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STORIA SOCIALE DEL MONDO CONTEMPORANEO
A.A: 2020/2021
 GLI EQUIVALENTI MORALI DELLA GUERRA DAGLI INIZI AI GIORNI NOSTRI
L’ultimo scritto del filosofo e psicologo americano William James (1842-1910) L’equivalente morale della guerra fu pubblicato del 1910, anno della sua morte, e racchiude le sue idee in merito all’esistenza della guerra stessa. Infatti, James propose come alternativa allo scontro fisico il convogliare gli istinti umani bellicosi in attività che esprimessero la nostra innata aggressività. Lo sport e lo scoutismo erano dunque le due vie culturali da lui individuate che potevano esprimere i valori militari, sostituendo la violenza fisica con attività propedeutiche ed infondendo nelle nuove generazioni i sentimenti di onore, gloria e disciplina ereditati dai nostri antenati, sfogati non più col sangue ma attraverso giochi e pratiche ricreative dedite alla fortificazione morale del singolo e della comunità. Su queste due tematiche ci ritorneremo più in là nello scritto, prima però facciamo una breve storia della vita James e di come concepì il libro. Prima di tutto, dobbiamo considerare che l’autore era calato in un contesto movimentato in cui si fecero avanti da un lato i sentimenti nazionalisti e imperialisti europei, atti a fomentare dalla metà del XIX secolo sino ai primi del XX secolo gli spiriti patriottici dei popoli stessi; dall’altro abbiamo le politiche conflittuali americane le quali raggiunsero l’acme con la rivolta antispagnola scoppiata nelle Filippine nel 1899 e protrattasi sino al 1901, sotto la guida del generale e politico filippino Emilio Aguinaldo. Lo svolgimento della battaglia avrà esiti devastanti portando alla morte circa 200.000 filippini, a causa dei metodi brutali condotti dall’esercito americano e non condivisi da James, essendo di idee antimperialiste siccome non condivideva né l’atteggiamento paternalistico di civilizzazione verso quei popoli considerati inferiori e né considerava la superiorità etnica degli evoluzionisti di certi popoli su altri. Al contrario era a favore della autodeterminazione dei popoli nel redimere le loro controversie intestine e a progredire culturalmente senza l’aiuto di ingerenze esterne. La piega presa dalle azioni militari nelle Filippine verso la repressione violenta fu data da due fattori: le condizioni ambientali sfavorevoli alla vita dei soldati per via della folta e selvatica vegetazione e le azioni tattiche partigiane dei nativi filippini contro di essi. Ciò spinse gli statunitensi ad allearsi con le élites locali e a adottare metodi di “cerca e distruggi” compiuti dapprima sull’isola di Samar, setacciando e bruciando i villaggi e uccidendo chiunque avesse più di dieci anni e brandisse un’arma, compiendo di fatto una carneficina. In secondo luogo, sull’isola di Luzon i soldati americani compirono un altro eccidio: sebbene avessero ammassato la popolazione civile in campi provvisori per salvaguardarli dalla guerra, il trattamento a loro dedicato fu assai duro e comprendeva le torture, la scarsa condizione alimentare, igienica, ed i maltrattamenti che decimarono la popolazione indigena. L’insieme di queste atrocità, affiancate alla politica coloniale europea fecero nascere in James la riflessione sulle alternative all’incanalatura dei sentimenti bellicosi. Questi ultimi, essendo ereditati dai nostri antenati, li dobbiamo accettare ed imparare a conviverci, facendo convergere le passioni guerresche e di ricerca verso la morte violenta negli ideali militaristici. Se mancasse l’universale della guerra mancherebbe la “spinta morale” ad agire ed ingegnarci, rischiando di cadere nella degenerazione sociale, identificata dall’autore nei fenomeni del capitalismo sfrenato, dell’alcolismo, della droga e di altro lassismo dell’epoca Ottocentesca/Novecentesca. La soluzione veniva ricercata, allora, nella solida morale militare che forgiava i soldati tramite una rigida disciplina atta a mantenere attive le persone. L’idea di guerra, dunque, non può essere eliminata poiché si presenterà sempre sottoforma di impulsi competitivi umani all’interno della società. Come asseriva Kant nel suo ragionamento sull’Insocievole Socievolezza del 1784, l’uomo presenta in sé il naturale richiamo ad unirsi in comunità per soddisfare i propri bisogni egoistici. Tuttavia, l’incontro con altri esseri umani lo porta alla competizione siccome è conscio del fatto che il soddisfacimento dei suoi desideri comporta lo sfruttamento di altri suoi pari, che lo vedono a loro volta come un ostacolo da superare in egoismo. Se non vi fosse però questo stimolo naturale alla competitività innata fra esseri umani, un individuo non potrebbe migliorarsi e far migliorare il prossimo grazie ad azioni razionali ed ingegnose che lo smuovono dalla pigrizia. Il caso contrario di eterna pace porterebbe l’uomo ad annichilirsi fino alla staticità rallentando di fatto lo stimolo alla creazione ed al movimento, fattori importanti per la costruzione di utensili e macchinari che permettono di ovviare alla fatica fisica e soddisfare così le necessità personali. Non dimentichiamoci, inoltre, che l’impulso primario e recondito nell’uomo che caratterizza il suo dinamismo è il sentimento della paura: essa agli albori dell’umanità era rivolta al timore della conquista fra i popoli, come diceva lo storico e filosofo Ernest Renan, e tale stimolo rese l’uomo giovane e forte nell’avanzare del progresso per quanto le guerre combattute siano state atroci. Lo sforzo e la lotta sono i nostri impulsi sostenitori per non farci cadere nella trappola del godimento, ed avanzare continuamente sul piano della fatica psicofisica. Con l’avvento dell’Illuminismo e della Rivoluzione Industriale il paradigma della paura cambiò, incominciammo ad avere paura di noi stessi per non farcela a progredire ed individuammo due direttrici di resistenza alla paura: una morale e l’altra estetica. La morale presenta costantemente il desiderio di compiere grandi azioni come gli eroi del passato, bloccata dal senso civile del non compiere gesta impulsive e criminose verso il prossimo. L’estetica, invece, concerne la resistenza nei confronti d’una possibile vita fatta d’ardore e di violenza, priva di emozioni e dettata unicamente da regole evoluzionistiche prive di dinamicità. Tali resistenze ci impongono di non commettere orrori derivati dalla guerra, però al contempo eccitano un soggetto e lo spronano a comprendere come le virtù militari aiutino un essere umano a non temere la debolezza del proprio Io, spingendolo a superare i propri limiti. L’insegnamento migliore per trascendere la debolezza e la paura ce lo fornisce l’esercito con la sua disciplina ferrea, idonea a istituire l’orgoglio nel singolo e nella collettività cosicché si formi in essi un animo solido e coeso. Nel loro insieme questi ragionamenti ci rimandano al filosofo Nietzsche ed al concetto di “volontà di potenza”, secondo cui una società per migliorarsi doveva trarre spunto sia dagli ideali artistici dell’antica Grecia e del Rinascimento, che al modello di dominio della classe dirigente sulla plebe al fine di preservare una cultura alta e raffinata. Per ottenere i livelli qualitativi di vita auspicati da James, un’economia di pace non deve esistere, perché renderebbe un essere umano pigro e poco reattivo ai fattori dell’ingiustizia e della criminalità. La concezione di virilità e la coscrizione sarebbero state imposte sin dall’infanzia ed estese alla popolazione intera se si voleva infondere nei cittadini il senso di autorità, abnegazione e severità. I deterrenti che meglio confacevano al pensiero militare di James e che si affacciavano alla società moderna furono lo sport e lo scoutismo: dal canto della sportività le attività come il football, il rugby e il baseball ebbero un grande eco specialmente in America al di sopra delle altre discipline sportive, siccome aumentavano lo spirito di competitività e solidarietà ma soprattutto incanalavano l’aggressività; permettendo al contempo di divertirsi e sfogarsi oltre che a fraternizzare con i compagni disquadra. Per quel che attiene agli effetti benefici del movimento pacifista chiamato scoutismo, nato dalla mente di Baden-Powell all’indomani della seconda guerra anglo-boera (1899-1902), esso si concretizzò nel modello educativo paramilitare che conosciamo a tutt’ora volto a rinsaldare nelle giovani generazioni la fiducia in sé stessi assieme allo spirito di abnegazione e solidarietà nei confronti del prossimo. Consideriamo a questo punto anche i saperi antropologici e psicologici che generano la guerra. Dal punto di vista del sapere antropologico espresso dal filosofo Herbert Spencer, le rivalità fra gruppi di piccole entità nate ai primordi dell’umanità portarono al costante accrescimento dei gruppi più forti su quelli deboli, e gli istinti primordiali guidati dalla necessità di difendere e consolidare i propri territori decrebbero in rapporto al formarsi di ampie società d’individui aventi comuni interessi. Fu così che col tempo si consolidarono ed andarono a formare la classi politiche che governano una nazione. Pure i valori morali erano cambiati all’epoca dell’autore: se nei tempi antichi contava combattere per razziare e conquistare nuovi territori, dimostrando la superiorità fisica, alle soglie del XX secolo si stavano delineando nuovi ideali morali, industriali e commerciali di intenzione contraria a muovere guerra; piuttosto furono dediti al cosmopolitismo e ad estendere una moralità in direzione del pacifismo. L’obiettivo fu quello di eliminare ogni sentimento di ostilità e fare spazio all’ingegno meccanico ed uso preminente della ragione sugli istinti primordiali. Il libero commercio e l’ideale di fratellanza avrebbero permesso un periodo di prosperità e facilitato la convivenza fra individui, accettando le diversità culturali e biologiche fra umani, ridistribuendo le risorse fra i cittadini ed estirpando la piaga della povertà. Questa era la soluzione auspicata dai paesi industrializzati dei primi del XX secolo, che però farà fatica ad attualizzarsi siccome da movimenti unificanti nacquero altre ideologie conflittuali di fine Ottocento: una di queste concerne la nascita di nuovi patriottismi e nazionalismi (ad es. la Guerra di Secessione americana). Inoltre, Il cittadino moderno che James vedeva era agli albori del consumismo e la nevrosi, dettata da uno stile di vita frenetico grazie ai mezzi di trasporto a vapore e elettrici più veloci del passato, a cui si accompagnavano interessi mondani del cinema, del teatro, e del gioco in borsa, non facevano altro che far ricadere gli individui nei vizi (specialmente alcool e tabacco); mentre l’aumento del costo della vita riduceva alla fame la popolazione, andando così ad ingrossare le fila degli emarginati e dei criminali. La situazione che abbiamo appena descritto fu data per James dall’abuso d’uso del cervello sulle azioni emotive: il progressivo allenamento dell’encefalo divenne predominante sullo sviluppo delle azioni corporee, sicché l’aspetto sentimentale sarà controllato dalla razionalità mossa a sua volta da una crescente forza di volontà tendente al progresso. Tuttavia, il trascurare degli istinti ed una vita accelerata nei ritmi lavorativi e sociali spingeva i cittadini dei primi del Novecento a soffrire dei primi sintomi di stress. Proprio l’eccesso di nervosismo farà nascere la materia della psicologia in quegli anni ad opera di Freud: esso nella sua indagine sull’origine della guerra approdò ad analizzare gli istinti, vedendo come la società stava muovendosi in direzione della loro repressione, catalogando gli istinti in buoni e cattivi. Questa distinzione sarebbe per Freud sbagliata, poiché gli istinti esprimono il nostro bisogno intimo di soddisfare talune richieste naturali intraviste dalla società come accettabili solo a patto che siano limitate. Pertanto, non si devono reprimere le pulsazioni egoistiche primordiali come l’erotismo, piuttosto educare un individuo a controllare i propri istinti e far prevalere il sentimento altruistico su quello egoistico, cosicché non si inneschino conflitti fra soggetti che minino la moralità collettiva ed accendano le pulsazioni ataviche nella maggioranza. Da questo punto di vista sia l’Europa che l’America diedero risposte differenti alle tensioni accumulate: gli USA al contrario degli europei non si lasciarono domare da istinti bellicosi, siccome riuscirono all’epoca ad alleviare la tensione grazie agli svaghi sportivi, al ballo, al cinema, al teatro e all’automobile. Di particolare rilievo fu soprattutto la danza, antica tanto quanto la guerra, avendo un gran risalto in America siccome permetteva di coinvolgere l’interno corpo e lo sforzo fisico prodotto era sufficiente a scaricare la tensione accumulata. L’equivalente alla danza ed altrettanto efficace risultava l’attività sportiva: infatti con le pratiche motorie noi utilizziamo come nel ballo tutte le parti del corpo, dalla corsa all’arrampicata, fino alla caccia praticata per passione e facente capo all’espressione primordiale dell’istinto di sopravvivenza. La pratica sportiva mette in gioco le nostre conoscenze pregresse strategiche e tattiche ereditate dagli antenati, affinando le abilità manuali ed interagendo colla natura nei vari contesti più o meno selvatici. Altri elementi moderni inerenti le attività ludiche agli inizi del XX secolo furono l’alcoolismo ed il tabagismo: seppure siano ancora oggi tra i vizi maggiori percepiti dalla comunità, agli inizi del XX secolo furono considerati la via preferibile come valvola di sfogo alternativa al movimento fisico ed alla vita frenetica di nuovo ordine post rivoluzioni industriali, diventando ossessioni patologiche, ma percepite ugualmente utili a rilassarsi senza fare fatica inibendo temporaneamente le attività cerebrali e reprimendo così i sentimenti di tensione vissuti quotidianamente. Oggigiorno, Il pensiero di Wiliam James lo troviamo ancora oggi applicato ai settori artistici e sportivi, oltre che alla sfera ludica dei giochi telematici, da tavolo e all’aperto. Ciononostante, abbiamo un settore importante che riguarda la catarsi spirituale in cui ci rifugiamo ancora oggi ed è la religione. Infatti, noi preghiamo e vogliamo una divinità buona e pacifica, esecrando un culto dedito alla guerra che ci muova a battaglie inutili e non sentite dalla collettività. Piuttosto preferiamo trovare la pace in noi stessi e come ritroviamo nella mentalità di James, il culto dell’ascetismo ci aiuta a purificarci interiormente fino a raggiungere la pace assoluta chiamata Nirvana se seguiamo i precetti dell’Induismo e del Buddhismo. Queste religioni sono importanti perché permettono di controllare gli istinti primordiali attraverso la pratica del rafforzamento dell’Io: come sosteneva Gandhi nei primi decenni del Novecento nella sua teoria della Satyagraha (forza dell’amore o dell’anima), i sentimenti negativi vanno contrastati coltivando la pazienza e la comprensione, infliggendo le sofferenze a sé stessi piuttosto che esternarle con atti violenti e lesivi verso il prossimo. L’atto dell’Ahimsa (il non uccidere) deve essere infranto solo in casi eccezionali: se siamo costretti a difendere noi stessi e se dobbiamo difendere le persone a noi care. Altrimenti dobbiamo perseverare negli atti di bontà verso il prossimo e noi stessi seguendo i precetti del percorso ascetico.
BIBLIOGRAFIA
· William James, L’ equivalente morale della Guerra e altri scritti, Pisa, Edizioni ETS, 2015. 
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