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IDEE Semestrale di Filosofia e Scienze umane Terza serie / 3rd series I (2021), 1/2 admin ISSN 0394-3054 admin - estratto - IDEE Terza serie / 3rd series I (2021), 1/2 Direzione, redazione e amministrazione della rivista hanno sede presso il Monastero delle Benedettine Via delle Benedettine, 5 • 73100 Lecce - ITALIA Iscrizione Tribunale di Lecce: n. 666 del 14.10.2011 • Semestrale La rivista si avvale di una procedura di peer review a doppio cieco. This is a double-blind peer-reviewed journal. Corrispondenza concernente abbonamenti, fascicoli e/ o annate arretrate, ecc. va inviata a: libreriamonastero@gmail.com.it Correspondence concerning subscriptions, issues and/or back issues, etc. should be sent to: libreriamonastero@gmail.com Abbonamento alla Rivista Journal subscription Abbonamento annuale: € 30,00 International subscription: € 50,00 Gli articoli proposti per la pubblicazione, di non più di 20000 caratteri (spazi inclusi), insieme a un breve abstract in italiano e in inglese (massimo 500 caratteri spazi inclusi) e a 3 parole-chiave (anch’esse in italiano e in inglese), dovranno essere inviati all’indirizzo: info@benedettinelecce.it Papers submitted for publication, of no longer than 20000 characters (spaces included), accom- panied by an abstract in Italian and English of no longer than 500 characters (spaces included) and by three keywords (in Italian and English), should be sent to the following address: info@benedettinelecce.it In copertina: dipinto della Dott.ssa Rita Argentiero Stampato nel mese di dicembre 2021 da Editrice Salentina - Galatina (Le) Sommario Ennio De Bellis Il criterio di scientificità in una rivista filosofica pag. 11 Elena L. Lappa Aristotle’s Motion, Change and Contrariety as Key Factors for our Understanding of the Physical World » 23 Dimitra Balla, Zacharias Scouras Aristotle and Darwin on the Birds’ Beaks: Evolutionary Affinities » 37 Efthymios Pappas La materia prima in Aristotele nel XX e XXI secolo » 51 George P. Stremplis Why Environmental Bioethics Needs Aristotle? A Critical Approach » 59 Rita Argentiero Luca Pacioli: dalla certitudo mathematicarum alla matematizzazione dell’universo » 73 Giulia Miglietta Il principio analogico in Die Philosophie des Als Ob: analisi teorica della struttura e dell’applicazione delle finzioni nella praxis » 87 Giuseppe Pintus L’architettonica del siscorso di K.O. Apel. Studio sull’etica della comunicazione come modello per un’etica generale » 103 Fabio Ciracì Esiste una filosofia italiana? » 123 Giorgia Salatiello Natura umana e differenza sessuale » 139 8 Calogero Caltagirone La riscrittura della “grammatica” antropologica nel mutamento di paradigma attuale » 151 Federico Stella Dispotismo orientale e Islam. Riflessioni sulla storia di un concetto » 173 Pompeo Fabio Macini Soggetto e individuo. Costituzione del civis moderno tra lineamenti teorico-politici e prospettive antropologiche » 185 Fabrizio Valenza La necessità di una visione unificata dell’esperienza » 201 Voci filosofiche dal mondo Nota biografica di Lech Witkowski » 215 Lech Witkowski Le trasformazioni e le loro dominanti: tra dinamica e struttura della processualità » 219 Salvatore Colazzo In contrappunto. A proposito di un saggio di Lech Witkowski sull’agire educativo come agire trasformativo » 247 Mario Castellana Sulla costante presenza di Federigo Enriques nella strategia teorica di Lech Witkowski » 259 Riccardo Campa La pandemia e il ritorno del positivismo. Una riflessione attraverso le lenti della metapedagogia di Lech Witkowski » 281 Recensioni RITA ARGENTIERO, Aristotele 2016. Organon, coordinamento generale di Maurizio Migliori. Milano: Bompiani. » 295 CATERINA CALCAGNO, Alberto Maritati. 2021. La nave dei veleni. Il caso Cavtat. Bari: Laterza. » 301 PIETRO CONSOLE, Albert Lautman. 2017. La matematica come resistenza. Trad. it e introduzione a cura di Mario Castellana e postfazione di Fernando Zalamea. Roma: Castelvecchi. » 305 IRENE GIANNì, Mimmo Pesare. 2017. Il soggetto barrato - per una psicopedagogia di orientamento lacaniano. Milano: Mimesis/Bios. » 311 VALERIA GIANNONE, Jean-Luc Marion. 2020. D’ailleurs, la Révélation. Paris: Grassett. » 315 ANTONIO MUSARò, Mario Castellana. 2018. Cuori pensanti in filosofia della scienza. Hélène Metzger, Simone Weil, Suzanne Bachelard, Barbara McClintock. Roma: Castelvecchi. » 321 MARIANGELA ROSATO, Laura Bazzicalupo, ed. 2015. Crisi della democrazia. Milano: Mimesis. » 325 IDA RUSSO, Elena Pulcini. 2020. Tra cura e giustizia. Le passioni come risorsa sociale. Torino: Bollati Boringhieri. » 329 9 FABIO CIRACÌ* Esiste una filosofia italiana? Abstract Esiste una filosofia italiana? Cosa definisce la filosofia come italiana? L’obiettivo di questo articolo è indagare i criteri utilizzati nella tradizione filosofica - storia, linguaggio, caratteristiche essenziali, teorie - per una definizione euristica della categoria storiografica, evitando un approccio ideologico o essenzialista al problema. Is there an Italian philosophy? What defines philosophy as Italian? The aim of this article is to investigate the criteria used in the phi- losophical tradition - history, language, essential characteristics, theories - for a heuristic definition of the historiographic category, avoiding an ideological or essentialistic approach to the problem. Keywords Filosofia italiana, Storia, Identità Italian Philosophy, History, Identity Non è concepibile filosofia che non si fondi sulla storia della filosofia, né storia della filosofia che non poggi sulla filosofia, poiché la filosofia e la sua storia sono un tutt’uno come processo dello spirito; in cui sarà empiricamente possibile di- stinguere una trattazione storica da una trattazione –––––––––––––––––––––––– * Università del Salento sistematica della filosofia, e pensare che ciascuno dei termini presupponga l’altro, poiché specula- tivamente l’uno è proprio l’altro, quantunque in forma diversa, come diversi sono sempre i vari gradi del processo spirituale astrattamente con- siderati. (Gentile 1987, 3: 202)1 1. Uno dei problemi fondamentali relativi alla storia della fi- losofia italiana è se essa sia o meno un qualcosa di chiaramente riconoscibile, un’identità definibile a partire da coordinate storiche e geografiche o determinabile in relazione alla tradizione, o alla lingua d’uso, o piuttosto in base a caratteristiche peculiari che la definiscano in quanto tale, sia essa intesa come essenza naturale oppure come storia comune. Per poter parlare di filosofia italiana stricto sensu è necessarioin- nanzitutto che si possa parlare di Italia, non già semplicemente come idea (in realtà differente a seconda dei tempi e dei pensatori che ne preconizzano la nascita o si battono per la sua realizza- zione), ma come Stato nazionale, almeno a partire dal Regno d’Ita- lia, a partire cioè dal 17 marzo 1861, con la proclamazione dell’Unità all’indomani della seconda guerra di Indipendenza del nostro Risorgimento. A meno di non voler considerare come data spartiacque il 20 settembre del 1870, con la “breccia di Porta Pia” ovvero con la terza guerra di Indipendenza, ricomprendendo così anche quello che fino ad allora era stato confine secolare dello Stato Pontificio. Se si compie una scelta di questo tipo, anche ri- comprendendo tutto il pensiero risorgimentale che costituisce l’ali- mento costitutivo della istituzione del Regno di Italia, si rischia però di lasciar fuori tutte le personalità filosofiche che hanno pre- FABIO CIRACì124 –––––––––––––––––––––––– 1 Si veda in particolare il vol. III, cap. XIII, L’antinomia storica e la storia eterna, § 12 – Identità e circolo solido. ceduto il Risorgimento. Significa cioè non poter annoverare fra i filosofi italiani pensatori come, per esempio, Pitagora (nato nella greca Samo ma attivo a Metaponto con la sua scuola), Archita da Taranto, Marco Aurelio, Tito Lucrezio Caro, Marco Tullio Cice- rone. Se però un’operazione storica di questo tipo può essere giu- stificata, e forse risultare opportuna, alla luce della classica periodizzazione fra storia antica, medievale e moderna – fatta quindi eccezione per il mondo greco e romano, che hanno una loro unità culturale a loro volta scandita in epoche interne – e se te- niamo per ferma la fondazione del Regno di Italia, fra i pensatori italiani non dovremmo tuttavia annoverare Severino Boezio, Gre- gorio Magno, Anselmo d’Aosta, Gioacchino da Fiore, Pietro d’Abano, Tommaso d’Aquino, Marsilio da Padova, Marsilio Fi- cino, Nicolò Macchiavelli, Giovanni Pico della Mirandola, Pietro Pomponazzi, Giordano Bruno, Galileo Galilei, Bernardino Telesio, Tommaso Campanella, Giambattista Vico, Cesare Beccaria, Gae- tano Filangeri, Gian Antonio Genovesi, Domenico Romagnosi e molti altri. Rientrerebbero forse a malapena autori risorgimentali – come per esempio Vincenzo Gioberti morto nel 1852, quindi prima dell’Unità d’Italia – intesi padri morali del costituendo Regno d’Italia, ma si perderebbe certamente la migliore fioritura intellettuale occorsa nel Rinascimento, cifra culturale italiana nel mondo, e di seguito anche i grandi pensatori italiani del Seicento e del Settecento. In ogni caso, il riferimento alla formazione di uno Stato nazionale ci sposta inevitabilmente in epoca moderna e ogni tentativo di riconoscimento à rebours dell’Italia e della ita- lianità può essere tacciato di fallacia storica, perché fa retroagire una categoria del presente sul passato e, dal punto di vista filoso- fico, di approccio ideologico. 2. Posto però che si possa introdurre, come fanno Gentile e Garin, una discreta ma significativa linea di demarcazione fra mondo Esiste una filosofia italiana? 125 greco-romano e la corte di Federico II o l’Italia dei Comuni, e che quindi si possano considerare italiani ante litteram i pensatori a partire da Dante o Boezio, per ritrovare così le radici della filosofia italiana a partire dalla fine del Quattrocento e gli inizi del Cinque- cento, ciononostante la caratterizzazione di una filosofia italiana rimane comunque problematica, là dove la si debba intendere come appartenenza identitaria a un medesimo modo di sentire o perlomeno a una presunta radice culturale comune. Difatti, se si contano le differenti tradizioni filosofiche italiane, per esempio, fra Ottocento e Novecento, non mancheranno rappresentanti del pensiero spiritualista, illuminista e positivista, i quali si sono for- mati non esclusivamente e nemmeno perlopiù al pensiero di autori italiani. Come valutare altrimenti la formazione e la riflessione di un Romagnosi o di un Genovesi, senza lo studio degli illuministi francesi? Oppure come immaginare il pensiero di un Galluppi o un Cantoni senza l’influenza di Kant? Oppure, un Gioberti senza Aristotele o un Rosmini senza Platone o senza la lezione dei grandi spiritualisti francesi? Si può forse davvero immaginare una “pu- rezza italica” nel pensiero di Augusto Vera o dei fratelli Spaventa come frutto del tutto originale di un pensiero autonomo, o forse esso deriva dalla riflessione, pur sempre originale e indipendente, sulla filosofia hegeliana? Si può forse immaginare Piero Marti- netti, Carlo Michelstaedter o Giovanni Amendola senza l’apporto della metafisica della volontà di Schopenhauer? Oppure Giuseppe Rensi o Giorgio Colli senza Nietzsche? E ancora, il nostro Leo- pardi privato dei classici della letteratura greca e latina, o delle opere dei sensisti francesi o di Rousseau? Oppure Croce e Gentile senza Hegel e la tradizione storicistica tedesca? A ciò si dovrebbe aggiungere inoltre una considerazione breve quanto semplice: se l’italianità non può certo derivare semplice- mente dal perimetro geografico dello Stato nazionale – anche esso soggetto a confini alquanto variabili lungo il decorso storico – FABIO CIRACì126 tanto meno si può fare riferimento a un “popolo italico”, inteso come un’etnia dalla distinta discendenza o, peggio ancora, alla “razza italica”, come pure è stato tristemente affermato in anni bui e tempestosi dell’epoca contemporanea. Probabilmente, l’idea- mito di una stirpe italica, per così dire, pura, si scontra non sol- tanto con la composita e intricata storia della nostra nazione, ma è facilmente confutata dall’evidenza di una complessità culturale che testimonia invece l’incontro di tradizioni molto spesso di- verse, un crogiuolo di storie e memorie che hanno condiviso, non sempre senza conflitto, un percorso di formazione, sociale e poli- tico, comune. 3. Posto allora che i pensatori, nello specifico italiani, non si tro- vano separati dalla circolazione universale delle idee, non sono una particolare specie ittica d’acquario, separata in branchi chiusi (Ciracì 2016, 209), posto cioè che il pensiero non può essere col- tivato in vitro, ma esso è sempre frutto interno e determinato dalla storia degli effetti e della circolazione universale delle idee, per poter parlare di “filosofia italiana” sarebbe allora ancora necessa- rio identificare una cifra identitaria, ovvero una maniera o uno stile nel ragionare e nel filosofare che permetta di riconoscere chiara- mente una qualche caratteristica peculiare del pensiero italiano, al di là delle presunte o effettive influenze esterne. Ma questa carat- teristica dovrebbe unire pensatori tanto diversi quante sono le loro prospettive filosofiche nate in terra d’Italia, dovrebbe poter ricom- prendere sotto lo stesso cielo Giambattista Vico e i positivisti Ro- berto Ardigò e Pasquale Villari, gli spiritualisti Terenzio Mamiani e il tomista padre Giacchino Ventura assieme ad Antonio Gramsci e ad Adriano Tilgher, solo per fare qualche esempio. 4. Di recente, qualcuno ha riconosciuto «l’unico tratto caratteriz- zante, risalente alla lezione vichiana, ripresa e sviluppata soprat- Esiste una filosofia italiana? 127 tutto da Croce» come qualcosa di «costituito da uno storicismo di timbro conservatore, riconoscibile, nella sua versione sfibrata e indebolita, fin dentro l’ermeneutica post-heideggeriana di Vat- timo» (Esposito 2010, 4)2. E se tuttavia lo storicismo è una delle correnti certamente maggioritarie della filosofia italiana, esso non risulta del tutto adeguato a comprenderla nella sua interezza e to- talità. Difatti risulterebbe alquanto difficile far rientrare in questa categoria storiografica personalità filosofiche come Piero Marti- netti e Giuseppe Rensi o Carlo Michelstaedter, oppure Giorgio Colli, solo per esempio, il cui astoricismo è fondativo del proprio filosofare; oppure il nichilismo neo-parmenideo di Emanuele Se- verino; o pensatori italiani e filosofi della scienza come Federigo Enriques o LudovicoGeymonat, e in epoca recente Maurizio Fer- raris e Luciano Floridi3. Ad una “differenza italiana” si riferiscono studi della prima decade del duemila (Chiesa, Toscano 2009), che fanno leva sul peso della filosofia politica nella filosofia italiana del XXI secolo. Si pensi, per esempio, alla tesi di una Italian Theory proposta da Roberto Esposito (2010, 5-6)4 come originale declinazione della discussione sul biopolitico (che però ha una pa- lese matrice foucaultiana) e sul nichilismo (che però ha origine nel pensiero di Nietzsche e di Heidegger) oppure alla versione of- fertane da Gentili (2012, 2015), come filosofia vocata alla «verità effettuale della cosa». In tutti questi casi, le definizioni si atta- FABIO CIRACì128 –––––––––––––––––––––––– 2 Cfr. Borradori 1988. 3 Sul tema si veda anche Spezzano 2019, 89-106. 4 «La peculiarità del pensiero italiano contemporaneo sta precisamente in questo inedito sdoppiamento dello sguardo – puntato insieme sull’attualità più bruciante e su dispositivi di lungo e anche lunghissimo periodo. Nichi- lismo e biopolitica, nella loro articolazione antinomica e inquietante, ne co- stituiscono entrambi un condensato esemplare. Aderenti da un lato alla linea mobile della contemporaneità, si affacciano, dall’altro, su un crinale meta- politico che li rende adatti ai contesti più disparati». gliano perlopiù all’epoca contemporanea, e sempre in maniera par- ziale, certamente non all’intera storia del pensiero italiano5. 5. Se allora sfugge la possibilità di una comune formazione, così come sfugge un’unità ideale che possa collegare le diverse idealità filosofiche, forse la lingua italiana – si dirà – almeno da Dante in poi, può rappresentare un fil rouge in grado di unire storicamente, e in divenire, la tradizione del pensiero italiano. Ma anche la lingua Esiste una filosofia italiana? 129 –––––––––––––––––––––––– 5 A dire il vero, nel testo di Esposito non si comprende bene in che cosa do- vrebbe consistere l’idea di «un insieme di caratteristiche ambientali, lingui- stiche, tonali che rimandano a una modalità specifica e inconfondibile rispetto ad altri stili di pensiero». Esposito fa riferimento a una “geofiloso- fia” descritta dall’ambiente. Sicuramente il contesto geopolitico ha il suo peso, ma – e questa è la domanda – in che cosa si traduce in termini di pen- siero speculativo? Una visione filosofica, una Weltanschauung è tale se aspira ad essere universale. Solo per fare un esempio: la siepe di Recanati poteva rappresentare il termine fisico di un ostacolo specifico alla vista del poeta, quella siepe su quel colle, ma non è forse l’universalità di quella ri- flessione poetica che l’ha resa immortale e condivisibile? Forse che il cal- colo infinitesimale di Leibniz, che scrisse in latino e francese, è, per appartenenza territoriale, più tedesco che non italiano? Altrettanto dubbia sembra un’altra affermazione: «Come già si diceva a proposito della dialet- tica tra territorializzazione e deterritorializzazione, il carattere più intensa- mente geofilosofico della cultura italiana sta in una terra che non coincide con la nazione e che anzi si costituisce, per una lunghissima fase, nella sua assenza. Tale affermazione - che prende di contropelo l’intera storiografia idealistica - si basa intanto su un dato di fatto difficilmente controvertibile. A differenza che negli altri paesi europei - in Francia, in Spagna, in Inghil- terra e, con un ritardo di due secoli, in Germania - la grande filosofia italiana di Machiavelli, Bruno, Campanella, Galileo, Vico non accompagna, né segue, la formazione dello Stato nazionale, ma la precede di molto». In re- altà, almeno nel caso tedesco, non è proprio così: i tre grandi idealisti, Fichte Hegel e Schelling, non vedono l’Unità tedesca, ma muoiono rispettivamente 57 anni (1814), 40 anni (1831) e 17 anni (1854) prima del 1871. Né, per fare un esempio ben più remoto, sembra lecito escludere Lutero, il padre della lingua tedesca, dal novero dei pensatori tedeschi. intesa come cifra identitaria va considerata come elemento pre- ponderante ma non definitivo, significativo ma non discriminante di una filosofia italiana. Si pensi a Giordano Bruno, il quale scrive numerose opere in latino, al tempo lingua dotta, oltre alle opere in lingua volgare. Né tutti gli italiani ante Unità hanno elaborato le loro opere esclusivamente o affatto in italiano, dovendo perlopiù ricorrere alla lingua colta del loro periodo, latino o francese, e in tempi più vicini a noi alla lingua inglese. 6. Vi è poi un altro elemento che può giungere in aiuto alla nostra ricerca, almeno a partire dall’Unità d’Italia: il progetto di educa- zione scolastica nazionale, il quale, nel bene e nel male, a fasi al- terne e non sempre continue, pur fra lotte per l’egemonia culturale, ha determinato una certa uniformità degli studi, ha codificato un sapere, attraverso l’adozione dei manuali scolastici, l’istituzione del programma di studi dell’istruzione nazionale unica. Vi sono state – è vero – delle scuole di pensiero che hanno preceduto il 1861 e che hanno fatto riferimento a egemonie culturali, territoriali e politiche, ben riconoscibili, come la scuola napoletana del Regno delle due Sicilie con la tradizione storicista di Vico e Croce, oppure la tradizione sorta attorno alla Alma Mater Studiorum di Bologna, prima Università del mondo, o alla grande tradizione del Rinasci- mento italiano con la Scuola di Firenze, alla tradizione empirico- scientifica della Scuola patavina con Galilei sino a giungere al positivismo ardigoiano; oppure la grande tradizione romana legata al tomismo e al platonismo, non sempre sovrapponibile con un certo spiritualismo che si intendeva fondato con Pitagora, quel- l’antica sapienza che, a detta dei Mamiani e dei Vera, andava re- staurata. Né sembra sufficiente, come fa Vincenzo Gioberti, riconoscere già nel Quattrocento ben quattro forme assunte dalla filosofia italiana, che ne avrebbero alimentato il Primato, poiché all’unità identitaria si oppone ipso facto la molteplicità delle sue FABIO CIRACì130 forme. Tutti sono, per l’appunto, affluenti, appartenenti a contesti storici molto diversi, realtà culturali e filosofiche che si riverse- ranno, anche in maniera molto significativa, nell’alveo maggiore del pensiero dell’Italia unitaria, costituendone così filoni interni, ancora molto vivi. 7. A partire dai moti risorgimentali, la formazione e il consolida- mento dell’identità culturale italiana si sono legati all’esigenza, ti- pica di ogni costituendo stato nazionale (accadrà anche in Germania a partire dal 1871), dell’affermazione di un “primato”, ovvero della superiorità di una tradizione nazionale, elemento coa- gulante di elementi differenti, un’unità a lungo progettata e soprat- tutto agognata. È in questo quadro che va collocata la rivendicazione di un “primato morale e civile” italico, che si vuole richiamare esplicitamente a tradizioni di pensiero antiche, a origini remote e non sempre meglio identificabili. Anche in Italia si forma cioè quell’idea-mito di un popolo guidato da un missione comune, quella che diverrà in seguito una ‘comunità di sangue e di spirito’ (Bianchi 1901, 319), una prospettiva ereditata dall’idealismo te- desco di matrice fichtiana che in Italia passa attraverso l’impor- tante rivisitazione operata da Giuseppe Mazzini. Gli italiani sarebbero cioè custodi ed eredi di quella «antiquissima sapientia, accomuna storici, pensatori e letterati e diventa spesso il supporto di molte scelte ideologiche e politiche». Come ricorda Antonio Quarta, «La tesi dell’identificazione della filosofia italica con l’an- tica sapienza (pitagorica) affermata da Vico (1668-1744) nel De antiquissima italorum sapientia (1710), costituisce uno strumento efficacissimo a legittimare una tradizione speculativa che ha eser- citato un’influenza straordinaria in settori molto estesi della vita intellettuale italiana (Casini 1998). Molti si considerarono eredi e prosecutori di quella tesi e cercarono di adattarla alle proprie po- sizioniteoriche e pratiche». Del medesimo avviso è Vincenzo Esiste una filosofia italiana? 131 Cuoco che, nel celebre Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli (1801), afferma di ritrovare una differenza costitutiva e peculiare del pensiero italiano in risposta al razionalismo francese e al gia- cobinismo moralistico negatore della tradizione. L’Italia è, per Cuoco, la patria di Vico, l’ingegno che, al pari di Colombo, ha scoperto un nuovo continente: il mondo storico delle nazioni che non può essere investigato con gli schemi astratti della ragione geometrica. Attraverso il pitagorismo esaltato da Vico nel Platone in Italia si esplica il tentativo di una ricomposizione unitaria di fronte a una varietà culturale di cui l’Italia è, per via delle numerose contami- nazioni e colonizzazioni, ricca e, si potrebbe anche dire, sovrab- bondante (Malusa 2003, 14). A questa tradizione si richiama anche Vincenzo Gioberti, che non manca di reinterpretare il pitagorismo in chiave religiosa, facendo dell’Italia la paladina del Cristiane- simo, scelta dalla Provvidenza divina a tutelare, «con sante e pie- tose armi, l’arca della nuova alleanza». E ancora, nel Primato morale e civile degli italiani (1844), la missione della nazione si definisce per simmetria: come Dio crea, conserva e redime l’universo, così l’Italia è […] creatrice, conservatrice e reden- trice della civiltà europea… nazione madre del genere umano. Due espressioni a pendolo ricalcano in estrema sintesi il ciclo della formula ideale: ‘L’Italia crea l’Europa cristiana’ e reci- procamente ‘l’Europa torna all’Italia. La centralità della na- zione ha due aspetti: in senso geografico è umbilicum mundi, il ‘vero mezzo e per così dire la piazza dei popoli civili’; in senso religioso e ‘ieratico’ è sede predestinata e provviden- ziale del pontificato. (Casini 1998, 283-4) Sull’autorità del pitagorismo si fonderebbe anche la scienza ma- tematica, infusa da Dio, garante di un ordine divino. L’idea di una lingua universale con cui è scritto il libro del mondo di galileiana memoria, per Gioberti, proviene dalla divinità che sancisce la FABIO CIRACì132 bontà del creato e l’obiettività delle leggi eterne: «La matematica sublime è un privilegio della scienza fondata nel dogma della crea- zione; perché fuori di questo l’idea dell’infinito è impossibile ad aversi nella sua obiettività e purezza» (1938, 2: 62). 8. Insomma, almeno dalle guerre di Indipendenza per l’Unità di Italia in poi, a vario titolo, le diverse correnti di pensiero presenti su territorio nazionale concorrono e convergono nella costituzione di una identità culturale – sfaccettata, irriducibile a unità, stratifi- cata e complessa – che in qualche modo retroagisce anche sul pas- sato, individuando linee di continuità fra una presunta e arcana identità condivisa e la contemporaneità, senza però che le diverse e numerose scuole si appiattiscano in unica formula omogena di pensiero, ma rimanendo su posizioni filosofiche e di scuola tal- volta molto differenti e contrastanti. Certamente, la circolazione delle idee all’interno del Regno diviene poi un fattore coesivo si- gnificativo, che incide sullo sviluppo del pensiero italiano, il quale meglio sarebbe inteso all’interno della circolazione del pensiero europeo, anche solo per comprenderne la specificità. E certamente fattori di prossimità, anche all’interno del territorio nazionale, svolgono un ruolo di primo piano sulla storia materiale delle idee, poiché le «idee camminano sulle gambe degli uomini» (Turati 1981, 105), sono legate all’effettività storica, e quindi riflettono il pensiero filosofico. Si può certamente tentare di ragionare per sottrazione, ricercando cioè una «differenza italiana» (Claverini 2021, 131), ma si tratta in realtà di una diversità che si riscontra anche all’interno della stessa riflessione filosofica italiana e che non autorizza a determi- nare entità essenziali di pensiero riducibili all’uno, ma piuttosto a riferirci a paradigmi ermeneutici strumentali alla riflessione filo- sofica. Come ricorda con una efficace sintesi Claverini: Esiste una filosofia italiana? 133 Il pensiero italiano è stato descritto come una filosofia del- l’immanenza (Spaventa e Gentile), una filosofia mondana e terrena (Garin), una filosofia della vita concreta (Esposito). Da una parte si è insistito sul rapporto teso e agitato del pen- siero italiano con il potere (Spaventa e Esposito), dall’altra sulla vocazione etico-civile (Garin e Ciliberto) e sul suo essere più una filosofia della “ragione impura” che della “ragion pura”. (Bodei) Ora, proprio questa pluralità di prospettive testimonia la trasver- salità degli approcci e la difficoltà di far valere tali etichette in ma- niera universale, a prescindere dal concreto processo storico che sostanzia ogni singola forma culturale. E per ogni definizione si potrebbe opporre una schiera di pensatori italiani in controten- denza rispetto alla classe concettuale proposta. Si può forse dire che Piero Martinetti sia un filosofo dell’immanenza oppure che si indirizzi a una filosofia mondana e terrena? Oppure che Severino rientri nell’alveo di una filosofia italiana concreta, che si occupa del potere temporale o che si faccia portatore di un messaggio etico-civile? Filosofi italiani come Floridi o Ferraris si occupano forse della “ragione impura”? O piuttosto questa classificazione è possibile a patto che vi sia stata una scelta preliminare fondamen- tale su ciò che è filosofia italiana e ciò che non lo è, escludendo a parte ante numerosi pensatori appartenenti alla filosofia italiana? È bene non dimenticare che, in tempi funestati dalle barbarie to- talitarie, il nazismo immaginava che potessero esistere la mate- matica e la fisica ariane. Oggi questa posizione ci fa sorridere e inorridire allo stesso tempo. Perché allora non vien fatta la mede- sima considerazione per il pensiero umanistico? Forse la filosofia o la storia sono il prodotto dell’individualità piuttosto che essere espressioni universali del pensiero umano? Tutto ciò non significa che il pensiero filosofico non abbia una sua specificità, né che la filosofia nasca uguale dappertutto, come se FABIO CIRACì134 cadesse dall’iperuranio platonico delle idee o sorgesse dalla testa di Giove come Minerva. Tutt’altro, la filosofia – è bene ripeterlo – «cammina sulle gambe degli uomini», ha una sua composizione materiale, è storicamente costituita, proprio perché non le è dato di saltare fuori dalla storia. La sua specificità risiede proprio in questo: nella peculiare declinazione storica che essa assume. In questo senso, ogni nazione, intesa come unità politica riconosci- bile in un dato momento storico, produce un pensiero filosofico che può essere considerato nazionale solo per approssimazione al presente, poiché le stesse nazioni non sono entità immutabili ed eterne, disincarnate, ma hanno confini mobili e sono soggette a mutamenti, come testimonia la storia di guerre, imperi, domina- zioni e migrazioni umane. La storia dell’uomo è in buona parte determinata dal dominio degli Stati e dalla loro geografia nazionale. Ma la geografia politica delle nazioni, degli Stati e degli imperi testimonia di essere varia- bile, soggetta a continua negoziazione; si muove nella storia e at- traverso la storia. L’Italia di Dante (Ferroni, 2019) non coincide geograficamente con quella del 1861, né tantomeno è sovrappo- nibile con essa in quanto entità culturale, ma rappresenta una delle radici profonde da cui si sviluppa lo Stato italiano moderno. In questo senso, la storia – dell’Italia, ma così di qualsiasi altro Stato nazionale o entità geografica e politica – non svetta al di sopra delle teste degli uomini, ma passa attraverso i loro corpi, le loro città, l’ambiente e gli ecosistemi, i mutamenti climatici e le grandi migrazioni. La mobilitazione globale e la possibilità di nuove e diverse contaminazioni ci dimostrano vieppiù che è ne- cessario un cambio di paradigma, una nuova prospettiva e una nuova visione del mondo, in cui la filosofia possa seguirela sua vocazione universalistica e riconoscersi come una riflessione, par- ticolare nel metodo ma con afflato universalistico, riflettendo sulla realtà, lungo tradizioni maggioritarie e minoritarie di pensiero, Esiste una filosofia italiana? 135 tutte iscritte nella storia delle idee. Una filosofia storicamente in- carnata – questa è la proposta ermeneutica ed epistemologica – non rinuncia alla complessità dello processo storico e alle facili classificazioni e semplificazioni, che spesso portano ad aberrazioni essenzialiste e a forme di fascismo morale, politico e ideologico. Per rispondere allora alla domanda dalla quale muove il presente contributo, si può forse pensare alla filosofia italiana non già come un’essenza naturale immutabile, ma piuttosto come un’identità storica in costruzione, soggetta a mutazione, che si alimenta come un fiume attraverso diversi affluenti esterni e dà vita ad altrettanti emissari, determinandone il percorso e la forma, fluendo non sem- pre in maniera lineare, ma talvolta ripiegandosi, variando percorso ogni volta che il terreno muta, deviando a causa di movimenti tel- lurici, che danno origine a faglie e spostamenti di confine non solo geografico ma anche politico, sociale e di Weltanschauung. Certo, per lo storico non è una facile navigazione, né tanto meno è im- presa lieve ripercorrere il fiume sino alla sorgente, controcorrente, per quanto tuttavia ciò sia necessario. E come ogni buon noc- chiere, anche lo storico del pensiero sa che per navigare occorre conoscere sia le stelle fisse per segnare la direzione sia le acque vorticose che alimentano il grande fiume della storia. Bibliografia Bianchi, Romolo. 1901. “Il carattere di razza”. Rivista Italiana di Sociologia. V, maggio giugno: 317-31. Borradori, Giovanna, ed. 1988. Recoding Metaphysics: The New Italian Philosophy. Evanston: Northwestern University Press. Casini, Paolo. 1998. L’antica sapienza italica. Cronistoria di un mito. Bologna: Il Mulino. Chiesa, Lorenzo, Toscano Alberto, ed. 2009. The Italian diffe- rence: between nihilism and biopolitics. Melbourne: Repress FABIO CIRACì136 Publishing. Ciracì, Fabio. 2016. “Variazioni su ideologia e metodo. Saggio storico-filosofico”. H-ermes. Journal of Communication. VII: 205-26. <DOI 10.1285/i22840753n7p205> Claverini, Corrado. 2021. La tradizione filosofica italiana. Quattro paradigmi interpretativi. Macerata: Quodlibet. Esposito, Roberto. 2010. 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