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Par Lagerkvist IL NANO Introduzione di Fulvio Ferrari IPERBOREA 2 Titolo originale Dvärgen (Albert Bonniers Förlag, Stoccolma, 1944) Traduzione dallo svedese di Clemente Giannini a cura di Fulvio Ferrari la Edizione, dicembre 1991 2a Edizione, maggio 1997 © 1989, The Estate of Par Lagerkvist © 1991, IPERBOREA s.r.l. via Palestra 22 -20121 Milano Tel. 02-781458 - Fax 02-798919 ISBN n. 88-7091-024-5 In copertina: Velàzquez: Filippo IV cacciatore, 1632 (particolare) 3 INTRODUZIONE Ci sono scrittori il cui nome si imprime nella memoria del pubblico associato a una definizione lapidaria, a una formula che ne riassume l'opera e ne sottolinea la peculiarità. In questo non c'è niente di male, anzi, significa che, evidentemente, il pensiero dell'autore ha colto un problema sentito più o meno oscuramente da tutta un'epoca e ha saputo trasporlo in letteratura, in simboli efficaci che grazie a lui entrano a far parte del patrimonio comune dell'umanità. Nel caso di Pär Lagerkvist la formula che, agli occhi del pubblico internazionale, sintetizza la sua ampia produzione artistica è quella dell'ateismo religioso. Ed è una formula legittima: il contributo più prezioso che lo scrittore svedese ha dato alla letteratura universale è certo quello di un tormentato riflettere sul bisogno di dio in un tempo in cui ogni dogmatica certezza è venuta a mancare, in cui, per lo meno, il concetto stesso di dio va ridefinito nel confronto con le immagini del reale proposte dalla scienza e dalle diverse religioni, dalle diverse cristallizzazioni del sentimento religioso nel corso della storia. Questa riflessione, presente nell'opera di Lagerkvist fin dall'inizio, fin dai tentativi poetici pubblicati sulla stampa della gioventù socialista, raggiunge una prima compiuta espressione artistica nel romanzo Il sorriso eterno del 1920, e troverà dopo la Seconda guerra mondiale il tono e lo stile più appropriati. Nasceranno allora i capolavori che hanno reso il suo nome 4 celebre a livello internazionale: Barabba (1950), La sibilla (1956), La morte di Ahasvero (1960), Pellegrino sul mare (1962), La terra santa (1964), Mariamne (1967). La centralità del tema religioso non deve però far dimenticare gli altri, molteplici aspetti dello scrittore Lagerkvist. A partire dal suo impegno giovanile per un rinnovamento del linguaggio letterario svedese, per una profonda innovazione formale che portasse poesia e prosa, l'arte della parola, al livello espressivo raggiunto dai movimenti d'avanguardia già affermatisi nell'ambito dell'arte figurativa, il cubismo in primo luogo. Né può essere ignorato il suo interesse per l'attualità politica, il suo generoso schierarsi a difesa della giustizia e degli oppressi, dall'iniziale milizia in campo socialista fino al romanzo antinazista Il boia, del 1933, e alla satira di A quel tempo, del 1935. In questo panorama ampio e vario - al cui centro, ineludibile, si spalanca il vortice della domanda più radicale, quella sul senso dell'esistere - Il nano occupa un posto tutto particolare. In questo libro e solo in questo, infatti, Lagerkvist non osserva il dolore e l'inquietudine dell'uomo né "orizzontalmente", da pari a pari, con la solidarietà del fratello e compagno di sorte, né "verticalmente", dal punto di vista dell'ostinato e vano tentativo di innalzarsi al divino. Il punto di osservazione è qui "dal basso", chi guarda e descrive non è umano, ma inumano e del tutto incapace anche solo di concepire il sovrumano. Capita a volte anche ai singoli libri quel che, abbiamo detto, accade agli scrittori: divenire cioè riassunti in una formula e di esserne poi accompagnati sempre, in storie letterarie e voci d'enciclopedia, in biografie e saggi. La formula in cui è stato 5 distillato Il nano, anzi, per essere esatti il suo protagonista, è quella di personificazione del male. E questa formula non è legittima. Se non altro perché male vuole dire troppe cose diverse, e una figura letteraria che volesse personificarle tutte sarebbe o terribilmente astratta o fantasticamente proteiforme. Il nano di Lagerkvist è invece una figura di grande coerenza e concretezza nella sua alterità ed enigmaticità. In cosa consiste, dunque, la specifica malvagità del nano protagonista e voce narrante del romanzo? In primo luogo nella mostruosità del suo sguardo. Perché il nano compie sì, nel libro, alcune azioni decisive, ma soprattutto guarda, annota, descrive, e quella che nel suo diario prende forma e vita è una molteplicità di esseri umani in cui l'impronta del divino è assente, non vista. Ci troviamo così di fronte a una sorta di calco, a un'ombra grottesca dei "tipici" personaggi di Lagerkvist: tutto quello che in Lagerkvist rappresenta l'essenza stessa dell'umanità - la ricerca di un senso, l'esperienza dell'amore - risulta invisibile o incomprensibile agli occhi del nano, occhi che non "hanno alcun difetto" e tuttavia non riescono a vedere le stelle. Sarà il lettore a riempire gli spazi lasciati vuoti dal narratore, a indovinare e ricostruire come da un negativo i momenti di slancio, d'amore, di generosità. Proprio perché cieco di fronte al divino nell'uomo, lo sguardo mutilo del nano risulta tanto più acuto nell'individuarne gli aspetti disumani ed entusiasmarsene. Così, con pennellate tanto anomale, viene dipinta la figura di maestro Bernardo, il poliedrico genio rinascimentale che si perde in estatici sogni di dominio dell'uomo sulla natura (sogni, per il nano, farneticanti) ma anche, con assassina freddezza, utilizza il suo sapere per costruire terribili macchine belliche capaci di 6 squarciare, di massacrare, e con la sua impazienza di scienziato non vede l'ora di osservare all'opera le sue invenzioni, di verificarne l'efficacia (e questo il nano lo capisce benissimo e lo approva di tutto cuore). Ritratto inconsueto, sgradevole, cui il lettore reagisce infastidito - di gran lunga preferirebbe vedere distribuiti in modo ben diverso gli accenti della descrizione - e tuttavia ritratto vero, significativo, tanto più significativo, forse, in un momento in cui Il nano apparve nel 1944 - in tutto il mondo i risultati della ricerca scientifica scatenavano la loro tremenda forza di distruzione. Se dunque c'è un che di diabolico nel nano, questa sua diabolicità non consiste nel desiderio di intaccare e calpestare bellezza e innocenza, ma nel non vederle. Ed è in questo, nella sua assoluta estraneità all'amore che il nano si rivela essere la quintessenza di una particolare disumanità: egli è una creatura fantasticamente monolitica, tutta fatta di odio, disprezzo e schifo. Ci si può sorprendere nel notare quante volte ritornino nel romanzo parole ed espressioni connesse allo schifo, alla ripugnanza, alla nausea, ma è proprio in questo mostrarsi costantemente disgustato che il nano si rivela. L'uomo è per lui qualcosa di intrinsecamente stomachevole ogni volta che si rivela umano, in entrambi i sensi che diamo correntemente a questa parola: nella sua concreta corporeità o nella nobiltà del suo sentire. La lista delle cose che suscitano nel nano conati di vomito è lunga e illuminante: l'odore del cibo e i gesti del mangiare, il corpo umano sezionato dallo scienziato e il corpo umano denudato nell'amore, gli escrementi e gli sguardi degli innamorati, e, perfino, le dita dei bambini, sfacciato simbolo di inerme tenerezza. Non prova disgusto, invece, ma esaltazione nel contemplare una battaglia, nel 7 commettere un omicidio, nel partecipare a un tradimento, perché il suo unico sentimento, la sua unica passione, è il desiderio di potere. E la massima manifestazione del potere è la distruzione, la totale assoggettazione dell'altro nel momento in cui si uccide. Il nano, dunque, è sì la personificazione di un lato oscuro dell'uomo - ce lo dice lui stesso - ma questo male non è là dove in un primo momento crediamo di doverlo cercare. Non è egoistica perfidia, non è godimento nell'infliggere dolore, non è un sentimento basso come l'invidia o la gelosia o la sete divendetta. È invece una formidabile, appassionata identificazione con il potere e, di conseguenza, con l'ordine, con il dogma. Il nano, quest'essere malvagio, è in realtà un ferreo moralista e un patriota ardente. La sua identificazione con la norma morale è tale che non esita ad assumersi il ruolo di Cristo in terra e, in una grottesca parodia della figura di Gesù, a rifiutare il perdono alla padrona quasi impazzita sotto il peso dei rimorsi; e il suo odio per il nemico del paese e del principe è tanto profondo da non poter sopportare nemmeno l'idea di una riconciliazione. Il suo ideale è incarnato dal guerriero che con macchinale freddezza massacra chi gli si para dinanzi. Nell'estasi della macellazione, allora, il corpo umano non è nemmeno più disgustoso, percepibile è solo lo splendore del potere che si manifesta nella violenza. Non c'è da meravigliarsi che questo libro sia apparso nel '44, e che subito abbia conquistato un pubblico vastissimo. Il che non significa affatto che si tratti di un romanzo indissolubilmente legato al periodo in cui è stato scritto. Non solo perché non sono smessi, da allora, i deliri di potere e le esultanze davanti a corpi massacrati non visti e non amati nella loro concreta, umana corporeità. Ma anche perché - ce lo dice il 8 nano - in tutti, anche nelle persone più miti, si nasconde il demonio dallo sguardo mutilo, il giudice freddo e indifferente che rimane cieco davanti alla tenerezza e alla bellezza, pronto magari a disgustarsi davanti ad amori "non leciti" e a entusiasmarsi per una marcia militare. Fulvio Ferrari 9 IL NANO Sono alto ventisei pollici, ben fatto, il corpo proporzionato, forse la testa è un po' troppo grossa. I capelli non sono neri come quelli degli altri, ma rossicci, molto ispidi e folti, rigettati indietro dalle tempie e dalla fronte, ampia anche se non particolarmente alta. Il mio volto è imberbe, ma per il resto assolutamente identico a quello degli altri uomini. Le sopracciglia si congiungono. Ho una notevole forza fisica, specie se vengo provocato. Quando fu organizzato l'incontro tra me e Josafat, dopo venti minuti di combattimento lo misi con le spalle a terra e lo strangolai. Da allora sono l'unico nano a corte. La maggior parte dei nani sono buffoni. Devono dire facezie ed eseguire trucchi che inducano al riso i padroni e gli ospiti. Io non mi sono mai abbassato a cose del genere. Né nessuno me lo ha mai nemmeno proposto. Già il mio aspetto d'altra parte impedisce un tale impiego della mia persona. Il mio volto non s'addice a ridicoli scherzi. E io non rido mai. Non sono un buffone. Sono un nano, e nient'altro. Ho invece una lingua tagliente che può, forse, procurare un po' di divertimento a qualcuno tra le persone che mi circondano. Non è la stessa cosa che essere il loro buffone. Ho detto che il mio volto è identico a quello degli altri uomini. Ma non è del tutto esatto, in realtà è molto più avvizzito, completamente solcato da rughe. Io non lo considero un difetto. Sono fatto così e non posso farci niente se gli altri non sono come me. Mi rivela esattamente per quel che sono, senza 10 abbellimenti né trucchi. Forse non è intenzionale. Ma è così che mi piace apparire. Le rughe mi fanno sembrare molto vecchio. Non lo sono. Ma ho sentito dire che noi nani discendiamo da una razza più antica di quella che oggi popola il mondo, e che per questo siamo già vecchi quando nasciamo. Non so se sia vero, ma in tal caso saremmo noi le creature originarie. Non mi dispiace affatto appartenere a una razza diversa da quella attuale, e che sia evidente dal mio aspetto. Trovo infatti il volto degli altri assolutamente insignificante. I padroni sono ben disposti nei miei confronti, specialmente il principe, che è un potente e grande signore. Un uomo dai vasti progetti e capace anche di attuarli. Un uomo d'azione, benché al tempo stesso molto colto, una di quelle persone che trovano tempo per tutto, e a cui piace conversare sui più disparati soggetti fra cielo e terra. Le sue vere intenzioni le nasconde parlando d'altro. Può sembrare superfluo interessarsi tanto di tutto - sempre che egli se ne interessi davvero - ma forse deve essere così, forse deve farlo proprio perché è un principe. Dà l'impressione di comprendere e dominare qualsiasi argomento, o almeno di volerci riuscire. Nessuno potrebbe negare che sia una personalità che incute rispetto. Di tutti quelli che ho incontrato, è l'unico che io non disprezzi. È molto falso. 11 Conosco bene il mio signore. Non che con questo pretenda di conoscerlo perfettamente. Ha un carattere piuttosto complicato, non tanto facile da decifrare. Sarebbe comunque un errore affermare che nasconda in sé degli enigmi, non è affatto così, ma in un certo senso resta impenetrabile. Io stesso non arrivo a capirlo del tutto e, a dire il vero, ancor meno a spiegarmi perché lo segua con la devozione di un cane. D'altra parte neanche lui capisce me. Non provo affatto nei suoi riguardi la soggezione che provano gli altri. Mi piace però essere al servizio di un signore capace di incutere soggezione. Non voglio negare che sia un grand'uomo. Ma nessuno è grande di fronte al proprio nano. Lo seguo costantemente, come un'ombra. La principessa Teodora è estremamente dipendente da me. Porto il suo segreto nel mio cuore. Mai ne ho fatto parola. Nemmeno se mi straziassero sul cavalletto, nella stanza della tortura con tutti i suoi orrori, rivelerei nulla. Perché? Non lo so. In realtà la odio, vorrei vederla morta, vorrei vederla bruciare nel fuoco dell'inferno, con le gambe divaricate e le fiamme che le leccano il ventre disgustoso. Odio i suoi costumi dissoluti, le sue lettere lascive che mi affida da portare ai suoi amanti, le sue parole d'amore che bruciano sopra il mio cuore. Ma non mi lascio sfuggire niente. E continuo a rischiare la vita per lei. Quando mi fa chiamare nei suoi appartamenti e sussurrando mi confida i suoi messaggi e mi nasconde sotto la giacca le sue lettere d'amore, mi sento tremare in tutto il corpo, e il sangue mi sale alla testa. Ma lei non s'accorge di niente, non la sfiora neppure un attimo il pensiero che è in gioco la mia vita. Non la 12 sua, la mia! Si limita a sorridere, con quel suo sorriso quasi impercettibile, un po' assente, e mi lascia avventurarmi per la mia pericolosa missione. Non apprezza il valore del mio contributo alla sua vita segreta. Ma ha fiducia in me. Odio tutti i suoi amanti. Avrei sempre desiderato gettarmi su ognuno di loro e trafiggerlo con il mio pugnale per vederne sgorgare il sangue. Soprattutto odio don Riccardo, che è il suo amante ormai da parecchi anni né ha l'aria di volersene più liberare. Verso di lui provo ripugnanza. A volte mi fa entrare in camera sua prima di essersi alzata, e si mostra in tutta la sua impudicizia. Non è più giovane, i suoi seni pendono mentre, distesa sul letto, gioca con i suoi gioielli, tirandoli fuori da un cofanetto che le porge l'ancella. Non capisco come qualcuno possa amarla. Non ha nulla che un uomo possa trovare desiderabile. Si può tutt'al più ancora vedere quanto tutto in lei fosse bello un tempo. Mi chiede quali gioielli, secondo me, debba mettere quel giorno. Le piace farmi questa domanda. Li fa scorrere tra le dita sottili e si stira indolentemente sotto la pesante coperta di seta. È una sgualdrina. Una sgualdrina nel grande e magnifico letto di un principe. La sua vita intera è amore. Lo fa scorrere tra le dita, e resta sdraiata con un sorriso trasognato a guardarlo mentre scivola via. In tali momenti diventa un po' triste, o finge di diventarlo. Con un languido gesto della mano si pone una collana d'oro intorno al collo, così che i grandi rubini brillino tra i seni ancora molto belli e mi chiede se le consiglio di mettere quella collana. Attorno al letto si sente il suo odore, che mi fa venire la nausea. La odio, vorrei vederla bruciare nel fuoco dell'inferno. Ma le rispondo che, secondo me, è proprio quella la collana giusta e lei 13 mi rivolge uno sguardo riconoscente,come se avessi preso parte alla sua pena e le avessi dato una malinconica consolazione. A volte mi chiama il suo unico amico. Un giorno mi ha chiesto se l'amavo. Che cosa sospetta il principe? Non sospetta nulla? O forse tutto? Sembra che la questione della vita segreta della principessa sia per lui inesistente. Ma non si sa, non si è mai certi di nulla, con lui. Condivide con lei la vita del giorno - lui stesso, d'altra parte, pare non averne altra - tanto tutto in lui sembra compenetrato di luce solare. È strano che un uomo simile mi riesca incomprensibile. Proprio lui. Ma forse è perché sono il suo nano. E poi, come ho già detto, neppure lui capisce me! Mi è più facile capire la principessa che lui. Il che non è poi tanto strano, perché lei la odio. È difficile capire un uomo che non si odia, si è disarmati, non si hanno strumenti per penetrare nel suo intimo. Quali sono i suoi rapporti con la principessa? È anche lui uno dei suoi amanti? Forse il suo unico vero amante? Ed è per questo che appare così indifferente a quel che lei fa per il resto? Io m'indigno - e lui no? Non arrivo proprio a capirlo, quest'uomo impassibile. La sua superiorità non smette di irritarmi, suscita in me un disagio di cui non riesco a liberarmi. Io voglio che sia come me. La corte brulica di strani personaggi. Saggi che se ne stanno seduti con il capo fra le mani a cercare il senso della vita, dotti che si credono capaci di seguire il corso delle stelle con i loro vecchi occhi lacrimosi, sì, di vedervi addirittura rispecchiato il destino degli uomini. Pendagli da forca e avventurieri che 14 leggono le loro struggenti poesie alle dame di corte e poi, al levar del sole, li si trova sdraiati a vomitare nei rigagnoli. Tempo fa uno rimase lì lungo e disteso, accoltellato, e un altro, ricordo, si prese delle nerbate per aver scritto versi oltraggiosi sul cavalier Moroscelli. Artisti che conducono una vita dissoluta e riempiono le chiese di pie immagini di santi, scultori e disegnatori che devono innalzare il nuovo campanile del duomo, sognatori e ciarlatani di tutte le specie. Vanno e vengono da vagabondi quali sono, alcuni però si fermano come se facessero parte della corte. Tutti abusano dell'ospitalità del principe. È incomprensibile perché gli piaccia avere qui tanti intrusi. E ancora più incomprensibile che riesca a star lì ad ascoltarli, loro e le loro stupide chiacchiere. Posso anche capire che resti per un po' a sentire i poeti che recitano i loro versi: si possono considerare come buffoni, gente che ha sempre bazzicato per le corti. Celebrano la purezza e la nobiltà dell'anima umana, le grandi azioni e le imprese eroiche, e su questo niente da dire, specialmente se nei loro canti adulano il principe stesso. L'uomo ha bisogno di essere adulato, altrimenti non diverrà mai ciò che è destinato a diventare, neppure ai propri occhi. E sia nel presente che nel passato troviamo molte cose nobili e belle che non sarebbero mai state né nobili né belle se i poeti non le avessero cantate. Soprattutto celebrano l'amore, ed è anche giusto, perché nulla come l'amore ha tanto bisogno di essere trasformato in ciò che non è. Le dame diventano malinconiche e il loro petto si solleva per i sospiri, lo sguardo degli uomini si fa assente, sognante, perché tutti loro sanno perfettamente com'è davvero l'amore, e si rendono quindi conto che quella dev'essere una poesia straordinariamente bella. Capisco anche che ci debbano essere artisti che fabbrichino immagini di santi per il popolo, così 15 che abbiano da venerare qualcuno di un po' meno sudicio e povero di loro: belle, celestiali immagini di esseri umani torturati che dopo il supplizio ebbero la ricompensa, vesti preziose e un cerchio d'oro intorno al capo, proprio come anche loro, quando avranno finito di sopportare la loro vita miserabile, avranno la loro ricompensa. Immagini che mostrano alla plebaglia che il loro Dio è stato crocifisso, e che questo fu il risultato di aver cercato di fare qualcosa qui sulla terra. Così capiranno che quaggiù non c'è speranza. Questi ingenui artigiani sono necessari a un principe, non capisco però che cosa ci stiano a fare qui a palazzo. Aiutano gli uomini a vivere dando loro un tempio, una stanza della tortura splendidamente adorna dove possono andare quando vogliono a cercare la pace. E lì il loro Dio, instancabile, sta appeso alla sua croce. Questo lo so bene perché sono cristiano anch'io, battezzato nella loro stessa fede. E il battesimo è valido, anche se mi fu dato solo per scherzo alle nozze del duca Gonzaga con donna Elena, quando venni portato al fonte battesimale, nella cappella del castello, come loro primogenito che, con grande meraviglia di tutti, la sposa avrebbe messo al mondo proprio nel giorno del matrimonio. Più volte l'ho sentito raccontare come una cosa molto comica, e io stesso ricordo che lo fu, poiché avevo diciott'anni, quando il principe mi prestò per quella cerimonia. Ma ciò che non riesco a capire è come si possa starsene lì ad ascoltare coloro che parlano del significato dell'esistenza: i filosofi con i loro profondi pensieri sulla vita e la morte e sulle domande eterne; le sottili dissertazioni sulla virtù e l'onore e la cavalleria; e coloro che s'immaginano di sapere qualcosa sulle stelle e credono che esista un qualche rapporto tra esse e il destino degli uomini. Sono dei bestemmiatori, anche se che cosa bestemmino di preciso non lo so, non mi interessa. Sono dei 16 buffoni nemmeno sfiorati dal dubbio di esserlo, e nemmeno gli altri lo sospettano, nessuno ride di loro, né trae il minimo divertimento dalle loro invenzioni. Perché poi vengano chiamati qui a corte è impossibile capirlo. Ma il principe dà loro ascolto come se le loro parole avessero una grande importanza, e si accarezza la barba pensoso mentre mi ordina di riempire le loro tazze, che sono d'argento come la sua. L'unica volta che si ride un po' in loro compagnia è quando mi prendono sulle ginocchia perché possa versare il vino più facilmente. Chi sa qualche cosa delle stelle? Chi può decifrare il loro segreto? Loro ne sono capaci! Credono di poter parlare con l'universo, e sono pieni di gioia quando ricevono una risposta di banale buon senso. Spiegano le loro carte celesti e leggono il firmamento come un libro. Ma quel libro l'hanno scritto loro, e le stelle vagano per le loro vie misteriose senza avere la più pallida idea del suo contenuto. Anch'io leggo nel libro della notte. Ma non so interpretarlo. La mia saggezza sta nel vedere lo scritto ma anche che non può essere interpretato. Di notte stanno nella loro torre, nella torre a sinistra del castello, con i cannocchiali e i quadranti, e credono di comunicare con l'universo. E io sto nella torre opposta, nel vecchio appartamento dei nani dove vivo solo da quando ho strangolato Josafat, sotto il basso tetto che conviene alla nostra razza, e le finestre piccole come feritoie. Un tempo vi abitavano parecchi nani, racimolati da tutte le parti, da paesi lontani, perfino dal regno dei Mori, doni di principi e papi e cardinali, oppure merci di scambio, come si usa fare con noi. Noi nani non abbiamo patria né padre né madre, consentiamo di nascere da sconosciuti, da chiunque, di nascere in segreto dalla gente più 17 miserabile, purché la nostra razza non si estingua. E quando questi genitori sconosciuti si accorgono di avere messo al mondo una creatura della nostra razza, ci vendono a principi potenti che noi dobbiamo divertire con la nostra deformità, a cui faremo da buffoni. Anch'io venni venduto così da mia madre, che con raccapriccio si scostò da me quando vide quale creatura avesse partorito, senza capire che ero di una stirpe antichissima. Ebbe in cambio venti scudi, e con quelli si comprò tre braccia di stoffa e un cane da guardia per il suo gregge. Sto seduto alla finestra dei nani e contemplo la notte, indagando in essa come fanno loro. Non ho bisogno di cannocchiali, né di telescopi, il mio sguardo è già abbastanza profondo. Anch'io leggo nel libro della notte. C'èuna spiegazione all'interesse che il principe mostra verso tutti questi dotti, artisti, filosofi e contemplatori di stelle, e anche molto semplice. Vuole dare alla sua corte fama e celebrità, e vuole procurare a se stesso quanto più onore e gloria possibile. Ciò che vuole ottenere chiunque può comprenderlo e, a quanto mi consta, è ciò che tutti gli esseri umani si sforzano di ottenere, nei limiti delle loro possibilità. Lo capisco benissimo e lo approvo. Il condottiero Boccarossa è arrivato in città e si è installato con un gran seguito a palazzo Geraldi, disabitato da quando la famiglia è stata esiliata. Ha fatto al principe una visita che è durata parecchie ore. Nessuno ha potuto assistere. È un grande condottiero molto noto. 18 I lavori al campanile sono incominciati e siamo andati a vedere a che punto erano. Si innalzerà molto al di sopra della cupola del duomo e le campane, il giorno che suoneranno, sembreranno suonare in cielo. È una bella idea, come dovrebbero essere tutte le idee. Saranno le campane più alte d'Italia. Il principe si occupa molto di questa costruzione, e lo si può capire. Ha studiato ancora una volta i disegni sul posto ed è rimasto entusiasta dei bassorilievi, raffiguranti scene della vita del Crocifisso, con cui stanno adornando la base del campanile. Ma non sono molto avanti. Forse non sarà mai finito. Molte delle costruzioni progettate dal mio signore non vengono portate a termine. Si ergono incompiute, lasciate a metà, belle, come rovine di un grande sogno. Ma anche le rovine sono monumenti in memoria di chi le ha costruite, e io non ho mai negato che egli sia un grande principe. Quando cammina per strada non mi dispiace essere al suo fianco. Tutti levano gli occhi su di lui, me non mi vedono neanche. È logico. Lo salutano con reverenza come se fosse un essere superiore, ma è solo perché sono gentaglia vile e adulatrice, non perché lo amino o lo rispettino, come crede lui. Se vado in giro da solo per la città, mi vedono subito e mi gridano ingiurie. Ecco là il suo nano! Se dai un calcio a lui, dai un calcio al suo padrone! Non osano farlo, ma mi gettano dietro topi morti e altre sudicerie prese dai mucchi di immondizie. Quando, esasperato, sfodero la spada, si mettono a sghignazzare. Ma che potente signore, abbiamo! gridano. Non ho modo di difendermi, perché non combattiamo con le stesse armi. Non mi resta che fuggire, con gli abiti tutti insudiciati. Un nano la sa sempre più lunga su tutto del suo padrone. 19 In realtà non mi spiace sopportare tutto questo per il mio principe. Vuol dire che sono parte di lui, e in certi casi rappresento la sua augusta persona. Anche quella gentaglia ignorante capisce che il nano di un signore è in realtà il signore stesso, come lo è il castello con le sue torri e i suoi merli, come lo è la corte in tutto il suo splendore e in tutta la sua magnificenza, e il carnefice che fa rotolare le teste là fuori sulla piazza, e il tesoriere con le sue incalcolabili ricchezze, e l'intendente del castello che distribuisce il pane ai poveri in tempi di carestia: tutto è Lui. Sentono quale potenza in realtà io rappresenti. E mi riempie sempre di soddisfazione constatare che sono odiato. Per quanto mi è possibile, mi vesto come il principe: stessi tessuti e stesso taglio. A questo scopo vengono utilizzati per me i ritagli che avanzano quando si fa un vestito per lui. Al fianco porto sempre una spada, come lui, anche se più corta. E il mio portamento è altrettanto maestoso, se ci si fa caso. In questo modo arrivo ad assomigliare abbastanza al principe, tranne che sono molto più piccolo. Se mi si guardasse attraverso i cristalli che quei buffoni della torre occidentale puntano verso le stelle, mi si potrebbe prendere per lui. C'è una grande differenza tra nani e bambini. Si crede che siano simili perché sono simili di statura, e che stiano bene insieme, ma non è affatto vero. Si fanno spesso giocare i nani con i bambini, per amore o per forza, senza pensare che un nano è il contrario di un bambino, perché è nato vecchio. I bambini dei nani, a quanto ne so, non giocano mai, perché dovrebbero giocare? Non offrirebbero altro che uno spettacolo innaturale, con quei loro visi rugosi, da vecchietti. È una vera e propria 20 tortura impiegare noi nani in tal modo. Ma gli uomini non sanno nulla di noi. I miei padroni non mi hanno mai costretto a giocare con Angelica. Ma è stata lei stessa a farlo. Non voglio dire che lo facesse per cattiveria, ma quando ripenso a quel tempo, soprattutto agli anni in cui era piccolissima, mi sembra di essere stato vittima di una raffinata perfidia. Quella bambina con i suoi grandi occhi azzurri e la boccuccia imbronciata, che alcuni trovavano tanto straordinaria, mi ha fatto soffrire quasi più di ogni altra persona a corte. Ogni mattina si poteva star sicuri di vederla arrivare col suo passo incerto - sapeva appena camminare quando prese quest'abitudine - nell'appartamento dei nani con il suo gattino sotto il braccio. Piccolino, vuoi giocare con noi? Rispondo: non posso proprio, ho cose più importanti a cui pensare, non posso passare la giornata a giocare. Cosa devi fare, allora? mi domanda impertinente. Non sono cose che si possano spiegare a una bambina, rispondo. Ma andrai fuori, comunque. Non starai mica a fare la nanna tutto il giorno! Io sono sveglia da tanto, tanto, tanto tempo. E così devo uscire con lei, non oso negarglielo per via dei padroni, anche se in cuor mio fremo di rabbia. Mi prende per la mano come se fossi un suo amichetto, deve sempre tenermi per mano, eppure niente mi fa tanto ribrezzo come le mani umidicce dei bambini. Serro il pugno per la collera, e lei allora mi prende il pugno e mi porta in giro dappertutto tra interminabili chiacchiere. Dalle sue bambole che bisogna nutrire e vestire, dai cagnolini che si trascinano mezzo ciechi nella cesta davanti alla cuccia, al roseto dove ci toccherà metterci a giocare con il micio. Prova un logorante interesse per ogni specie di animali, non per gli animali adulti, ma per i loro cuccioli, per tutto ciò che è piccolo. È capace di stare a giocare con il suo 21 gattino all'infinito, e ritiene che anch'io debba partecipare al gioco. Crede che sia anch'io un bambino, che provi una gioia infantile per qualsiasi cosa. Io! Io che non provo gioia per nulla! Può capitare, talvolta, che un pensiero ragionevole si desti nella sua testolina quando si accorge che sono stanco ed esasperato. Allora, stupita, alza gli occhi su di me, sul mio rugoso volto di vecchio: Come mai non ti diverti a giocare? E siccome non riceve risposta dalle mie labbra serrate né dai miei freddi occhi di nano, che hanno dentro un'esperienza millenaria, i suoi giovani occhi di bambina si velano di un'ombra, e per un po' rimane in silenzio. Che cos'è il gioco? Un insensato occuparsi di... niente, proprio niente. Uno strano modo di trattare per finta le cose. Non considerandole per quel che sono, non prendendole sul serio, ma solo facendo finta. Gli astrologi giocano con le stelle, il principe gioca con le sue costruzioni, le sue chiese, le scene della crocifissione e i campanili, Angelica gioca con le bambole: tutti giocano, tutti fanno finta di fare qualcosa. Solo io disprezzo la finzione. Solo io sono. Una volta m'introdussi piano piano in camera sua mentre dormiva con quel suo odioso gattino accanto a sé sul letto e con il mio pugnale tagliai la testa alla bestiola. Poi la gettai fuori, sul cumulo delle immondizie sotto la finestra del castello. Ero così furioso che quasi non sapevo quel che facevo. Intendo dire, lo sapevo benissimo, portavo a termine un piano che avevo a lungo covato durante quelle insopportabili ore di gioco nel roseto. Quando s'accorse che il gatto non c'era più se ne disperò, e poiché tutti dicevano che sicuramente era morto, si ammalò di una febbre sconosciuta che la tenne a letto per un pezzo. Così, grazie a Dio, per un bel po' fui risparmiato dal vederla. Quando 22 infine si alzò, naturalmente fui costretto a stare ad ascoltare tuttii suoi tristi racconti sul destino del suo diletto, sull'incomprensibile sorte che gli era capitata. Nessuno si preoccupò di come il gatto fosse sparito, tutta la corte rimase però in un certo senso spaventata da alcune inspiegabili gocce di sangue sul collo della bambina, che si pensava potessero essere di cattivo augurio. Tutto ciò che può essere interpretato come una specie di presagio li interessa terribilmente. Insomma, non mi diede pace per tutta la sua infanzia, solo che con l'andar del tempo i giochi cambiavano. Mi era sempre intorno e mi voleva come confidente, sebbene io non ci tenessi affatto ad esserlo. Mi chiedo a volte se la sua importuna predilezione per me non avesse la stessa origine della sua attrazione per gattini, cagnolini, anatroccoli e animaletti del genere. Se non si trovasse a disagio nel mondo dei grandi. Forse ne aveva paura, era stata spaventata in qualche modo. Ma io cosa c'entravo! Se era sempre sola, mica era colpa mia. E invece era sempre a me che si attaccava, anche quando diventò grande e smise di essere una bambinetta. Sua madre non si occupava più di lei, se n'era occupata soltanto finché aveva l'aspetto di una bambola - anche lei faceva finta, tutti fanno finta - e suo padre, naturalmente, aveva da pensare alle sue cose. E forse aveva anche un'altra ragione per non interessarsi tanto a lei, ma è una questione su cui preferisco non pronunciarmi. Fu solo verso i dieci-dodici anni che si fece taciturna e riservata, e così finalmente potei sottrarmi a lei. Da allora, grazie a Dio, mi ha lasciato in pace e se ne sta per conto suo. Ma mi capita ancora di ribollire di rabbia, quando ripenso a tutto ciò che ho dovuto sopportare per causa sua. 23 Adesso comincia ad essere adulta, ha compiuto quindici anni e presto verrà considerata una dama. Ma è ancora molto puerile e non si comporta affatto come una dama d'alto rango. Chi sia suo padre, del resto, non lo si può sapere. Può essere figlia del principe, ma è altrettanto possibile che sia una bastarda, e allora non è proprio il caso di trattarla come una principessa. Alcuni dicono che sia bella. Io non riesco a trovare niente di bello in quel viso infantile con la bocca socchiusa e i grandi occhi che sembrano non capire nulla. L'amore è una cosa che muore. E quando muore va in putrefazione e può diventare terreno adatto per un nuovo amore. L'amore morto vive allora la sua vita segreta in quello nuovo, e così in realtà l'amore non muore. Questa, a quanto capisco, è l'esperienza che ha fatto la principessa e sulla quale fonda la sua felicità. Perché non c'è dubbio che sia felice. E diffonde felicità intorno a sé, a modo suo. Per il momento don Riccardo è felice. Forse lo è anche il principe. Perché il sentimento che risvegliò in lei un tempo vive ancora. Egli fa finta che l'amore della principessa viva. Entrambi fanno finta che il loro amore viva. La principessa ebbe una volta un amante che fece torturare perché l'aveva tradita. Indusse il principe, che non sospettava nulla, a condannarlo per un delitto mai commesso. Io ero il solo a sapere come stessero davvero le cose. E dovetti assistere alla tortura per poterle poi riferire come l'amante l'avesse sopportata. Non la sopportò affatto da eroe ma, più o meno, come tutti. Forse è lui il padre della ragazza. Che ne so, io! 24 Ma potrebbe benissimo essere anche il principe. Per convincerlo, ad ogni modo, la principessa usò le più dolci maniere, e il loro amore in quel periodo visse una nuova primavera. Lo abbracciava ogni notte offrendogli il suo ventre tradito che aveva fame dell'amante perduto. Accarezzava il suo principe come s'accarezza un uomo che andrebbe torturato. E il principe rispondeva alle sue carezze come nelle loro prime, ardenti notti d'amore. L'amore morto viveva la sua vita misteriosa in quello nuovo. Il confessore della principessa viene ogni sabato mattina a un'ora fissa. Lei si è già alzata da un pezzo, si è vestita ed è rimasta alcune ore in preghiera davanti al crocifisso. È ben preparata alla confessione. Non ha niente da confessare. E non per ipocrisia o inganno, al contrario, lei parla con tutta sincerità, con il cuore colmo. Non ha la minima idea del peccato. Non le risulta di averne mai fatti. Tutt'al più, forse, è stata un po' dura con la sua cameriera che era stata maldestra mentre le acconciava i capelli. È una pagina bianca, su cui il confessore si china sorridendo come su una vergine intatta. I suoi occhi sono limpidi e fervidi dopo la preghiera, dopo che si è immersa nel mondo del crocifisso. Quel piccolo uomo torturato sulla sua croce giocattolo ha sofferto per lei, e ogni colpa è cancellata dalla sua anima, perfino il ricordo di essa. Si sente fortificata, come ringiovanita, ma al tempo stesso in uno stato d'animo di trasognata, contemplativa devozione che ben s'accompagna al suo volto serio, senza trucco, e al suo semplice vestito nero. Si siede e scrive una lettera al suo amante per dirgli 25 ciò che prova, una lettera calma, come scritta da una sorella, in cui non si fa cenno né all'amore né ai loro incontri. In quella condizione di spirito non tollera il minimo accenno a discorsi frivoli. Io devo andare con la lettera dall'amante. Non c'è alcun dubbio che sia ardentemente religiosa. Per lei la religione rappresenta qualcosa di essenziale, di assolutamente reale. Ne ha bisogno e ne fa uso. È parte del suo cuore, della sua anima. E il principe è anche lui religioso? È più difficile dirlo. Naturalmente, in un certo senso lo è, perché egli è tutto ciò che è possibile essere, comprende in sé tutto. Ma questo si può chiamarlo essere religiosi? È contento che esista qualcosa come la religione, gli piace sentirne parlare, ascoltare belle e acute discussioni sulle idee religiose. Come potrebbe qualcosa di umano rimanergli estraneo? Gli piacciono le pale d'altare e le madonne di maestri famosi, e i templi belli e sontuosi, soprattutto se li ha fatti costruire lui. Non so se questo sia religione. Può darsi benissimo. E naturalmente è anche religioso in quanto principe, in questa veste lo è almeno altrettanto della principessa. Comprende il bisogno religioso del popolo, che dev'essere soddisfatto, e la sua porta è sempre aperta per chi provvede a soddisfarlo. Prelati e religiosi d'ogni sorta vanno e vengono per casa come gente di famiglia. Ma è - come lei - religioso personalmente, nel suo intimo? Questa è tutt'altra questione, e non ho intenzione di pronunciarmi. Sul fatto che lei sia ardentemente religiosa invece, come ho già detto, non vi sono dubbi. È possibile che siano entrambi religiosi, ognuno a modo suo? 26 Che cos'è la religione? Ho riflettuto a lungo su questo, ma invano. Vi ho riflettuto soprattutto quella volta che mi costrinsero a officiare come vescovo, con tutti i paramenti, a una festa di carnevale alcuni anni fa, e dovetti distribuire il santo sacramento ai nani della corte di Mantova, che il loro principe aveva portato qui con sé per partecipare ai festeggiamenti. Fummo radunati presso un piccolo altare che avevano sistemato in una sala del castello, e attorno a noi erano seduti tutti gli ospiti sghignazzanti, cavalieri, nobili e giovani bellimbusti nei loro ridicoli costumi. Sollevai il crocifisso e tutti i nani si gettarono in ginocchio. Ecco il vostro salvatore, proclamai con voce potente e occhi fiammeggianti di passione. Ecco il salvatore di tutti i nani, egli stesso un nano, torturato sotto il grande principe Ponzio Pilato e appeso alla sua piccola croce giocattolo per la gioia e il sollievo di tutti gli uomini della terra. Presi il calice e lo sollevai davanti a loro: questo è il suo sangue di nano, che lava via tutti i grandi peccati e rende candide come neve tutte le anime sporche. Presi l'ostia e mostrai loro anche quella, e mangiai e bevvi davanti a loro sotto le due specie secondo la consuetudine, mentre spiegavo il significato del sacro mistero: Io mangio il suo corpo che era deforme come il vostro. È amaro come il fiele perché è pieno di odio. Possiate mangiarne tutti!Io bevo il suo sangue, che brucia come un fuoco che nessuno può spegnere. È come se bevessi il mio. Salvatore di tutti i nani, che il tuo fuoco consumi il mondo intero! 27 E gettai il vino sopra quelli che eran lì seduti e assistevano pallidi e con gli occhi sbarrati alla nostra sinistra eucaristia. Non sono un bestemmiatore. Furono loro a commettere sacrilegio, non io. Ma il principe mi fece mettere in catene per qualche giorno, perché l'intenzione era di trarre un po' di divertimento da quel piccolo scherzo, e io invece avevo rovinato tutto e gli ospiti erano rimasti molto turbati, quasi spaventati. Le catene erano tutte troppo grosse per me e dovettero fabbricarle apposta, al fabbro pareva che non ne valesse la pena per una punizione così breve, ma il principe rispose che forse era bene averle a disposizione per una prossima occasione. Mi liberò quasi subito, prima di quel che avesse stabilito, e ho l'impressione che mi abbia fatto punire più che altro per via degli ospiti, poiché mi fece rimettere in libertà non appena se ne furono andati. Ma nei primi tempi che seguirono mi guardava con una certa inquietudine ed evitava di rimanere solo con me, si sarebbe quasi detto che gli incutessi un po' di paura. I nani, naturalmente, non avevano capito niente. Correvano qua e là come galline spaventate, pigolando con la loro miserevole voce di castrati. Non so da che cosa derivi questa loro voce ridicola, la mia è profonda e cupa. Ma loro sono domati e castrati perfino nell'anima, e per lo più non sono che buffoni che attirano la vergogna sopra la propria razza con i loro scherzi grossolani che han per oggetto il loro proprio corpo. È una razza spregevole. Per questo, qui a corte, ho indotto il principe a venderli tutti, uno dopo l'altro, per poter fare a meno di vederli. E alla fine sono rimasto solo io. Sono contento che se ne siano andati, e che l'appartamento dei nani sia deserto e vuoto 28 quando me ne sto qui la notte immerso nelle mie meditazioni. Sono contento che non ci sia neanche Josafat, così non sono costretto a vedere il suo volto raggrinzito di vecchia e ad ascoltare la sua vocina pigolante. Sono contento di essere solo. È mio destino di odiare anche la mia gente. La mia stirpe mi è odiosa. Ma odio anche me stesso. Mangio la mia stessa carne intrisa di fiele. Bevo il mio stesso sangue avvelenato. Ogni giorno celebro la mia solitaria eucaristia, sinistro sommo sacerdote del mio popolo. La principessa si comportò in modo piuttosto singolare dopo quell'incidente che suscitò tanto scandalo. La stessa mattina che fui liberato mi fece chiamare, e quando entrai nella sua camera da letto mi guardò in silenzio, con uno sguardo assorto, indagatore. Mi ero aspettato dei rimproveri, e forse una nuova punizione, ma quando infine si mise a parlare confessò che la mia messa le aveva fatto un'impressione profonda, c'era in essa qualcosa di oscuro e. di terribile che suscitava delle consonanze nel suo intimo. Com'era possibile che fossi riuscito a penetrare nel suo intimo e a suscitarvi delle consonanze? Non ci capivo niente. Approfittai del fatto che, sdraiata sul letto, guardava con sguardo assente un punto alle mie spalle, per sogghignare. Mi chiese cosa, secondo me, si provasse a stare appesi a una croce. A essere fustigati, torturati e a morire. E disse che comprendeva che Cristo doveva odiarla. Che doveva essere pieno di odio mentre soffriva a causa sua. 29 Non mi curai di risponderle, e lei non continuò la conversazione, ma rimase distesa a guardare il cielo, fuori, con occhi trasognati. Poi fece un gesto leggero con la sua bella mano per dirmi che non c'era altro, chiamò la cameriera e la pregò di portarle la sua veste rosso scura perché voleva alzarsi. Ancora oggi non riesco a capire che cosa le fosse preso. Ho notato che a volte incuto timore. Ma è di se stessi che gli uomini hanno paura. Credono che sia io a spaventarli, e invece è il nano nascosto dentro di loro, quell'essere simile all'uomo, dal volto di scimmia, che leva la testa dal profondo della loro anima. Si spaventano perché non sanno di avere un altro essere dentro di sé. Hanno sempre paura quando qualcosa affiora alla superficie, qualcosa che sale dal loro intimo, dai bassifondi della loro anima, qualcosa che non riconoscono e non ha nulla a che fare con la loro vera vita. Quando nulla appare sulla superficie non hanno paura, non provano la minima inquietudine. Se ne vanno in giro a testa alta, impassibili, con i loro volti lisci senza espressione. Ma c'è sempre dentro di loro qualcos'altro, che fingono d'ignorare, e vivono senza saperlo molte vite diverse tutte insieme. Sono così stranamente segreti e incoerenti. E sono deformi senza che ne traspaia nulla. Io vivo sempre e soltanto la mia vita di nano. Non vado mai in giro a testa alta e con i tratti distesi. Sono sempre soltanto me stesso, sempre uguale, vivo un'unica vita. Non ho un altro essere dentro. 30 E riconosco tutto ciò che proviene da me, nulla affiora mai dal mio intimo e nulla vi rimane nascosto nell'ombra. Per questo non ho mai paura di quello che spaventa gli altri, di quel qualcosa di incoerente, sconosciuto e misterioso. Niente di ciò esiste per me. Non ho dentro nulla di altro. La paura? Che cos'è? È paura quella che provo quando, giacendo solo, la notte, nell'appartamento dei nani, vedo il fantasma di Josafat avvicinarsi al mio letto, e venire verso di me pallido come un cadavere, i segni azzurri intorno al collo e la bocca spalancata? Non provo né angoscia né rimorso, niente che mi turbi in modo particolare. Al vederlo penso soltanto che è morto, e che da allora sono solo. E io voglio essere solo, non voglio che ci sia nient'altro che me stesso. E vedo benissimo che è morto. Quello non è che il suo fantasma, e io sono completamente solo nel buio, come lo sono sempre stato da quando l'ho strangolato. Non c'è niente di spaventoso in questo. È arrivato a corte un uomo di alta statura che il principe tratta con il più singolare rispetto, quasi con venerazione. È stato invitato qui e il principe dice di averlo aspettato a lungo e di essere molto felice di avere finalmente l'onore di questa visita. In effetti lo tratta come un suo pari. Non tutti a corte trovano questo ridicolo, alcuni affermano che è davvero un grand'uomo, del rango di un principe. Però non si veste affatto come un principe, ma in modo piuttosto modesto. Che cosa realmente sia e cosa vi sia in lui di tanto straordinario, 31 non sono ancora riuscito a scoprirlo. Lo si capirà un po' alla volta. Si dice che si fermerà piuttosto a lungo. Non voglio negare che vi sia qualcosa in lui che ispira rispetto, si comporta con una dignità più naturale che nella maggior parte degli altri; la fronte è alta, di quelle che gli uomini usano chiamare meditative, e il volto, con la barba che va facendosi grigia, è nobile e veramente bello. Ha in sé qualcosa di distinto e armonico, e il suo aspetto è caratterizzato dalla calma e dal dominio di sé. Mi domando quale sia la sua deformità. L'ospite di riguardo prende i suoi pasti alla tavola del principe. Conversano tutto il tempo degli argomenti più diversi, e mentre io servo il mio signore, come egli vuole che io faccia sempre, posso constatare che è un uomo colto. Il suo sapere sembra abbracciare tutti i campi possibili e pare interessarsi a qualsiasi cosa. Cerca di spiegare tutto, ma, contrariamente agli altri, non è sempre sicuro che le sue spiegazioni siano giuste. Dopo aver fatto una lunga e minuziosa esposizione della sua opinione riguardo a un problema, può capitargli di rimanere in silenzio, assente, e di mormorare poi meditabondo: ma forse non è così. Non so cosa si debba pensare di questo. Si può considerarla una sorta di saggezza, ma potrebbe anche dipendere dal fatto che davvero egli non sa nulla con certezza, e che tutta la costruzione faticosamente elaborata dal suo pensiero è quindi priva di senso. L'esperienza che ho finora avuto dei pensieri degli uomini mi fa propendere per quest'ultimaspiegazione. Molti non capiscono che questo dovrebbe ispirare una certa modestia. Ma è possibile che lui lo capisca. 32 Il principe, comunque, non si pone tante questioni, e lo sta ad ascoltare come se si trovasse presso una limpida sorgente da cui scaturiscono sapere e saggezza. Pende dalle sue labbra come un umile discepolo da quelle del maestro, pur mantenendo al contempo, naturalmente, la dignità che conviene a un principe. A volte lo chiama gran maestro. Mi chiedo allora quale possa essere la ragione di tanta ossequiosa umiltà. Perché il mio signore non fa nulla senza una ragione. Il saggio finge molto spesso di non udire quell'appellativo deferente. Può anche darsi che davvero non sia pretenzioso. D'altra parte, talvolta si esprime invece con grande sicurezza, sostiene le sue opinioni con chiarezza e convinzione e ne espone le ragioni con un'intelligenza che appare acuta e penetrante. Non sempre quindi dubita. Parla con molta calma, con una voce bella e insolitamente chiara. Con me è gentile e pare che in qualche modo io lo interessi. Perché non lo so. A volte ho quasi l'impressione che richiami un po' il principe, anche se non so spiegare esattamente come. Però non è falso. Il singolare straniero ha cominciato a preparare un lavoro nel chiostro francescano di Santa Croce, una pittura su una delle pareti laterali del refettorio. Dunque non è altro che un fabbricante d'immagini di santi e roba simile, come tanti altri qui. In questo consisteva quindi tutta la sua eccellenza. Non voglio con ciò affermare che non possa essere anche qualcos'altro e qualcosa di più, e che lo si debba mettere sullo stesso piano dei suoi semplici confratelli. Ispira senz'altro maggior rispetto, bisogna ammetterlo, ed è comprensibile che il 33 principe lo ascolti con interesse particolare. Ma che lo ascolti sempre e comunque come un oracolo, e che ogni giorno lo faccia mangiare al suo tavolo è per me inspiegabile. Fa pur sempre un mestiere da artigiano, manuale, per quante cose possa abbracciare con la sua cultura e il suo pensiero... tante da non riuscire neanche ad afferrarle tutte! Come lavorino le sue mani non lo so, spero che sappiano il fatto loro, visto che il principe l'ha assunto, ma che il suo pensiero si ponga degli obiettivi che non è in grado di raggiungere, questo lo riconosce lui stesso. Dev'essere un sognatore. Con tutta la sua lucidità e la sua ricchezza d'idee deve trovarsi su un terreno malsicuro, e quel mondo che si dà l'aria di creare non è in realtà che una pura chimera. È piuttosto strano che non mi sia ancora fatto un'idea precisa sul suo conto. Da cosa può dipendere? Di solito ho subito un'opinione sicura sulle persone che mi trovo davanti. È probabile che la sua personalità, come la sua statura, sia superiore alla media. Ma non so perché lo creda, da cosa possa venirmi questa sensazione. Non so in che cosa effettivamente consista la sua superiorità né se davvero sia tanto superiore. Deve pur essere simile ad altri che ho incontrato. In ogni caso sono convinto che il principe abbia un'idea troppo alta del suo valore. Si chiama Bernardo, un nome assolutamente comune. La principessa non s'interessa a lui. È troppo vecchio. E le conversazioni tra uomini sembrano lasciarla totalmente indifferente. Quando assiste ai loro vasti scambi di idee se ne sta silenziosa e ha l'aria di essere lontanissima con i suoi pensieri. 34 Credo che non senta nemmeno quel che dice quell'uomo singolare. Lui, invece, sembra molto interessato a lei. La osserva di nascosto, quando nessuno se ne accorge, l'ho visto. Scruta il suo volto come se vi cercasse qualcosa, con uno sguardo assorto che si fa poi sempre più meditativo. Cosa vi può essere in lei che lo affascina tanto? Il suo volto è privo di qualsiasi interesse. È facile vedere che è una sgualdrina, anche se lo nasconde dietro una superficie di menzognera purezza. Non c'è bisogno di una lunga osservazione per capirlo. E cos'altro c'è da guardare, da cercare nel suo viso lascivo? Cosa vi può trovare di affascinante? Ma evidentemente tutto lo affascina. Può raccogliere un sasso da terra, l'ho visto io, ed esaminarlo con straordinario interesse, girarlo e rigirarlo e alla fine infilarselo in tasca come un oggetto prezioso. Sembra che letteralmente qualsiasi cosa sia in grado di affascinarlo. È un pazzo? Un pazzo invidiabile! Chi dà tanto valore a un sasso sarà sempre circondato da tesori dovunque vada. È incredibilmente curioso. Ficca il naso dappertutto, di tutto vuol essere informato, su tutto fa domande. Interroga gli operai sui loro attrezzi e sui loro metodi di lavoro, ne prende nota e li corregge. Torna a casa con dei fiori dalle sue passeggiate fuori città, si siede e li fa a pezzi per vedere come sono fatti dentro. Ed è capace di rimanere per ore ad osservare il volo degli uccelli, come se anche questa fosse una cosa straordinaria. Perfino le teste degli assassini e dei ladri si ferma a contemplare, lì impalate davanti alla porta del castello, tanto vecchie che nessuno ha più il 35 coraggio di guardarle, e medita come se si trattasse di strani enigmi, e le copia con una matita d'argento. E quando qualche giorno fa Francesco è stato impiccato fuori sulla piazza, lui era tra gli spettatori in primissima fila, con i bambini, per vedere bene. La notte sta a guardare le stelle. La sua curiosità si estende a tutto. Davvero ogni cosa è interessante? Non m'importa in che cosa ficca il naso. Ma se mi tocca un'altra volta gli infilo il pugnale in corpo! È poco ma sicuro, costi quel che costi. Stasera, mentre gli versavo il vino, mi ha preso la mano per osservarla. L'ho ritirata adirato. Ma il principe m'ha detto sorridendo di mostrargliela. L'ha esaminata con attenzione, l'ha studiata con insolente indiscrezione: le nocche, le pieghe sul polso, ha cercato addirittura di tirarmi su la manica per vedere il braccio. Io mi sono di nuovo tirato indietro, furibondo, con lo sdegno che mi ribolliva dentro. Sorridevano tutti e due mentre io stavo lì con gli occhi fiammeggianti. Se mi tocca un'altra volta farò scorrere il suo sangue! Non sopporto che qualcuno mi tocchi, non sopporto la minima offesa al mio corpo. Corre una strana voce: che egli abbia indotto il principe a cedergli il cadavere di Francesco per aprirlo e vedere com'è fatto un essere umano al suo interno. Non può essere vero. È troppo incredibile. Ed è impossibile che abbiano tirato giù il corpo: deve rimanere esposto quale ammonimento per il popolo e a onta e 36 vergogna del malfattore. Questa è la sentenza, e perché le taccole non dovrebbero beccare quel manigoldo come gli altri? Io lo conoscevo, purtroppo, e so fin troppo bene che meritava tutte le pene possibili: quante volte mi ha lanciato insulti per strada. Se lo tirano giù la sua pena non sarà uguale a quella degli altri impiccati. L'ho sentito dire per la prima volta stasera. È notte, ora, e non riesco a vedere se il cadavere è ancora appeso là fuori. Non posso credere che sia vero, che il principe abbia potuto permettere una cosa del genere. Eppure è vero! Quel miserabile non pende più dalla forca! E ho anche scoperto dove è andato a finire. Ho sorpreso il vecchio sapiente nel bel mezzo della sua infame azione! Avevo notato che si preparava qualcosa giù nelle cantine, c'era aperta una porta che di solito non lo è mai. Me n'ero già accorto ieri, ma non vi avevo prestato grande attenzione. Oggi sono tornato lì per esaminare più attentamente come stessero le cose, e ho trovato la porta ancora socchiusa. Sono entrato in un lungo, buio corridoio e sono arrivato a un'altra porta; non era chiusa nemmeno questa, l'ho varcata senza far rumore... e là dentro, in una grande stanza, alla luce che penetrava dal finestrino del muro meridionale, c'era il vecchio, chino sul cadavere sventrato di Francesco! In un primo momento non credevo ai miei occhi, ma il corpo era davvero là disteso, squarciato, si vedevano le viscere, il cuore e i polmoni, sembrava proprio un animale. Non ho mai visto niente di tantoripugnante, no, mai avrei potuto immaginare niente di così nauseante come l'interno di un essere umano. Ma lui era chinato su quel corpo e lo studiava con ansioso interesse, 37 con cautela tagliava con un coltellino piccolissimo la carne vicino al cuore. Era così preso da quel che stava facendo che non si accorse neppure che ero entrato nella stanza. Sembrava che per lui non esistesse altro che quella cosa disgustosa di cui si stava occupando. Alla fine però sollevò la testa e guardò in alto con gli occhi splendenti di gioia. Il suo volto era estatico come se avesse partecipato a un rito sacro. Potevo osservarlo quanto volevo, perché lui era alla luce mentre io ero immerso nell'ombra. E del resto era perduto nel suo entusiasmo, come un profeta che parla con Dio. Era davvero ripugnante. Lui pari a un principe! Un principe che si occupa degli enigmi nascosti nelle viscere di un malfattore. Che fruga nei cadaveri! Ieri sono rimasti alzati fin oltre la mezzanotte, a parlare e a parlare come non era mai accaduto. Erano addirittura in estasi tanto la conversazione li infervorava. Parlavano della natura, della sua infinita vastità e ricchezza. Un unico, grande organismo, un unico miracolo! Le vene che fanno circolare il sangue nel corpo come le vene delle sorgenti trasportano l'acqua sotto terra, i polmoni che respirano come respirano gli oceani con il loro flusso e riflusso, lo scheletro che sostiene il corpo come gli strati rocciosi sostengono il mondo, la cui carne è la terra. E il fuoco al suo interno, che è come il calore dell'anima e come quello proviene dal sole, il sacro sole adorato dagli antichi, da cui emanano tutte le anime, fonte e origine di ogni vita, che con la sua luce illumina tutti i corpi celesti dell'universo. Perché il nostro mondo non è che una tra le innumerevoli stelle dell'universo. 38 Erano come invasati. E io dovevo ascoltarli, qualsiasi cosa dicessero, senza poter ribattere nulla. Mi convinco sempre di più che è un pazzo, e che sta rendendo pazzo anche il principe. È incomprensibile come il principe si mostri debole e malleabile nelle sue mani. Come si può prestare seriamente fede a simili fantasie? Come si può credere a questo tutto organico, a questa divina armonia nel tutto, come egli anche la chiama? Come è possibile usare simili parole grandi, belle e prive di senso? Il miracolo della natura! Pensavo alle viscere di Francesco e mi veniva da vomitare. Che gioia, esclamavano i due entusiasti, penetrare nel meraviglioso regno della natura! Quale infinito campo offre alle indagini! E come diverrà ricco e potente l'uomo se imparerà a conoscere tutto questo, tutte le forze nascoste, e costringerle al suo servizio. Gli elementi si piegheranno domati al suo volere, il fuoco lo servirà umile, imprigionato nonostante tutta la sua furia selvaggia, la terra darà centinaia di frutti diversi, perché le leggi della vegetazione saranno state svelate, i fiumi saranno i suoi schiavi ubbidienti, incatenati, e gli oceani porteranno le sue navi intorno a tutto il vasto mondo, sospeso nello spazio come una stella meravigliosa. Sì, sottometterà perfino l'aria, perché un giorno imparerà a imitare il volo degli uccelli e, liberatosi della sua pesantezza, si librerà come loro, come le stelle, verso mete che nessun pensiero umano può ancora immaginare o intuire. Ah! Che grande e magnifica cosa è vivere! Che inconcepibile grandezza ha la vita umana! Non c'erano limiti alla loro esaltazione. Erano come bambini che sognassero giocattoli, tanti giocattoli da non sapere che farsene di tutti. Li osservavo con il mio sguardo di nano senza che il mio vecchio volto rugoso mutasse espressione. I nani non 39 sono come bambini. E non giocano mai. Mi alzavo sulla punta dei piedi per riempire i loro calici quando li avevano svuotati durante tutto il loro parlare. Cosa ne sanno loro della grandezza della vita? Come fanno a sapere che è grande? Non è che un modo di dire, una frase che suona bene in bocca. Si potrebbe con altrettante ragioni sostenere che è piccola. Insignificante, assolutamente priva di importanza, un insetto che si schiaccia con un'unghia. E se la si schiaccia con l'unghia non ha nemmeno da obiettare. Rassegnata alla sua rovina come a qualsiasi altra cosa. E perché non dovrebbe essere così? Perché dovrebbe starle tanto a cuore la sua esistenza? Perché dovrebbe desiderare esistere, perché, in generale, desiderare? Perché non dovrebbe esserle tutto assolutamente indifferente? Esplorare le viscere della natura! Che piacere ci può essere? Se davvero ne fossero capaci ne sarebbero atterriti, un tale spettacolo li riempirebbe di orrore. Credono che la natura esista per loro, perché credono che tutto esista per loro, per il loro benessere e la loro gioia, per far sì che le loro vite siano grandi, magnifiche da vivere. Cosa ne sanno? Come fanno a sapere che la natura si preoccupa di loro e dei loro desideri stravaganti, infantili? Credono di saper leggere il libro della natura, credono di averlo aperto davanti ai loro occhi. Pensano addirittura di poter vedere cosa c'è scritto nelle pagine successive, di poter leggere là dove non è ancora stato scritto nulla, dove ci sono solo pagine bianche. Pazzi sconsiderati e presuntuosi! Non c'è limite alla loro impudente arroganza! Chi può sapere cosa porta in grembo la natura, cosa nasconde dentro di sé come frutto dell'avvenire? Chi può indovinarlo? Sa forse una madre cosa porta nel ventre? Come potrebbe saperne 40 qualche cosa? Aspetta il suo tempo, allora si vedrà cosa metterà al mondo. Questo un nano potrebbe spiegarglielo. Lui modesto! Mi sono completamente sbagliato. È, al contrario, l'uomo più superbo che io abbia mai incontrato. Il suo essere stesso, il suo spirito è pura superbia. E il suo pensiero è tanto presuntuoso da voler dominare come un principe su un mondo che non gli appartiene affatto. Può apparire modesto perché si mette a indagare qualsiasi cosa e perché dice di non sapere questo e di non sapere quello, e che cerca solo di informarsi quanto meglio può. Ma è convinto di conoscere il tutto, lo scopo di ogni cosa e il suo senso! La sua umiltà riguarda le piccole cose, non le grandi. È una strana modestia. Tutto, a suo modo, ha un significato, tutto quello che accade e di cui gli uomini si occupano. Ma la vita stessa non ha significato alcuno, né può averlo. Dunque non dovrebbe essere possibile trovarlo. Questa è la mia fede. Che vergogna! Che disonore! Mai avevo subito un oltraggio come quello che m'è stato fatto in questo giorno tremendo. Cercherò di mettere per iscritto quel che mi è successo, sebbene preferirei cancellarlo dalla mia memoria. Avevo ricevuto dal principe l'ordine di andare da maestro Bernardo, che stava lavorando nel refettorio di Santa Croce, perché aveva bisogno di me. Andai, per quanto mi irritasse l'essere considerato un servo di quell'uomo superbo, con cui non 41 avevo nulla a che fare. Mi accolse con la massima cortesia e mi disse che i nani lo avevano sempre interessato molto. Cosa non interesserà quest'uomo, pensavo, che vuole sapere tutto delle viscere di Francesco e delle stelle nel cielo? Ma, pensavo anche tra me, di me, del nano, non sa nulla. Dopo qualche altra parola, altrettanto amabile e vuota, disse che voleva disegnarmi. Dapprima pensai che si trattasse di un ritratto, ordinatogli forse dal principe, e non potei fare a meno di sentirmi lusingato. Risposi tuttavia che non desideravo essere raffigurato in un'immagine. Perché no? domandò. Risposi, com'è naturale: voglio essere padrone del mio volto. Questa risposta gli parve singolare, ebbe un vago sorriso ma ammise poi che, innegabilmente, c'era una certa verità nelle mie parole. Il volto di una persona, tuttavia, anche se non veniva ritratto, apparteneva comunque a molti, in realtà a tutti quelli che lo guardano. E poi non si trattava che di un disegno per mostrare com'ero fatto; mi dovevo perciò togliere gli abiti in modo che lui potesse eseguire uno studio del mio corpo. Mi sentii impallidire. Per l'ira e perlo spavento, non so quale dei due avesse il sopravvento, ma entrambi m'invasero e tutto il mio essere cominciò a tremare. Notò la mia violenta reazione alla sua turpe proposta. E si mise a dire che non c'era da vergognarsi a essere un nano e a mostrarsi come tale. Di fronte alla natura egli provava sempre lo stesso profondo rispetto, anche quando creava qualcosa per uno strano capriccio, qualcosa fuori del consueto. Non può essere in alcun modo un disonore mostrarsi davanti a qualcun altro così come si è fatti, e nessuno possiede davvero se stesso. Io sì, gridai con rabbia selvaggia. Voi non possedete voi stesso, ma io sì, io sono il solo padrone di me stesso! 42 Prese la mia sfuriata con perfetta calma, anzi, la osservò con un incuriosito interesse che mi esasperò ancora di più. Poi disse che doveva cominciare, e si avvicinò. Non tollero ingiurie al mio corpo! urlai completamente fuori di me. Ma lui non se ne curò affatto, e quando capì che mai mi sarei spogliato spontaneamente si preparò a farlo lui. Mi riuscì di estrarre il pugnale dalla guaina ed egli parve molto sorpreso nel vederlo luccicare nella mia mano. Però me lo tolse e lo posò prudentemente a una certa distanza. Mi sembri un tipo pericoloso, disse guardandomi perplesso. Mi sentii ridere sprezzante a quelle parole. Poi, con la massima calma, cominciò a levarmi i vestiti, e denudò il mio corpo nel modo più vergognoso. Opposi una resistenza disperata, lottai con lui come chi lotta per la propria vita, ma fu tutto inutile perché era più forte di me. Quando ebbe terminato la sua turpe operazione mi sollevò sopra un piedestallo che si trovava in mezzo alla stanza. Rimasi lì inerme, denudato, senza poter fare assolutamente nulla sebbene schiumassi di rabbia. E a qualche passo da me, del tutto impassibile, lui mi studiava, osservava con freddezza, senza pietà, la mia ignominia. Ero completamente in balìa del suo sguardo impudico che mi esaminava, si impadroniva di me come se fossi una cosa sua. Essere esposto in tal modo agli sguardi di un altro essere umano era un'umiliazione così profonda che ancora adesso provo vergogna per essere riuscito a sopportarla. Ricordo ancora il rumore della sua matita d'argento che scorreva sulla carta, forse la stessa matita con cui aveva disegnato le teste rinsecchite davanti alla porta del castello, e tutti gli altri obbrobri. Il suo sguardo s'era trasformato, affilato come la punta di un coltello, mi pareva d'esserne trafitto. 43 Non ho mai odiato tanto gli uomini come durante quell'ora tremenda. Il mio odio divenne per me così spaventosamente concreto che quasi credetti di perdere i sensi, di tanto in tanto tutto si faceva nero davanti ai miei occhi. Esiste qualcosa di più ripugnante di questi esseri, una cosa più degna di essere odiata? Proprio di fronte a me, sulla parete, c'era il suo grande dipinto, quello di cui si dice che sarà un capolavoro. Non che ci avesse ancora lavorato molto, ma pareva raffigurare l'ultima cena, Cristo con i suoi discepoli al banchetto d'amore. Guardai furibondo quegli uomini seduti là con i loro volti puri, solenni, convinti di essere al di sopra di ogni cosa, raccolti intorno al loro signore celeste, quello con il capo circonfuso di luce soprannaturale. Pensai con gioia che presto sarebbe stato preso, che Giuda, rannicchiato laggiù nel suo angolino, l'avrebbe di lì a poco tradito. Adesso è ancora amato e onorato, pensai, ancora è seduto alla tavola d'amore... mentre io sono qui nella mia vergogna! Ma anche lui sarà coperto d'infamia! Tra poco non sarà più seduto con i suoi ma penderà solo da una croce, tradito da loro. E sarà appeso là nudo come lo sono io ora, ignominiosamente umiliato. Esposto agli sguardi di tutti, ingiuriato e schernito. E perché non dovrebbe? Perché non dovrebbe subire lo stesso affronto che soffro io? È sempre stato circondato d'amore, si è nutrito d'amore, mentre io sono stato nutrito d'odio. Dai miei primi istanti di vita ho succhiato l'odio, ne ho bevuto l'amaro succo, mi sono accostato a un seno materno pieno di fiele mentre egli poppava la dolce Madonna, piena di tenerezza, la più affettuosa e soave tra le donne, e bevve il più delizioso latte materno che mai essere vivente abbia bevuto. Se ne sta là seduto così candido, così buono, e crede che nessuno possa odiarlo o volergli fare del male. Perché no? Perché non a lui? 44 Pensa di dover essere amato da tutti sulla terra perché è stato generato dal suo padre celeste. Che ingenuità! Che puerile ignoranza degli uomini! È proprio per questo che portano nei loro cuori un tale rancore contro di lui: per via di quel miracolo. All'umanità non piace essere violentata da Dio. Lo stavo ancora guardando quando, finalmente, venni liberato dalla mia terribile mortificazione; mi fermai sulla porta di quella stanza infernale dove avevo sofferto la mia più profonda umiliazione. Presto sarai venduto per qualche scudo ai nobili magnanimi esseri umani, pensai, tu come me! E pieno di collera sbattei la porta su di lui e sul suo grande maestro Bernardo, che era sprofondato nella contemplazione della sua magnifica opera e già pareva aver dimenticato la mia persona, che per causa sua aveva sofferto tali tormenti. Preferisco non pensare più a quanto è accaduto a Santa Croce, vorrei cercare di dimenticarlo. Ma c'è una cosa che non riesco a togliermi dalla mente. Mentre mi rivestivo non potei fare a meno di vedere alcuni disegni sparpagliati qua e là e che raffiguravano le creature più strane, mostri che nessuno ha mai visto e che non esistono nemmeno. Erano qualcosa a metà tra l'uomo e l'animale: donne con ali di pipistrello tese tra dita lunghe e pelose; uomini con il volto di lucertola e la parte inferiore del corpo e le gambe di rospo; altri, con crudeli teste d'avvoltoio e artigli minacciosi al posto della mani, ruotavano in aria come diavoli; e creature che non erano né uomini né donne ma assomigliavano a mostri marini con sinuosi tentacoli e occhi freddi, malvagi, del tutto simili a quelli d'un essere umano. Rimasi esterrefatto dinanzi a quegli aborti paurosi, e ancora non 45 riesco a liberarmene, a non vedermeli davanti. Come può la sua fantasia occuparsi di cose simili? Perché evoca queste forme ripugnanti, spettrali? Perché se le immagina? Deve esserci un motivo che lo spinge a interessarsene, benché non si trovino in natura. Deve sentirne il bisogno anche se non esistono. O forse proprio per questo? Non capisco. Come può essere uno che crea cose del genere? Che s'inebria di questi orrori, ne prova tanto desiderio? Al vedere il suo volto altero, e bisogna dire che è pieno di dignità e distinzione, non si crederebbe mai che sia l'autore di quelle immagini raccapriccianti. E tuttavia è così. Questo dà molto da pensare. Deve avere questi esseri sinistri dentro di sé, come tutto ciò che crea. Non posso neanche fare a meno di pensare alla sua espressione mentre mi ritraeva, era diventato un altro uomo, con uno sguardo terribile e penetrante, freddo e innaturale; tutto il suo volto si era trasformato, diventando crudele, aveva un'aria addirittura diabolica. Dunque non è quel che vuol fare credere di essere. Nemmeno lui, come tutti gli altri. È quasi incredibile che lo stesso uomo abbia potuto dipingere quel Cristo, così puro e trasfigurato al suo desco d'amore. Stasera Angelica attraversava il salone. Quando passò davanti al principe, questi la invitò a sedersi un momento con il suo lavoro di ricamo che era appena andata a prendere. Obbedì malvolentieri, pur non osando mostrare apertamente il suo disappunto: evita sempre di unirsi agli altri e, del resto, non è fatta per la vita di corte né per apparire in pubblico come 46 principessa. Chissà poi se è figlia del principe? Potrebbe anche benissimo essere una bastarda. Ma messer Bernardo non ne sa nulla. La guardava mentre se ne stava lì seduta con gli occhi bassi e la bocca semiaperta in quel suo stupido modo, continuava a guardarla come se fosse una rarità: a lui tutto sembra straordinario. Un prodigio della natura, forse, comeme, o come uno di quei suoi sassi rari, tanto preziosi che li raccoglie da terra per ammirarli? Rimaneva in silenzio e pareva davvero commosso, benché lei non facesse che star lì seduta senza dire una parola, con l'aria completamente sperduta. Era quasi imbarazzante, dal momento che la conversazione si era interrotta. Non ho proprio idea di cosa lo commuovesse. Forse gli faceva pena perché non è bella: di bellezza se ne intende di certo, e sa cosa significhi. Forse per questo aveva nello sguardo un'espressione di malinconia e di tenerezza. Non lo so, e nemmeno m'interessa. La ragazza, naturalmente, non desiderava che andarsene il più presto possibile. Non rimase più dello strettamente necessario per poter domandare al principe il permesso di allontanarsi. E quando le fu accordato, si alzò in fretta, timida, con la sua solita spigolosa goffaggine. Si muove ancora come una bambina. È incredibile come sia assolutamente priva di leggiadria. Ovviamente era vestita con la consueta semplicità, quasi poveramente. Non si cura dei suoi vestiti, né a nessun altro importa. Il grande maestro Bernardo non deve godere di una grande tranquillità di spirito nel suo lavoro. Passa da una cosa all'altra, ne comincia una ma poi non la finisce. Da che cosa può 47 dipendere? Dovrebbe dedicarsi interamente a quella sua ultima cena, per terminarla una buona volta. Ma non lo fa. Deve essersene stancato. Ha cominciato invece un ritratto della principessa. Pare che lei non volesse essere ritratta. È stato il principe a volerlo. Io la capisco, senza difficoltà. Possiamo benissimo guardarci in uno specchio, ma quando ce ne allontaniamo non desideriamo che la nostra immagine rimanga lì, così che qualcun altro se ne possa impadronire. Capisco che lei, come me, non voglia essere raffigurata in un quadro. Nessuno possiede se stesso! Che pensiero ripugnante! Nessuno possiede se stesso! Tutto appartiene anche agli altri. Non si è padroni del proprio volto! Appartiene a chiunque lo guardi! E il proprio corpo! Altri possono essere padroni del nostro corpo! Mi ripugna pensarci. Io voglio essere l'unico padrone di tutto ciò che è mio. Nessuno può appropriarsene, né metterci le mani. Appartiene a me e a nessun altro. E voglio essere padrone di me stesso anche dopo la morte. Nessuno deve frugare tra le mie viscere. Non voglio che un estraneo le osservi, anche se difficilmente possono essere rivoltanti come quelle di quel farabutto di Francesco. Questo ficcare il naso dappertutto di messer Bernardo, questa sua curiosità per qualsiasi cosa mi è veramente odiosa. A cosa serve? Quale scopo ragionevole può avere? E l'idea che quest'uomo possiede un mio ritratto, che in un certo senso mi possieda mi infastidisce nella maniera più assoluta. È come se non fossi più il solo a possedere me stesso, come se mi trovassi anch'io presso di lui in Santa Croce, tra quei mostri orribili. Che si faccia fare il ritratto anche a lei! Perché non deve subire il mio stesso affronto? In realtà mi dà gioia pensare che 48 anche lei dovrà esporsi al suo sguardo impudico, che oltraggerà anche lei. Ma che interesse può avere, quella cortigiana? Io in lei non ho mai trovato interesse alcuno, e la conosco meglio di chiunque altro. Si vedrà cosa ne trarrà. Non mi riguarda. Non credo che sia un vero conoscitore degli uomini. Maestro Bernardo mi ha stupito sul serio. Mi ha stupito tanto che sono rimasto quasi tutta la notte sveglio a pensarci. Ieri sera, come al solito, erano seduti a parlare dei loro abituali, elevati argomenti. Lui però era malinconico, lo si vedeva. Teneva la mano sulla lunga barba, meditabondo, carico di pensieri che non dovevano procurargli alcuna gioia. Ma era pieno di fuoco, di vera e propria passione quando parlava, anche se non era un fuoco di quelli che si vedono, ma piuttosto coperto di cenere. Era irriconoscibile, si sarebbe potuto credere che fosse un altro che stavamo ascoltando. Il pensiero umano, diceva, è in fondo capace di tanto poco. Le sue ali sono forti, ma il destino che ce le ha date è più forte di noi. Non ci permette di sfuggirgli, né di spingerci più lontano di quanto ha stabilito. La nostra strada è determinata, dopo un breve volo in cerchio che ci riempie di speranza e di gioia siamo richiamati indietro come il falcone legato alla corda del falconiere. Quando arriveremo alla libertà? Quando verrà recisa la corda, e il falcone potrà innalzarsi verso lo spazio aperto? Quando? Accadrà mai? Non è invece il segreto del nostro destino essere legati alla mano del falconiere, e rimanerlo per sempre? Se dovesse verificarsi un cambiamento nella nostra 49 condizione noi non saremmo più uomini, e il nostro destino non sarebbe più destino umano. Eppure siamo fatti in modo da sentirci sempre attratti dallo spazio, e da credere di appartenergli. E lo spazio è sempre lì, sopra di noi, ci si apre davanti come qualcosa di assolutamente reale. È una realtà, come lo è la nostra prigionia. Perché esiste, questo spazio infinito che non possiamo mai raggiungere? si domandava. Qual è il senso di questa sconfinata vastità intorno a noi, intorno alla vita, se noi siamo tuttavia come prigionieri impotenti, se la vita rimane per questo sempre la stessa, confinata in se stessa? A cosa servono, allora, quelle grandi dimensioni? Perché il nostro piccolo destino dev'essere circondato da tali immensità? Ci rende più felici, questo? Non sembra. Sembra piuttosto che siamo diventati ancora più infelici, disse. Io lo osservavo con attenzione, l'espressione cupa del suo volto e la strana stanchezza del vecchio sguardo. Ci rende più felici, cercare la verità? proseguì. Non lo so. La cerco e basta. Tutta la mia vita non è stata altro che un'incessante ricerca della verità, a volte ho creduto di intuirla, mi è sembrato di scorgere qualcosa del suo limpido cielo... ma il cielo non si è mai realmente aperto dinanzi a me, mai i miei occhi si sono inebriati del suo spazio infinito, senza il quale niente quaggiù potrà mai essere veramente capito. Non ci è consentito. Per questo, in realtà, tutti i miei sforzi sono stati vani. Per questo tutto ciò cui ho posto mano è rimasto una mezza verità, un aborto. Con dolore penso alle mie opere e con dolore e tristezza devono contemplarle tutti: come un torso. Immaturo, incompiuto è tutto ciò che ho creato. Ogni cosa che lascio dietro di me è incompiuta. 50 Ma, c'è da stupirsene? In fondo è il destino dell'umanità. L'inevitabile destino di ogni sforzo umano, di ogni opera umana. Nient'altro che un tentativo, il tentativo di raggiungere qualcosa che mai potrà essere raggiunta, che non è fatta per poter essere raggiunta da noi. Tutta la cultura umana non è in realtà che un tentativo verso qualcosa d'irraggiungibile, qualcosa che supera di gran lunga la nostra capacità di realizzarla. E rimane lì amputata, tragica come un torso. Non è un torso lo stesso spirito umano? A cosa servono le ali, se non potremo mai sollevarci? Diventano un fardello invece di una liberazione. Ci appesantiscono. Ce le trasciniamo dietro. Alla fine ci riescono odiose. E proviamo sollievo quando il falconiere, stanco del suo gioco crudele, ci abbassa il cappuccio sul capo, così siamo dispensati dal dover vedere. Era lì seduto abbattuto e tetro, con un tratto d'amarezza intorno alla bocca, e gli occhi gli ardevano d'un fuoco pericoloso. Io ero estremamente stupito, davvero. Era quello lo stesso uomo che non molto tempo prima s'era esaltato per l'infinita grandezza dell'uomo, che ne aveva proclamato l'onnipotenza, annunciando che un giorno avrebbe dominato come un sovrano incontrastato nel suo immane regno? Che l'aveva quasi dipinto come pari agli dei? Io non lo capisco. Non lo capisco per niente. E il principe stava lì ad ascoltarlo, catturato dalle parole del suo grande maestro, benché tanto differenti da quelle precedentemente uscite dalla sua bocca. Era perfettamente d'accordo con lui. Senza dubbio un buon allievo, bisogna ammetterlo. 51 Come fanno a conciliarsi le due cose? Come possono riunire dentro di
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