopra-ordinata rispetto a coloro che 
amministrano. 
8. È in questo senso che va intesa l'affermazione secondo la quale 1'attività amministrativa manca di 
autodeterminazione, ovvero non è autosufficiente; essa presuppone una previa scelta dei fini, o quantomeno 
dei fini ‘ultimi’. 
In quanto specificazione, dei concetti di amministrazione, anche con “amministrazione pubblica” può indicarsi 
tanto un apparato amministrativo pubblico, quanto un'attività amministrativa pubblica. L'osservazione diretta 
dei fatti ci mostra che, nel diritto positivo italiano, ambedue le nozioni hanno giuridico rilievo; numerose sono 
le norme giuridiche nelle quali si parla di pubblica amministrazione, nell'una o nell'altra accezione. Le si 
trovano nella stessa Costituzione (rispettivamente negli artt. 97, comma 3, 113, 97 comma 1 , 100 comma 1 
e 118). 
9. Apparato amministrativo come apparato del Governo. 
Come principio organizzativo, nel suo valore strutturale, il principio della divisione dei poteri trova 
applicazione nel nostro diritto positivo, e spiega la sua efficacia nel raggruppare le molte figure soggettive che 
fanno parte dei pubblici poteri in grandi complessi organizzatori. 
Nell'attuale periodo storico i complessi sono verticali, cioè fanno capo ad organi supremi o a gruppi. 
10. Il complesso che a noi interessa, quello amministrativo, fa capo agli organi costituzionali di Governo; 
accanto a quello che, in senso stretto, è l'apparato amministrativo dello Stato organizzazione, esso comprende 
la numerosa ed eterogenea stirpe degli enti pubblici e dei soggetti privati che svolgono attività di pubblico 
rilievo. 
Sotto questo aspetto, 1'amministrazione-apparato pubblico non può essere definita se non come l'apparato del 
Governo. In quanto apparato del Governo essa costituisce uno strumento che il Governo utilizza per tutte le 
proprie incombenze: per raccogliere gli elementi onde elaborare l'indirizzo politico, per formulare e discutere 
questo, per coordinare le attività dei vari organi costituzionali dello Stato (laddove spetta al Governo questo 
compito), per preparare leggi, per emanare atti normativi primari e secondari (decreti legge, regolamenti, ecc.), 
per specificare gli indirizzi politici in formulazioni secondarie e terziarie, per eseguire direttive, per compiere 
lavori dì studio o di consulenza, per compiere lavori materiali, e così via. 
 
4) La giuridicizzazione dei poteri: i principi. 
1. E’ senza significato che nella dialettica autorità-libertà, sia solo quest'ultima ad aver bisogno di tutele, non 
l’altra. Essi sono perciò, figurativamente come dei meccanismi di un congegno, i quali non possono mai evitare 
che l’autorità entri, mediante l’uso di altri meccanismi, nell’ambito delle libertà e dei diritti. 
2. Fondamentale principio istituzionale dello Stato moderno e quello che la regolazione dei modi di 
estrinsecazioni dell'autorità deve essere riservata alla legge. 
3. Nello Stato patrimoniale questo principio non esisteva, onde l'autorità poteva svolgersi secondo opportunità 
(principio di discrezionalità assoluta). 
Nello Stato patrimoniale non esistendo riserve di legge e guarentigie costituzionali di libertà (o esistendo in 
minima parte, come « privilegi » ), l'azione dell'autorità era sciolta da vincoli (assoluta): di fronte alla pubblica 
autorità i sudditi erano in una situazione giuridica soggettiva di soggezione, nella quale non potevano che 
subire, in modo passivo. Nello Stato attuale non è già che le situazioni soggettive potestà-soggezione siano 
scomparse, esistono egualmente, ma, di principio, hanno perso l'attributo della assolutezza, cioè devono essere 
predeterminate da norme di legge. 
4. Rientra nei compiti della funzione legislativa il determinare quali interessi debbano essere curati dallo Stato, 
mediante i suoi apparati, e con quali mezzi e quali forme. Tali interessi si pongono cosi come fini immediati 
dello Stato. Ecco perciò la funzione esecutiva, mediante la quale lo Stato dispiega un'attività concreta diretta 
a curare i propri fini, immediati. 
5. Atto legislativo, o legge, in senso sostanziale, è quello che pone norme giuridiche, cioè costituisce 
1'ordinamento; atto amministrativo è quello che cura in concreto il raggiungimento di un fine immediato dello 
Stato; atto giurisdizionale quello che pronuncia la volontà di legge in un caso concreto in una situazione di 
terzietà. 
6. Vera funzione esecutiva, in senso giuridicamente significativo, si aveva solo in quelle costituzioni nelle 
quali l'attività d'indirizzo politico spettava, esclusivamente o prevalentemente, alle Assemblee parlamentari (o 
con più precisione, alle loro maggioranze): di fronte al Parlamento il Governo era effettivamente un comitato 
esecutivo, incaricato di prendere gli atti necessari per attuare 1'indirizzo deliberato, e per dirigere, in 
conformità, l'azione degli allora ridotti apparati burocratici. Oggi in nessuna delle vigenti costituzioni esiste 
più una evenienza di questa specie. Onde può dirsi che i concetti di potere e di funzione esecutiva hanno valore 
storico. 
7. L'atto formale è rivolto a determinare la presenza e la consistenza di un interesse pubblico in un caso 
concreto. In ogni caso però gli atti dell'autorità amministrativa nei quali si esprime il momento autoritativo 
producono la nascita, la modificazione e la estinzione di rapporti giuridici, che sono detti « rapporti giuridici 
amministrativi » . 
Derivano, dal principio istituzionale dei principi generali che regolano l’attività delle autorità amministrative. 
Essi sono: 
a) il principio di legalità dell'azione amministrativa: esso significa che l’amministrazione deve agire sulla base 
delle norme giuridiche, nel senso però non già che essa non debba compiere atti illegali - il che sarebbe ovvio 
-, bensì che la norma giuridica è regolativa di tutti i momenti dell'agire dell' autorità, in modo positivo: mentre 
l'autorità non può esplicarsi per via diversa da quella prevista dalla legge, d'altra parte ogni qual volta la legge 
prescriva di agire, deve essere necessariamente seguita. Ne consegue che quando 1'amministrazione non 
agisce come autorità questo principio non opera più. 
b) il principio di articolazione dell'azione amministrativa,ovvero: 
- di rendere evidente 1'interesse pubblico, cioè 1'interesse della collettività, dando non solo agli interessati 
diretti, ma a tutti i consociati, la possibilità di averne contezza e certezza. 
- di contenere 1'azione dell'autorità nei limiti della legge; ciò perché in un atto formale vengono ad essere resi 
pubblici tutti gli elementi componenti l'azione dell'autorità. 
- di permettere il controllo sull'operato dell'autorità, attraverso la pubblicità degli elementi componenti della 
sua azione; questo controllo può assumere svariatissime forme, dall'azione giudiziale in difesa di diritti lesi 
dall'atto formale, sino al controllo politico esercitato dalle opposizioni. 
8. L'atto formale pertanto elimina 1'arbitrio contenuto nel momento dell'autorità (in sede teorica, beninteso, 
perché altro è 1'autorità in quanto è, altro 1'autorità in quanto agisce), vincolandola alla legge: se vuole agire, 
1’autorità deve seguire la legge, altrimenti si espone al rischio di vedersi posti nel nulla gli atti da parte dei 
congegni di controllo. 
9. Che si, tratti di vincolo è palese solo che si osservi il momento reciproco: se è vero che l'autorità per disporre 
in nome del pubblico interesse una compressione di una libertà garantita deve assoggettarsi ai vincoli stabiliti 
dalle leggi, è altrettanto vero che deve assoggettarsi ad altri vincoli il soggetto titolare di diritti fondamentali 
per fare riconoscere suoi interessi privati, in contrapposizione o giustapposizione a interessi pubblici: e se non 
lo fa, corre il rischio di non veder riconosciuti i propri interessi privati in qualche altro modo. 
10. L'azione dell'autorità amministrativa si articola in tanti e distinti fatti o atti giuridici, interni ed esterni, 
aventi tendenzialmente rilevanza giuridica. 
Il principio di articolazione riguarda tutta la azione della amministrazione: esso non è infatti ordinato al solo 
esercizio del momento dell'autorità, ma a tutto l'agire di essa: p. es. quando un'amministrazione deve stipulare 
un contratto, sono necessari alcuni atti, per lo più preparatori dai quali risultino le ragioni per cui si fa il 
contratto, e perché si fa in quelle forme e in quelle circostanze. Sono inoltre regolati anche i singoli atti da 
compiere per la stipulazione del contratto; infine sono previsti altri atti per controllare 1'operato 
dell'amministrazione, e dare certezza alla collettività dell'opportunità di esso. 
Infine il principio di nominatività degli atti amministrativi. Mentre in diritto privato il soggetto può, 
nell'esercizio dell'autonomia privata (art. 1322 c.c.) porre in essere atti non disciplinati in modo particolare 
dalle leggi (contratti innominati), l'amministrazione, agendo come autorità, non può, per principio, porre in 
essere atti innominati. 
11. Per meglio rappresentare la dinamica evolutiva del potere amministrativo fino alla sua attuale 
configurazione occorre osservare che, nel corso della seconda metà dell’Ottocento quando in Europa vengono 
istituiti giudici indipendenti (ordinari o amministrativi) competenti a tutelare i diritti violati da atti 
amministrativi illegittimi, i reali rapporti di forza fra legge e amministrazione sembravano tali da far ritenere 
che il "principio di legalità" dovesse limitarsi ad operare sostanzialmente come una “riserva di legge"; nel 
senso che l'attività amministrativa risultava ancora regolamentata (e vincolata) soltanto in quelle materie 
specifiche ("certi oggetti particolarmente importanti" precisava emblematicamente Otto Mayer) disciplinate in 
modo espresso dalla legge. 
12. Finché prevale la concezione della legalità come riserva, la disciplina legislativa tende a mantenere una 
presenza discreta, episodica, frammentaria nel vincolare l'esercizio del potere amministrativo, apponendo quei 
soli paletti di confine ritenuti indispensabili per garantire ai cittadini un minimo di tutela dall'arbitrio. In 
particolare, le leggi c.d. istitutive dei diritti (quelle che decenni dopo il nostro Enrico Guicciardi avrebbe 
definito norme di relazione distinguendole dalle norme di azione) si limitavano in origine a regolare solo 
oggetti e/o profili ritenuti essenziali e rilevanti per salvaguardare diritti e libertà a favore dei cittadini stessi, 
riconosciuti dalle Costituzioni e dalle nonne primarie emanate lungo tutto il corso dell'Ottocento. 
13. Hans Kelsen fu il principale artefice del capovolgimento dal regime discrezionale al regime legale col 
criticare e col censurare in via di principio il concetto di "discrezionalità libera" ("freies Ermessen"), sebbene 
avesse poi continuato a menzionarla poiché entrata ormai nel linguaggio comune. Egli tenne a puntualizzare 
che "un'attività può dirsi realmente libera solo quando chi agisce si prefigge il fine dell'agire egli stesso, in 
quanto libero e incondizionato nella scelta degli obiettivi del proprio agire". In questa ottica "non può essere 
ritenuto libero chi è chiamato soltanto a realizzare i fini postigli da un altro soggetto ... ancorché risulti più o 
meno libero nella scelta dei mezzi per raggiungere i fini". Ma - precisava a questo punto l'Autore - l'autorità 
amministrativa “non pone mai i fini che realizza con la propria attività" dovendo questi essere sempre e 
comunque prefissati dalla legge”. 
14. Solamente quando sulla spinta dello stesso Kelsen il principio di legalità sarà esplicitamente inteso come 
"primato della legge", e si imporrà la presenza di una nonna legislativa a fondamento di ogni possibile esercizio 
del potere amministrativo, si realizzerà la convergenza fra "conformità alla legge" e "conformità al fine": 
proprio poiché quest'ultimo dovrà essere sempre indicato da una norma legislativa che ne preveda il 
perseguimento. Allora, e solamente allora, il sindacato sulla reale "conformità" dell'atto amministrativo "al 
fine" potrà essere considerato di pura legittimità, se e in quanto si traduca in un sindacato di "conformità" 
dell'atto medesimo "alla legge" che quel "fine" delinea e disciplina obbligatoriamente. 
15. Conformemente alle idee espresse da questo grande giurista positivista, precursore dello Stato di diritto, 
nel corso del Novecento i nuovi equilibri fra amministrazione e legge si affermano in modo più concreto e 
deciso - seppure con varietà e con discontinuità nelle singole realtà ordinamentali - con l'emanazione 
progressiva di leggi sempre più numerose, dettagliate, incisive, che vincolano in modo crescente l'agire del 
potere amministrativo all'interno di una rete di disciplina legislativa tendenzialmente completa. 
16. Questo elemento è confermato da ricerche storiche che hanno posto in luce come gli studiosi della prima 
metà dell'Ottocento, ad esempio il nostro Giandomenico Romagnosi, facessero ancora uso del termine 
discrezionalità "in un'accezione molto lata, fino a confondersi con discrezione" essendo "il potere 
amministrativo ... sempre e comunque discrezionale". 
A questo modello originario di una discrezionalità a-giuridica che si manifesta in assenza di disciplina 
legislativa, vale a dire nei vuoti e nelle carenze di quest'ultima (conformemente alla concezione di una legalità 
intesa come riserva di legge), tende a sostituirsi il modello ideale e garantistico di una discrezionalità giuridica 
che, al contrario, nello Stato di diritto in formazione, trae fondamento dalla presenza (anziché dall'assenza) di 
una disciplina legislativa che ne legittima l'uso, conferendo espressamente all'amministrazione il potere di 
decidere in modo autonomo e legalizzandone per questa via l'esercizio. 
17. Il rapporto tra legalità e discrezionalità: nel senso che la seconda trova ora giustificazione e ragion d'essere 
nella legalità stessa, anziché nell'arbitrio di un potere che nasce come assoluto. 
Coerentemente a questaantitetica concezione dogmatica, oggi non si ammette di regola potere amministrativo 
in assenza di una norma di legge che lo legittimi espressamente per la cura di un interesse pubblico. È lungo 
questo processo evolutivo che la discrezionalità si giuridicizza, cessando di costituire espressione di una 
volontà burocratica disancorata dalla legalità in quanto residuale rispetto ad essa. 
Il principio di legalità non viene più concepito come riserva, ma come primato della legge ("Voirang des 
Gesetzes"), nel senso che l’amministrazione può agire in piena autonomia solo se - e nei limiti in cui - una 
disposizione legislativa le attribuisca il potere di scegliere discrezionalmente tra due o più opzioni. 
18. Nei nuovi equilibri che si realizzano fra amministrazione e legge la prima può decidere limitatamente ai 
casi espressamente previsti dalla seconda, rispetto ai quali è quest'ultima a consentire (legittimare) all'autorità 
decidente una certa (maggiore o minore) flessibilità di scelta per la concreta realizzazione dell'interesse 
pubblico affidatole astrattamente in cura. 
 
5) Interessi e norme organizzative 
 
1.Organizzazione e ordinamento giuridico. 
In ogni ordinamento giuridico è necessaria un'organizzazione. Senza organizzazione un ordinamento non 
esiste: più soggetti che abbiano eguali interessi, o tengano analoghi comportamenti, se non esprimono una 
propria organizzazione, non danno luogo ad un ordinamento giuridico 
2. L’organizzazione può esser ridotta al denominatore «norma», nel senso che in ogni ordinamento si può 
individuare e isolare una normazione sull’organizzazione. 
3. Per lungo tempo la scienza giuridica non ha avuto consapevolezza della rilevanza giuridica 
dell'organizzazione: essa, quasi affascinata dall'aspetto più appariscente della normazione giuridica, quello 
della regolazione dei rapporti giuridici tra soggetti (regolazione intersubiettiva), credette con ciò esaurito il 
proprio compito. La tardiva consapevolezza del contenuto delle norme in quanto regolative dell'organizzazione 
è stata rilevata da storiografi: viene spiegata con ragioni di diverso ordine, come le strutture degli ordinamenti 
generali che precedettero gli Stati, ordinamenti nei quali 1'apparato amministrativo era retto da regole 
giuridiche diverse da quelle oggi vigenti. 
Gli ordinamenti statali odierni sono, quanto all'organizzazione, estremamente complessi: in essi 
l’organizzazione si compone di due parti (e tende a divenire di tre): la prima è quella detta costituzionale, che 
comprende i supremi organi dello Stato, nel “sistema” dei loro poteri, e dei controlli. 
4. Tutta la rimanente organizzazione non costituzionale, è organizzazione amministrativa, in quanto è rivolta 
a curare fini già predeterminati dagli organi costituzionali, mediante atti d'indirizzo politico e mediante leggi. 
In questo senso è organizzazione amministrativa, oltre 1'amministrazione in senso proprio, anche la 
giurisdizione: e di ciò vi è anche un riscontro di linguaggio nella voce ‘amministrazione della giustizia’. 
5. Interessi e norme organizzative: conformazione e distribuzione degli uffici. 
Il coesistere di più interessi nel seno di un ordinamento pone i due problemi, che già conosciamo nei loro 
termini generali, della disciplina giuridica degli eventuali vari apparati che sono “portatori” dei vari interessi 
(aspetto organizzativo), e della disciplina delle attività (aspetto funzionale). Vediamo subito il primo di questi 
problemi. 
Esso ha per oggetto le norme sull’organizzazione. 
 6. Le norme organizzative hanno lo scopo di dare evidenza giuridica ad un apparato, di renderne cioè le 
strutture giuridicamente rilevanti di fronte ad altri soggetti giuridici: nel caso degli apparati statali, le norme 
organizzative hanno lo scopo di rendere rilevanti di fronte a tutti i consociati, cioè nell’ordinamento generale, 
le strutture dello Stato organizzazione. 
7. Se un apparato viene regolato da norme giuridiche, i soggetti giuridici esterni possiedono delle certezze 
circa il modo come la cura degli interessi viene distribuita negli uffici dell’apparato e sono garantiti dal fatto 
che per modificare l’apparato si richiede un altro atto normativo: ove l’apparato sia quello dello Stato-
organizzazione, e i soggetti siano i cittadini. Tutto ciò si traduce in una ulteriore forma di garanzia del momento 
della libertà, perché il cittadino sa che per agire in date materie oggetto di sue libertà, l’autorità deve servirsi 
di dati uffici e non di altri, altrimenti agisce illegalmente. 
Vari sono i modi attraverso i quali si esprime la rilevanza giuridica dell'organizzazione degli apparati. 
8. Interessi primari, attribuzione di funzioni. 
In quanto le norme organizzative regolano la conformazione e la distribuzione degli uffici, regolano insieme 
la distribuzione delle funzioni, cioè assegnano ai vari uffici, nei quali si articola 1’apparato la cura di 
determinati interessi. 
La distribuzione delle funzioni è retta da un principio di gradualità, tecnico e giuridico insieme: vi è così una 
distribuzione ai vertici per grandi ripartizioni (p. es. amministrazione degli affari esteri, della difesa, 
dell'istruzione), che via via si dirama in ripartizioni più circoscritte. In ogni caso, lo stabilire, p. es., che ai culti 
attende una direzione del Ministero degli interni, ai pesi e misure un ufficio del Ministero dell'industria, ai 
parchi nazionali una divisione del Ministero dell'agricoltura, costituisce dei centri di riferimento di interessi: 
per cui verificandosi degli eventi che, positivamente o negativamente, incidano su tali interessi, chiunque è in 
grado di sollecitare l'intervento di tali centri di riferimento, o, viceversa, l'intervento contro di essi. 
9. Nello Stato moderno, nel quale gli interessi pubblici sono tanti, la distribuzione degli interessi fra centri di 
riferimento diversi è necessaria (non già solo opportuna): esiste così un «principio di differenziazione 
necessaria» delle funzioni e degli interessi, principio insieme giuridico e di scienza dell'organizzazione. Se 
esso non vi fosse, e gli interessi pubblici fossero attribuiti indistintamente ad uffici, ne verrebbe che la cura di 
essi potrebbe cadere nell'arbitrio dei titolari degli uffici; con conseguenze gravi per la stessa amministrazione, 
poiché anche gli interessi pubblici sono tra loro in stato di tendenziale conflitto. 
10. In quanto norma di distribuzione degli interessi, la norma organizzativa simultaneamente crea e delimita 
la funzione: come la norma organizzativa giudiziaria nell'istituire l'organo giusdicente e nell'attribuirgli una 
determinata materia, crea e delimita la giurisdizione, così quella organizzativa amministrativa crea la funzione 
attribuendola ad un ufficio, e la delimita insieme. 
In quanto norma che opera un’attribuzione di funzioni, la norma organizzativa amministrativa attribuisce ad 
un dato interesse la qualifica di interesse primario rispetto ad un ufficio: in tal modo, ogni altro interesse è, 
rispetto a quell'ufficio, non primario, ed è escluso dall'ambito di azione di esso. Così gli interessi 
dell'agricoltura della zona X, gli interessi concernenti i monumenti antichi sul piano nazionale, gli interessi 
attinenti all'imposta di circolazione sul piano nazionale, ecc., sono primari rispetto ai vari uffici cui sono 
attribuiti, ad esclusione di ogni altro interesse. 
Se un ufficio agisce al di fuori dell'ambito assegnatogli dalla norma organizzativa, sotto l'aspetto 
dell'attribuzione di funzioni, il suo atto è viziato, e il soggetto che vi ha interesse può far valere, dinanzi ad un 
giudice la esistenza di questo vizio. In tal modo la norma organizzativa ridonda in norma dì regolazione 
intersubiettiva: all'attribuzione di funzione si annoda intal modo quell'elemento dell'atto, che è la competenza, 
così come avviene per la competenza giurisdizionale rispetto alla giurisdizione. 
 
6) Norme organizzative e attività 
 
1. Sotto l'aspetto strutturale le norme organizzative regolano i rapporti tra interessi ed attività. Le nozioni che 
si presentano al nostro esame in questa sede, sono quelle di «discrezionalità amministrativa», «merito 
amministrativo», «vincolatezza». Fra esse la più difficile a chiarire è la prima. 
Invero non si tratta di nozione specifica del nostro diritto: discrezionalità, o attività discrezionale, è qualsiasi 
attività giuridica libera in tutto meno che nella scelta dei fini. 
2. La norma organizzativa che attribuisce discrezionalità non si sottrae alla regola, di tutte le altre norme 
organizzative, di ridondare in norma di regolazione intersubiettiva determinando un elemento dell'atto 
giuridico, che è la competenza. 
3. Ma nell'ambito in cui vi sono diritti o comunque situazioni giuridiche riconosciute, l'ufficio-centro di 
riferimento dell’interesse canonizzato può e deve agire per sempre meglio curare l'interesse stesso: il che 
assume particolare rilievo in quella attività delle “iniziative”, promosse o sostenute da questa o quella 
amministrazione, per curare l'interesse affidato, e che spesso, formalmente, non sbocca neppure in atti di diritto 
amministrativo esterno. 
4. Ora la ragione specifica per cui è attribuita la discrezionalità risiede in questo: che in concreto un interesse 
primario non esiste mai da solo, in una sorta di vuoto giuridico, ma sta forzatamente in rapporto con gli altri 
interessi, pubblici e privati, che ne impediscono o ne diminuiscono ne condizionano, o viceversa, ne rafforzano 
direttamente, indirettamente, condizionatamente la realizzazione. 
Questi altri interessi diconsi secondari. 
5. In quanto nelle norme (organizzative) attributive di funzioni l'interesse è canonizzato, l'ordinamento, deve 
regolare i possibili conflitti tra gli interessi, o, il che è lo stesso, tra uffici, o tra norme organizzative. 
I conflitti d'interessi sono di molte specie. Ma ai fini di quanto qui ci riguarda, essi si raggruppano in due grandi 
categorie: i conflitti effettuali e i conflitti potenziali. 
6. Onde risolverli, l’ordinamento introduce delle misure preventive, che consistono nello stabilire dei rapporti 
giuridici tra le varie autorità e nel determinare, mediante tali rapporti, quale delle volontà in contrasto debba 
prevalere o come si possano comporre le volontà divergenti. Questi rapporti si possono chiamare “figure 
organizzatorie”. 
7. La discrezionalità amministrativa si deve inquadrare nei principi propri dell'attività amministrativa, in 
particolare quello di legalità e di nominatività. 
Ne deriva che, a differenza delle altre forme dì discrezionalità, quella amministrativa è puntuale, cioè riguarda 
singoli elementi atti che l'amministrazione può compiere, e non gli interi atti. 
Si ha perciò una discrezionalità nei presupposti e nei motivi an habeatur: si deve o non rilasciare 
1'autorizzazione, procedere alla sdemanializzazione? Si deve agire ora, tra due mesi? Vi è motivo per agire?), 
una discrezionalità nella forma (quomodo habeatur: in che forma agire? Quali atti strumentali compiere?), e 
una discrezionalità nell'oggetto (quid habeatur: si delibera di fare a oppure b? Si pone tale condizione? Si 
calcola in base al criterio x 0 y?). Vi sono procedimenti nei quali la discrezionalità è articolata: p. es. ad un 
organo è affidata la ponderazione, ad un altro la decisione (in senso a-tecnico); ad un organo la deliberazione 
di massima ad un altro la decisione di specie, ad un organo la decisione sostanziale ad un altro l'atto formale, 
e così via. 
 
7) Discrezionalità e amministrazione 
1. Ogni attività amministrativa è, a rigore, politica: sia nel senso che essa è rivolta all'ordinamento del gruppo 
associato politico, sia nel senso che essa non può prescindere dalle circostanze politiche, attraverso l'uso del 
potere discrezionale. 
2. Il che ci porta a porre in luce un altro carattere specifico della discrezionalità amministrativa: la politicità. 
Gli interessi, prima primari o secondari che siano, non hanno, mai, nel tempo e nel luogo, un'equivalenza. Il 
loro peso, la loro consistenza, varia in ordine al variare delle contingenze politiche ( « politica » qui vale nel 
senso aristotelico del termine) . 
È chiaro altresì che dopo un'inondazione il problema dei problemi è di ricostruire gli argini del fiume; dopo un 
terremoto rifare, le case, dopo un tumulto pacificare gli spiriti; onde di volta in volta l'incidenza degli interessi 
secondari su quelli primari è diversa. Ed ecco soccorrere la discrezionalità, con la sua infinita possibilità di 
valutazioni. Chi nella discrezionalità vede delle norme non scritte, non si rende conto che una delle ragioni più 
valide della discrezionalità è la sua strumentalità politica nel senso augusto del termine. 
3. Vi è discrezionalità nel diritto privato, come p. es., nell'attività dei titolari degli uffici privati, quali tutori, 
curatori, amministratori di società, ecc. in quanto indirizzata ad interessi (fini) specifici (cura degli interessi 
del soggetto tutelato o curatelato, degli interessi indicati nello statuto della società o dagli organi deliberativi 
di essa), ma libera per tutto il rimanente. Vi è discrezionalità nella attività legislativa secondaria, talora anche 
in quella subprimaria; nell'attività del giudice civile e penale: p. es. nei provvedimenti cautelari, 
nell'applicazione della pena, ecc. 
Nel diritto amministrativo la discrezionalità non ha diversa natura; ha solo diversi attributi, in ordine alla specie 
propria dell'azione amministrativa. 
4. L'attività discrezionale sta nella «precisazione», o meglio completamento, della norma per il singolo caso 
concreto (completamente individuale). 
5. La discrezionalità è volontà e giudizio insieme; ma guai a ridurla all’una o all’altra. 
6. La discrezionalità amministrativa può dirsi perciò che consista nella ponderazione comparativa di interessi, 
pubblici e privati, già tutelati nell'ordinamento, nei rispetti di un interesse pubblico primario, ai fini di trovarne 
la composizione più opportuna in ordine ad un'azione da svolgere in circostanze politiche soggette a variazioni. 
7. Interesse pubblico primario si esprime giuridicamente dicendo che l'ufficio ha il potere e il dovere (vedremo 
poi che cosa sia questa situazione giuridica) di intervenire tutte le volte che, ciò sia richiesto dall’interesse che 
esso ha per canone. 
8. In particolare, la discrezionalità amministrativa veniva rappresentata da Giannini - e tuttora lo è nella 
manualistica e nella giurisprudenza italiana contemporanea - come una ponderazione fra l'interesse c.d. 
primario - da considerare come lo scopo o l'obiettivo di pubblico interesse fissato astrattamente dalla legge e 
affidato alla cura concreta di una certa autorità amministrativa - e gli interessi c.d. secondari, pubblici e privati, 
afferenti alla realtà concreta, ossia emergenti dal contesto fattuale esistente. 
9. L'Autore ha proposto una rappresentazione giuridica del fenomeno in parola da cui discende che la sua 
configurazione non può prescindere dalla presenza (non quindi dell’assenza o dalla sua inapplicabilità) di una 
specifica norma legislativa attributiva del potere all'autorità amministrativa, dalla quale si evinca il fine da 
realizzare (ossia un interesse pubblico da perseguire) concretamente. Fine (o interesse pubblico) che l'Autore 
ha qualificato in modo emblematico come primario. 
10. In assenza di tale norma legislativa affidataria del potere l'amministrazione non è legittimata a decidere 
alcunché. Da ciò si evinceva la regola tuttora vigente secondocui, diversamente dai soggetti privati che 
agiscono autonomamente nei limiti della legge (vale a dire in assenza di normative che prescrivano o vietino 
loro attività o comportamenti), i soggetti pubblici agiscono solo se e in quanto (limitatamente alle ipotesi in 
cui) la legge conferisca loro un potere di scelta, con certe modalità di espletamento e in vista di un obiettivo 
da realizzare. 
11. Se la discrezionalità è sempre ponderazione di interessi, la ponderazione di interessi non sempre è 
discrezionale, vale a dire libera, sottratta al sindacato giurisdizionale. Il bilanciamento fra diritti e fra interessi, 
nonché fra valori che ad essi conferiscono rilievo giuridico, presuppone infatti l'esistenza tanto di limiti esterni 
posti dalle leggi, quanto di limiti interni posti da quei principi giuridici che attengono al bilanciamento stesso 
(procedimento di ponderazione). 
 
8) Discrezionalità e tecnica 
1. Questa definizione pone in risalto l'intrinseca differenza tra discre-zionalità amministrativa (c.d. pura) e 
discrezionalità tecnica. Infatti nell’esercizio della seconda i margini di flessibilità operativa non dipendono - 
diversamente da quanto avviene nell'esercizio della prima - dall'esito oscillante di un bilanciamento fra 
interessi come espressione di una volontà politico-amministrativa, ma dipendono dall'incertezza intrinseca di 
una scelta rispetto alla quale le scienze e le tecniche non sono in grado di offrire soluzioni fìsse, univoche, 
oggettivamente certe. Fra le molte ipotesi possibili, basti pensare ad una determinazione fondata su previsioni 
future, come tali umanamente fallibili; oppure sorretta da valutazioni opinabili di valore, ad esempio m campo 
estetico ed artistico. 
2. Di comune impiego è altresì la nozione di attività tecnica, ma più che nozione giuridica, è una nozione di 
scienza dell'organizzazione. E di fatti negli apparati delle imprese private, che da noi sono sempre più evoluti 
degli apparati pubblici, è oggi di comune dominio la distinzione tra dipendenti amministrativi e dipendenti 
“tecnici”. L'attività tecnica è detta così perché essa si sostanzia nell’applicare regole desunte da discipline o da 
scienze nomotetiche (tecniche per antonomasia, perché a rigore ogni attività amministrativa è tecnica): p. es. 
uffici minerari, geologici, idrografici, portuali, stradali, sanitari, e così via. 
3. Questa attività tecnica assunse importanza, nella scienza e nella prassi, perché ad un certo punto si cominciò 
ad usare la nozione di «discrezionalità tecnica», per indicare quel margine che le norme lasciano talora, nella 
propria applicazione, all'applicazione di nozioni di disciplina tecniche: p. es. pericolo di epidemia, stabilità di 
un edificio, abitabilità di un locale, coltivabilità di una miniera, grado di acidità di un grasso, e così, via. In 
realtà questa attività non è per niente discrezionale; non vi è ponderazione di interessi, o giudizio di 
opportunità: vi è una pura e semplice applicazione di norme e regole tecniche, che portano a soluzione univoca 
in quanto scientifica. È vero che talora si possono avere conclusioni tecniche diverse, ma allora si tratta di 
materie opinabili scientificamente - e ve ne sono, specie nelle scienze sperimentali -, che comunque non danno 
luogo a possibilità di pronuncia di maggiore o minore opportunità. 
4. Spesso, accanto alla c. d. discrezionalità tecnica (termine ormai di uso comune, e quindi, anche se errato, 
non più espungibile), vi è discrezionalità vera e propria: p. es. l'ufficio sanitario giudica che ci sia pericolo di 
epidemia; l'ufficio amministrativo deve decidere quale provvedimento adottare, tenendo conto dei mezzi che 
ha a disposizione, della impressionabilità della popolazione, dell'efficacia delle singole misure, e simili. 
5. L'attuale concezione del principio di legalità mostra come l'amministrazione abbia perduto rispetto al passato 
la discrezionalità del fine, non potendo più autonomamente scegliersi un proprio obiettivo da realizzare in 
assenza di (prescindendo da) una legge che lo preveda e glielo affidi in cura dettando i criteri e le modalità del 
suo perseguimento. 
Nello Stato di diritto vige la regola secondo cui è solo la legge a poter fissare gli obiettivi del potere 
amministrativo. Potere che, una volta investito (legittimato) del compito di perseguire quegli obiettivi, potrà e 
dovrà realizzarli decidendo in concreto con margini di flessibilità la cui ampiezza dipenderà da quanto 
legalmente previsto con riferimento ad un an (se agire o no), ad un quid (cosa decidere concretamente), ad un 
quo-modo (con quali modalità provvedere) rispetto al fine da perseguire. 
6. La circostanza che il principio di legalità postuli oggi la preesistenza di un tessuto normativo completo (vale 
a dire non più lacunoso, come accadeva nel passato, ma esteso ad ogni possibile ambito dell'agire 
amministrativo) non comporta che quell'agire sia meramente esecutivo e, come tale, totalmente sindacabile dal 
giudice attraverso un mero giudizio di conformità dell'atto amministrativo alla legge. Infatti, laddove 
quest'ultima affida all'amministrazione un certo ambito (maggiore o minore) di scelta flessibile (discrezionale) 
il relativo potere resterà conseguentemente circoscritto in quell'ambito, cosicché il giudice si limiterà a 
verificare se si è oltrepassato (ecceduto) i limiti legali posti al suo esercizio: limiti segnati non solo dalla stessa 
legge che quel potere ha attribuito disciplinandone l'uso, ma anche da altre leggi o da principi giuridici 
applicabili alla fattispecie concreta. 
7. Questa rappresentazione può chiarire come il vizio di eccesso dì potere - concepito in origine come una sorta 
di super-incompetenza - sia potuto apparire allo stesso Massimo Severo Giannini come un andare oltre, un 
oltrepassare i "limiti del proprio potere" da parte dell'autorità amministrativa decidente. Questa immagine fu 
resa possibile sin dal momento in cui il sindacato giurisdizionale - che secondo i primi orientamenti della nostra 
IV Sezione del Consiglio di Stato si fondava su elementi esclusivamente formali - si aprì anche ad una 
concezione di natura sostanziale della legalità amministrativa. 
8. Il che induce la nostra dottrina a definirlo come un vizio della discrezionalità, sebbene esso sia nato nella 
sfera della legalità e ad essa sia rimasto ancorato. Quel vizio, cioè, per quanto venga tuttora ambiguamente 
considerato come una strana figura di anticamera della legalità stessa, non si è mai contuso né mai si è 
identificato col tradizionale vizio di inopportunità, per la cui rilevazione — nei limitatissimi casi previsti 
tassativamente dalla legge - la giurisdizione del giudice amministrativo si estende al merito. 
9. Come è emerso dalla ricostruzione storica finora compiuta, la discrezionalità si è progressivamente 
giuridicizzata al punto di trovare il proprio fondamento nella legalità, vale a dire nella presenza di una 
disciplina giuridica in forma di leggi e di principi. Non più nella sua assenza o nei suoi vuoti da colmare come 
accadeva nel passato quando la legge non costituiva ancora la naturale frontiera fra discrezionalità ed arbitrio. 
La questione di fondo coinvolge i limiti legali ad un sindacato sulla discrezionalità che ormai, potendo sempre 
contare sull'esistenza di una disciplina giuridica formale e sostanziale estesa ad ogni ambito amministrativo, 
non può più da essa prescindere nel verificare in termini legali se l'agire libero dell'amministrazione sia 
realmente discrezionale (e come tale insindacabile), oppure arbitrario o/e illegittimo (extra legem o/e contra 
legem). 
10. Con riferimento alla complessità del rapporto fra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica è 
opportuno aver chiaro a livello generale chenel diritto amministrativo l'indeterminatezza della norma può 
riguardare due distinte fasi: 
1. Quella dell'indicazione delle premesse di fatto all'esercizio del potere amministrativo, che comporta margini 
di flessibilità nella qualificazione (sussunzione) dei fatti - specie ove si tratti di fatti che presentano ampi 
margini di incertezza riguardo al loro accertamento e/o apprezzamento - afferenti alla fattispecie reale come 
altrettanti presupposti legali ad una corretta applicazione della norma in parola. 
2. Quella immediatamente successiva dell'indicazione del fine pubblico che l'amministrazione stessa deve 
perseguire (c.d. interesse primario), che comporta margini di flessibilità nella scelta concreta da realizzare 
conseguente all'esito di un bilanciamento fra interessi (primario e secondari) secondo la rappresentazione 
offerta da Massimo Severo Giannini. 
11. Bilanciamento che segna il passaggio dall'interesse pubblico astratto previsto dalla legge in forma di 
clausola generale, all'interesse pubblico concreto realmente perseguito dall'autorità amministrativa. 
 
9) Legalità e procedimento 
1. Come è emerso dalla ricostruzione finora compiuta, la discrezionalità si è progressivamente giuridicizzata 
al punto di trovare il proprio fondamento nella legalità, vale a dire nella presenza di una disciplina giuridica in 
forma di leggi e di principi. Non più nella sua assenza o nei suoi vuoti da colmare come accadeva nel passato 
quando la legge non costituiva ancora la naturale frontiera fra discrezionalità ed arbitrio. 
La questione di fondo coinvolge i limiti legali ad un sindacato sulla discrezionalità che ormai, potendo sempre 
contare sull'esistenza di una disciplina giuridica formale e sostanziale estesa ad ogni ambito amministrativo, 
non può più da essa prescindere nel verificare in termini legali se l'agire libero dell'amministrazione sia 
realmente discrezionale (e come tale insindacabile), oppure arbitrario o/e illegittimo (extra legem o/e contra 
legem). 
2. Con riferimento alla complessità del rapporto fra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica è 
opportuno aver chiaro a livello generale che nel diritto amministrativo l'indeterminatezza della norma può 
riguardare due distinte fasi: 
1. Quella dell'indicazione delle premesse di fatto all'esercizio del potere amministrativo, che comporta margini 
di flessibilità nella qualificazione (sussunzione) dei fatti, specie ove si tratti di fatti che presentano ampi 
margini di incertezza riguardo al loro accertamento e/o apprezzamento, afferenti alla fattispecie reale come 
altrettanti presupposti legali ad una corretta applicazione della norma in parola. 
2. Quella immediatamente successiva dell'indicazione del fine pubblico che l'amministrazione stessa deve 
perseguire (ed. interesse primario), che comporta margini di flessibilità nella scelta concreta da realizzare 
conseguente all'esito di un bilanciamento fra interessi (primario e secondari) secondo la rappresentazione 
offerta da Massimo Severo Giannini. 
3. Bilanciamento che segna il passaggio dall'interesse pubblico astratto previsto dalla legge in forma di 
clausola generale, all'interesse pubblico concreto realmente perseguito dall'autorità amministrativa. 
4. La nozione di procedimento amministrativo rimanda a una figura organizzativa espressiva di una sequenza 
preordinata e unitaria destinata alla produzione di effetti giuridici. In tal modo si risponde alla prima delle 
questioni che sorgono attorno al tema del procedimento: ovvero “che cosa è il procedimento”, lasciando sullo 
sfondo l’altra fondamentale domanda “perché il procedimento”, che ne introduce subito un’altra, ad essa 
strettamente conseguente, “quale procedimento”. 
5. A ben vedere anche la seconda delle domande sopra poste ha modo di risolversi agevolmente in stretta 
connessione alla prima. Va considerato in tal senso che il procedimento amministrativo – non diversamente da 
ogni altra “procedura” per l’adozione di un atto dei pubblici poteri – altro non esprime che l’idea di un ordo 
productionis e da sempre (basti pensare alla esperienza storica del processo) l’ordo productionis ha una sua 
finalità precisa ed immediata che attiene a una generale ed astratta esigenza di legalità nell’esercizio di una 
funzione. 
6. Il “perché” del procedimento è quindi dipendente dall’insieme delle ragioni di cui è espressione l’esigenza 
di legalità. Ragioni che rinviano alla necessaria osservanza delle prescrizioni normative sui modi di esercizio 
della funzione, ma anche alla necessità di un’adeguata evidenza dei fatti e degli interessi che in essa prendono 
vita, il che è condizione di un effettivo realizzarsi della legalità. Ed ancora, legalità come controllo, e quindi 
l’ordo productionis come premessa o strumento per rendere verificabili le potestà pubbliche: verifica sia del 
rispetto delle norme che disciplinano l’azione amministrativa (con l’eventuale rilevazione dei vizi di 
incompetenza e di violazione di legge), che dell’osservanza di principi non scritti, e tuttavia essenziali requisiti 
della legalità (sanzionati dall’eccesso di potere mediante le fattispecie sintomatiche del difetto di istruttoria, 
dell’omessa considerazione di interessi, del travisamento dei fatti, dell’incongruità tra le risultanze 
dell’istruttoria e la motivazione, della disparità di trattamento, ecc.). 
7. Queste potrebbero dirsi le ragioni non soggette a variazioni, del “perché” della figura in ogni esperienza 
giuridica contemporanea. Il contesto di giustificazioni in cui va situata la figura del procedimento deriva 
pertanto dall’esigenza di legittimazione attraverso regole cui è finalizzato l’ordo productionis. Legittimazione 
dell’esercizio di una potestà pubblica attraverso il rispetto di norme ma che il progressivo affinamento delle 
esigenze di tutela ha subordinato anche al rispetto di criteri sostanziali di rilevanza degli interessi. Un contesto 
di giustificazioni, dunque, che sembra rifuggire dalle contrapposizioni dicotomiche tra legalità “formali” e 
“sostanziali” e dalla pretesa di assegnare alle diverse concezioni del procedimento l’adesione all’uno o all’altro 
modo di intendere la legalità. 
8. Avviando la nostra analisi verso una rigorosa prospettiva di diritto positivo, vi è un ulteriore motivo di 
riflessione relativo alle diverse elaborazioni che si rinvengono nel capitolo della teoria del procedimento. La 
figura del procedimento amministrativo infatti non coinvolge soltanto (rilevanti) istituti o concetti di spessore 
teorico e tecnico, ma anche sensibilità e consapevolezze che affondano le loro radici in terreni che si alimentano 
di (diverse) opzioni politico-ideologiche: ciò sia riguardo al modo di concepire, sul piano dell’esercizio delle 
potestà pubbliche, la sfera delle relazioni giuridiche tra il complesso dei poteri pubblici e gli amministrati ma 
anche (si pensi alla fitta trama delle relazioni procedurali che si stabiliscono tra i poteri pubblici in procedimenti 
pianificatori e programmatori) con riguardo ai nessi procedimentali del pluralismo istituzionale. 
9. Il campo di incontro-scontro delle diverse opzioni è quello al quale rinvia la terza domanda che è stata posta 
in apertura di questa voce (“quale procedimento”): il campo cioè della scelta dei “modelli” procedurali propri 
della disciplina normativa (generale o particolare) dei procedimenti amministrativi. È questo anche il campo 
al quale si atterranno in termini ricostruttivi le note che seguono sull’evoluzione della disciplina positiva della 
materia. 
 
10) La legge generale sul procedimento 
1. La soluzione del problema della disciplina positiva con la legge 7.8.1990, n. 241 I temi sui quali si 
incentrano, dall’immediato dopoguerra in poi, le prese di posizione teoriche

Continue navegando