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Esiste una filosofia Italiana

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IDEE
Semestrale di Filosofia
e Scienze umane
Terza serie / 3rd series
I (2021), 1/2
admin
ISSN 0394-3054
admin
- estratto - 
IDEE
Terza serie / 3rd series
I (2021), 1/2
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In copertina: dipinto della Dott.ssa Rita Argentiero
Stampato nel mese di dicembre 2021 da Editrice Salentina - Galatina (Le)
Sommario
Ennio De Bellis
Il criterio di scientificità in una rivista filosofica pag. 11
Elena L. Lappa
Aristotle’s Motion, Change and Contrariety as Key Factors 
for our Understanding of the Physical World » 23
Dimitra Balla, Zacharias Scouras
Aristotle and Darwin on the Birds’ Beaks: 
Evolutionary Affinities » 37
Efthymios Pappas
La materia prima in Aristotele nel XX e XXI secolo » 51
George P. Stremplis
Why Environmental Bioethics Needs Aristotle? 
A Critical Approach » 59
Rita Argentiero
Luca Pacioli: dalla certitudo mathematicarum 
alla matematizzazione dell’universo » 73
Giulia Miglietta
Il principio analogico in Die Philosophie des Als Ob: 
analisi teorica della struttura e dell’applicazione 
delle finzioni nella praxis » 87
Giuseppe Pintus
L’architettonica del siscorso di K.O. Apel. Studio sull’etica
della comunicazione come modello per un’etica generale » 103
Fabio Ciracì
Esiste una filosofia italiana? » 123
Giorgia Salatiello
Natura umana e differenza sessuale » 139
8
Calogero Caltagirone
La riscrittura della “grammatica” antropologica 
nel mutamento di paradigma attuale » 151
Federico Stella
Dispotismo orientale e Islam.
Riflessioni sulla storia di un concetto » 173
Pompeo Fabio Macini
Soggetto e individuo. Costituzione del civis moderno 
tra lineamenti teorico-politici e prospettive antropologiche » 185
Fabrizio Valenza
La necessità di una visione unificata dell’esperienza » 201
Voci filosofiche dal mondo
Nota biografica di Lech Witkowski » 215
Lech Witkowski
Le trasformazioni e le loro dominanti: tra dinamica 
e struttura della processualità » 219
Salvatore Colazzo
In contrappunto. A proposito di un saggio di Lech Witkowski
sull’agire educativo come agire trasformativo » 247
Mario Castellana
Sulla costante presenza di Federigo Enriques 
nella strategia teorica di Lech Witkowski » 259
Riccardo Campa
La pandemia e il ritorno del positivismo. 
Una riflessione attraverso le lenti della metapedagogia 
di Lech Witkowski » 281
Recensioni
RITA ARGENTIERO, Aristotele 2016. 
Organon, coordinamento generale di Maurizio Migliori. 
Milano: Bompiani. » 295
CATERINA CALCAGNO, Alberto Maritati. 2021. 
La nave dei veleni. Il caso Cavtat. Bari: Laterza. » 301
PIETRO CONSOLE, Albert Lautman. 2017. 
La matematica come resistenza. 
Trad. it e introduzione a cura di Mario Castellana 
e postfazione di Fernando Zalamea. Roma: Castelvecchi. » 305
IRENE GIANNì, Mimmo Pesare. 2017. 
Il soggetto barrato - per una psicopedagogia 
di orientamento lacaniano. Milano: Mimesis/Bios. » 311
VALERIA GIANNONE, Jean-Luc Marion. 2020. 
D’ailleurs, la Révélation. Paris: Grassett. » 315
ANTONIO MUSARò, Mario Castellana. 2018. 
Cuori pensanti in filosofia della scienza. Hélène Metzger, 
Simone Weil, Suzanne Bachelard, Barbara McClintock.
Roma: Castelvecchi. » 321
MARIANGELA ROSATO, Laura Bazzicalupo, ed. 2015. 
Crisi della democrazia. Milano: Mimesis. » 325
IDA RUSSO, Elena Pulcini. 2020. Tra cura e giustizia. 
Le passioni come risorsa sociale. Torino: Bollati Boringhieri. » 329
9
FABIO CIRACÌ*
Esiste una filosofia italiana?
Abstract Esiste una filosofia italiana? Cosa definisce la filosofia
come italiana? L’obiettivo di questo articolo è indagare i criteri
utilizzati nella tradizione filosofica - storia, linguaggio, caratteristiche
essenziali, teorie - per una definizione euristica della categoria
storiografica, evitando un approccio ideologico o essenzialista al
problema.
Is there an Italian philosophy? What defines philosophy as Italian?
The aim of this article is to investigate the criteria used in the phi-
losophical tradition - history, language, essential characteristics,
theories - for a heuristic definition of the historiographic category,
avoiding an ideological or essentialistic approach to the problem.
Keywords
Filosofia italiana, Storia, Identità
Italian Philosophy, History, Identity
Non è concepibile filosofia che non si fondi sulla
storia della filosofia, né storia della filosofia che
non poggi sulla filosofia, poiché la filosofia e la
sua storia sono un tutt’uno come processo dello
spirito; in cui sarà empiricamente possibile di-
stinguere una trattazione storica da una trattazione
––––––––––––––––––––––––
* Università del Salento
sistematica della filosofia, e pensare che ciascuno
dei termini presupponga l’altro, poiché specula-
tivamente l’uno è proprio l’altro, quantunque in
forma diversa, come diversi sono sempre i vari
gradi del processo spirituale astrattamente con-
siderati. (Gentile 1987, 3: 202)1
1. Uno dei problemi fondamentali relativi alla storia della fi-
losofia italiana è se essa sia o meno un qualcosa di chiaramente
riconoscibile, un’identità definibile a partire da coordinate storiche
e geografiche o determinabile in relazione alla tradizione, o alla
lingua d’uso, o piuttosto in base a caratteristiche peculiari che la
definiscano in quanto tale, sia essa intesa come essenza naturale
oppure come storia comune.
Per poter parlare di filosofia italiana stricto sensu è necessarioin-
nanzitutto che si possa parlare di Italia, non già semplicemente
come idea (in realtà differente a seconda dei tempi e dei pensatori
che ne preconizzano la nascita o si battono per la sua realizza-
zione), ma come Stato nazionale, almeno a partire dal Regno d’Ita-
lia, a partire cioè dal 17 marzo 1861, con la proclamazione
dell’Unità all’indomani della seconda guerra di Indipendenza del
nostro Risorgimento. A meno di non voler considerare come data
spartiacque il 20 settembre del 1870, con la “breccia di Porta Pia”
ovvero con la terza guerra di Indipendenza, ricomprendendo così
anche quello che fino ad allora era stato confine secolare dello
Stato Pontificio. Se si compie una scelta di questo tipo, anche ri-
comprendendo tutto il pensiero risorgimentale che costituisce l’ali-
mento costitutivo della istituzione del Regno di Italia, si rischia
però di lasciar fuori tutte le personalità filosofiche che hanno pre-
FABIO CIRACì124
––––––––––––––––––––––––
1 Si veda in particolare il vol. III, cap. XIII, L’antinomia storica e la storia
eterna, § 12 – Identità e circolo solido.
ceduto il Risorgimento. Significa cioè non poter annoverare fra i
filosofi italiani pensatori come, per esempio, Pitagora (nato nella
greca Samo ma attivo a Metaponto con la sua scuola), Archita da
Taranto, Marco Aurelio, Tito Lucrezio Caro, Marco Tullio Cice-
rone. Se però un’operazione storica di questo tipo può essere giu-
stificata, e forse risultare opportuna, alla luce della classica
periodizzazione fra storia antica, medievale e moderna – fatta
quindi eccezione per il mondo greco e romano, che hanno una loro
unità culturale a loro volta scandita in epoche interne – e se te-
niamo per ferma la fondazione del Regno di Italia, fra i pensatori
italiani non dovremmo tuttavia annoverare Severino Boezio, Gre-
gorio Magno, Anselmo d’Aosta, Gioacchino da Fiore, Pietro
d’Abano, Tommaso d’Aquino, Marsilio da Padova, Marsilio Fi-
cino, Nicolò Macchiavelli, Giovanni Pico della Mirandola, Pietro
Pomponazzi, Giordano Bruno, Galileo Galilei, Bernardino Telesio,
Tommaso Campanella, Giambattista Vico, Cesare Beccaria, Gae-
tano Filangeri, Gian Antonio Genovesi, Domenico Romagnosi e
molti altri. Rientrerebbero forse a malapena autori risorgimentali
– come per esempio Vincenzo Gioberti morto nel 1852, quindi
prima dell’Unità d’Italia – intesi padri morali del costituendo
Regno d’Italia, ma si perderebbe certamente la migliore fioritura
intellettuale occorsa nel Rinascimento, cifra culturale italiana nel
mondo, e di seguito anche i grandi pensatori italiani del Seicento
e del Settecento. In ogni caso, il riferimento alla formazione di
uno Stato nazionale ci sposta inevitabilmente in epoca moderna e
ogni tentativo di riconoscimento à rebours dell’Italia e della ita-
lianità può essere tacciato di fallacia storica, perché fa retroagire
una categoria del presente sul passato e, dal punto di vista filoso-
fico, di approccio ideologico.
2. Posto però che si possa introdurre, come fanno Gentile e Garin,
una discreta ma significativa linea di demarcazione fra mondo
Esiste una filosofia italiana? 125
greco-romano e la corte di Federico II o l’Italia dei Comuni, e che
quindi si possano considerare italiani ante litteram i pensatori a
partire da Dante o Boezio, per ritrovare così le radici della filosofia
italiana a partire dalla fine del Quattrocento e gli inizi del Cinque-
cento, ciononostante la caratterizzazione di una filosofia italiana
rimane comunque problematica, là dove la si debba intendere
come appartenenza identitaria a un medesimo modo di sentire o
perlomeno a una presunta radice culturale comune. Difatti, se si
contano le differenti tradizioni filosofiche italiane, per esempio,
fra Ottocento e Novecento, non mancheranno rappresentanti del
pensiero spiritualista, illuminista e positivista, i quali si sono for-
mati non esclusivamente e nemmeno perlopiù al pensiero di autori
italiani. Come valutare altrimenti la formazione e la riflessione di
un Romagnosi o di un Genovesi, senza lo studio degli illuministi
francesi? Oppure come immaginare il pensiero di un Galluppi o
un Cantoni senza l’influenza di Kant? Oppure, un Gioberti senza
Aristotele o un Rosmini senza Platone o senza la lezione dei grandi
spiritualisti francesi? Si può forse davvero immaginare una “pu-
rezza italica” nel pensiero di Augusto Vera o dei fratelli Spaventa
come frutto del tutto originale di un pensiero autonomo, o forse
esso deriva dalla riflessione, pur sempre originale e indipendente,
sulla filosofia hegeliana? Si può forse immaginare Piero Marti-
netti, Carlo Michelstaedter o Giovanni Amendola senza l’apporto
della metafisica della volontà di Schopenhauer? Oppure Giuseppe
Rensi o Giorgio Colli senza Nietzsche? E ancora, il nostro Leo-
pardi privato dei classici della letteratura greca e latina, o delle
opere dei sensisti francesi o di Rousseau? Oppure Croce e Gentile
senza Hegel e la tradizione storicistica tedesca?
A ciò si dovrebbe aggiungere inoltre una considerazione breve
quanto semplice: se l’italianità non può certo derivare semplice-
mente dal perimetro geografico dello Stato nazionale – anche esso
soggetto a confini alquanto variabili lungo il decorso storico –
FABIO CIRACì126
tanto meno si può fare riferimento a un “popolo italico”, inteso
come un’etnia dalla distinta discendenza o, peggio ancora, alla
“razza italica”, come pure è stato tristemente affermato in anni bui
e tempestosi dell’epoca contemporanea. Probabilmente, l’idea-
mito di una stirpe italica, per così dire, pura, si scontra non sol-
tanto con la composita e intricata storia della nostra nazione, ma
è facilmente confutata dall’evidenza di una complessità culturale
che testimonia invece l’incontro di tradizioni molto spesso di-
verse, un crogiuolo di storie e memorie che hanno condiviso, non
sempre senza conflitto, un percorso di formazione, sociale e poli-
tico, comune.
3. Posto allora che i pensatori, nello specifico italiani, non si tro-
vano separati dalla circolazione universale delle idee, non sono
una particolare specie ittica d’acquario, separata in branchi chiusi
(Ciracì 2016, 209), posto cioè che il pensiero non può essere col-
tivato in vitro, ma esso è sempre frutto interno e determinato dalla
storia degli effetti e della circolazione universale delle idee, per
poter parlare di “filosofia italiana” sarebbe allora ancora necessa-
rio identificare una cifra identitaria, ovvero una maniera o uno stile
nel ragionare e nel filosofare che permetta di riconoscere chiara-
mente una qualche caratteristica peculiare del pensiero italiano, al
di là delle presunte o effettive influenze esterne. Ma questa carat-
teristica dovrebbe unire pensatori tanto diversi quante sono le loro
prospettive filosofiche nate in terra d’Italia, dovrebbe poter ricom-
prendere sotto lo stesso cielo Giambattista Vico e i positivisti Ro-
berto Ardigò e Pasquale Villari, gli spiritualisti Terenzio Mamiani
e il tomista padre Giacchino Ventura assieme ad Antonio Gramsci
e ad Adriano Tilgher, solo per fare qualche esempio.
4. Di recente, qualcuno ha riconosciuto «l’unico tratto caratteriz-
zante, risalente alla lezione vichiana, ripresa e sviluppata soprat-
Esiste una filosofia italiana? 127
tutto da Croce» come qualcosa di «costituito da uno storicismo di
timbro conservatore, riconoscibile, nella sua versione sfibrata e
indebolita, fin dentro l’ermeneutica post-heideggeriana di Vat-
timo» (Esposito 2010, 4)2. E se tuttavia lo storicismo è una delle
correnti certamente maggioritarie della filosofia italiana, esso non
risulta del tutto adeguato a comprenderla nella sua interezza e to-
talità. Difatti risulterebbe alquanto difficile far rientrare in questa
categoria storiografica personalità filosofiche come Piero Marti-
netti e Giuseppe Rensi o Carlo Michelstaedter, oppure Giorgio
Colli, solo per esempio, il cui astoricismo è fondativo del proprio
filosofare; oppure il nichilismo neo-parmenideo di Emanuele Se-
verino; o pensatori italiani e filosofi della scienza come Federigo
Enriques o LudovicoGeymonat, e in epoca recente Maurizio Fer-
raris e Luciano Floridi3. Ad una “differenza italiana” si riferiscono
studi della prima decade del duemila (Chiesa, Toscano 2009), che
fanno leva sul peso della filosofia politica nella filosofia italiana
del XXI secolo. Si pensi, per esempio, alla tesi di una Italian
Theory proposta da Roberto Esposito (2010, 5-6)4 come originale
declinazione della discussione sul biopolitico (che però ha una pa-
lese matrice foucaultiana) e sul nichilismo (che però ha origine
nel pensiero di Nietzsche e di Heidegger) oppure alla versione of-
fertane da Gentili (2012, 2015), come filosofia vocata alla «verità
effettuale della cosa». In tutti questi casi, le definizioni si atta-
FABIO CIRACì128
––––––––––––––––––––––––
2 Cfr. Borradori 1988.
3 Sul tema si veda anche Spezzano 2019, 89-106.
4 «La peculiarità del pensiero italiano contemporaneo sta precisamente in
questo inedito sdoppiamento dello sguardo – puntato insieme sull’attualità
più bruciante e su dispositivi di lungo e anche lunghissimo periodo. Nichi-
lismo e biopolitica, nella loro articolazione antinomica e inquietante, ne co-
stituiscono entrambi un condensato esemplare. Aderenti da un lato alla linea
mobile della contemporaneità, si affacciano, dall’altro, su un crinale meta-
politico che li rende adatti ai contesti più disparati».
gliano perlopiù all’epoca contemporanea, e sempre in maniera par-
ziale, certamente non all’intera storia del pensiero italiano5.
5. Se allora sfugge la possibilità di una comune formazione, così
come sfugge un’unità ideale che possa collegare le diverse idealità
filosofiche, forse la lingua italiana – si dirà – almeno da Dante in
poi, può rappresentare un fil rouge in grado di unire storicamente,
e in divenire, la tradizione del pensiero italiano. Ma anche la lingua
Esiste una filosofia italiana? 129
––––––––––––––––––––––––
5 A dire il vero, nel testo di Esposito non si comprende bene in che cosa do-
vrebbe consistere l’idea di «un insieme di caratteristiche ambientali, lingui-
stiche, tonali che rimandano a una modalità specifica e inconfondibile
rispetto ad altri stili di pensiero». Esposito fa riferimento a una “geofiloso-
fia” descritta dall’ambiente. Sicuramente il contesto geopolitico ha il suo
peso, ma – e questa è la domanda – in che cosa si traduce in termini di pen-
siero speculativo? Una visione filosofica, una Weltanschauung è tale se
aspira ad essere universale. Solo per fare un esempio: la siepe di Recanati
poteva rappresentare il termine fisico di un ostacolo specifico alla vista del
poeta, quella siepe su quel colle, ma non è forse l’universalità di quella ri-
flessione poetica che l’ha resa immortale e condivisibile? Forse che il cal-
colo infinitesimale di Leibniz, che scrisse in latino e francese, è, per
appartenenza territoriale, più tedesco che non italiano? Altrettanto dubbia
sembra un’altra affermazione: «Come già si diceva a proposito della dialet-
tica tra territorializzazione e deterritorializzazione, il carattere più intensa-
mente geofilosofico della cultura italiana sta in una terra che non coincide
con la nazione e che anzi si costituisce, per una lunghissima fase, nella sua
assenza. Tale affermazione - che prende di contropelo l’intera storiografia
idealistica - si basa intanto su un dato di fatto difficilmente controvertibile.
A differenza che negli altri paesi europei - in Francia, in Spagna, in Inghil-
terra e, con un ritardo di due secoli, in Germania - la grande filosofia italiana
di Machiavelli, Bruno, Campanella, Galileo, Vico non accompagna, né
segue, la formazione dello Stato nazionale, ma la precede di molto». In re-
altà, almeno nel caso tedesco, non è proprio così: i tre grandi idealisti, Fichte
Hegel e Schelling, non vedono l’Unità tedesca, ma muoiono rispettivamente
57 anni (1814), 40 anni (1831) e 17 anni (1854) prima del 1871. Né, per
fare un esempio ben più remoto, sembra lecito escludere Lutero, il padre
della lingua tedesca, dal novero dei pensatori tedeschi.
intesa come cifra identitaria va considerata come elemento pre-
ponderante ma non definitivo, significativo ma non discriminante
di una filosofia italiana. Si pensi a Giordano Bruno, il quale scrive
numerose opere in latino, al tempo lingua dotta, oltre alle opere
in lingua volgare. Né tutti gli italiani ante Unità hanno elaborato
le loro opere esclusivamente o affatto in italiano, dovendo perlopiù
ricorrere alla lingua colta del loro periodo, latino o francese, e in
tempi più vicini a noi alla lingua inglese.
6. Vi è poi un altro elemento che può giungere in aiuto alla nostra
ricerca, almeno a partire dall’Unità d’Italia: il progetto di educa-
zione scolastica nazionale, il quale, nel bene e nel male, a fasi al-
terne e non sempre continue, pur fra lotte per l’egemonia culturale,
ha determinato una certa uniformità degli studi, ha codificato un
sapere, attraverso l’adozione dei manuali scolastici, l’istituzione
del programma di studi dell’istruzione nazionale unica. Vi sono
state – è vero – delle scuole di pensiero che hanno preceduto il
1861 e che hanno fatto riferimento a egemonie culturali, territoriali
e politiche, ben riconoscibili, come la scuola napoletana del Regno
delle due Sicilie con la tradizione storicista di Vico e Croce, oppure
la tradizione sorta attorno alla Alma Mater Studiorum di Bologna,
prima Università del mondo, o alla grande tradizione del Rinasci-
mento italiano con la Scuola di Firenze, alla tradizione empirico-
scientifica della Scuola patavina con Galilei sino a giungere al
positivismo ardigoiano; oppure la grande tradizione romana legata
al tomismo e al platonismo, non sempre sovrapponibile con un
certo spiritualismo che si intendeva fondato con Pitagora, quel-
l’antica sapienza che, a detta dei Mamiani e dei Vera, andava re-
staurata. Né sembra sufficiente, come fa Vincenzo Gioberti,
riconoscere già nel Quattrocento ben quattro forme assunte dalla
filosofia italiana, che ne avrebbero alimentato il Primato, poiché
all’unità identitaria si oppone ipso facto la molteplicità delle sue
FABIO CIRACì130
forme. Tutti sono, per l’appunto, affluenti, appartenenti a contesti
storici molto diversi, realtà culturali e filosofiche che si riverse-
ranno, anche in maniera molto significativa, nell’alveo maggiore
del pensiero dell’Italia unitaria, costituendone così filoni interni,
ancora molto vivi.
7. A partire dai moti risorgimentali, la formazione e il consolida-
mento dell’identità culturale italiana si sono legati all’esigenza, ti-
pica di ogni costituendo stato nazionale (accadrà anche in
Germania a partire dal 1871), dell’affermazione di un “primato”,
ovvero della superiorità di una tradizione nazionale, elemento coa-
gulante di elementi differenti, un’unità a lungo progettata e soprat-
tutto agognata. È in questo quadro che va collocata la
rivendicazione di un “primato morale e civile” italico, che si vuole
richiamare esplicitamente a tradizioni di pensiero antiche, a origini
remote e non sempre meglio identificabili. Anche in Italia si forma
cioè quell’idea-mito di un popolo guidato da un missione comune,
quella che diverrà in seguito una ‘comunità di sangue e di spirito’
(Bianchi 1901, 319), una prospettiva ereditata dall’idealismo te-
desco di matrice fichtiana che in Italia passa attraverso l’impor-
tante rivisitazione operata da Giuseppe Mazzini. Gli italiani
sarebbero cioè custodi ed eredi di quella «antiquissima sapientia,
accomuna storici, pensatori e letterati e diventa spesso il supporto
di molte scelte ideologiche e politiche». Come ricorda Antonio
Quarta, «La tesi dell’identificazione della filosofia italica con l’an-
tica sapienza (pitagorica) affermata da Vico (1668-1744) nel De
antiquissima italorum sapientia (1710), costituisce uno strumento
efficacissimo a legittimare una tradizione speculativa che ha eser-
citato un’influenza straordinaria in settori molto estesi della vita
intellettuale italiana (Casini 1998). Molti si considerarono eredi e
prosecutori di quella tesi e cercarono di adattarla alle proprie po-
sizioniteoriche e pratiche». Del medesimo avviso è Vincenzo
Esiste una filosofia italiana? 131
Cuoco che, nel celebre Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli
(1801), afferma di ritrovare una differenza costitutiva e peculiare
del pensiero italiano in risposta al razionalismo francese e al gia-
cobinismo moralistico negatore della tradizione. L’Italia è, per
Cuoco, la patria di Vico, l’ingegno che, al pari di Colombo, ha
scoperto un nuovo continente: il mondo storico delle nazioni che
non può essere investigato con gli schemi astratti della ragione
geometrica.
Attraverso il pitagorismo esaltato da Vico nel Platone in Italia si
esplica il tentativo di una ricomposizione unitaria di fronte a una
varietà culturale di cui l’Italia è, per via delle numerose contami-
nazioni e colonizzazioni, ricca e, si potrebbe anche dire, sovrab-
bondante (Malusa 2003, 14). A questa tradizione si richiama anche
Vincenzo Gioberti, che non manca di reinterpretare il pitagorismo
in chiave religiosa, facendo dell’Italia la paladina del Cristiane-
simo, scelta dalla Provvidenza divina a tutelare, «con sante e pie-
tose armi, l’arca della nuova alleanza». E ancora, nel Primato
morale e civile degli italiani (1844), la missione della nazione
si definisce per simmetria: come Dio crea, conserva e redime
l’universo, così l’Italia è […] creatrice, conservatrice e reden-
trice della civiltà europea… nazione madre del genere umano.
Due espressioni a pendolo ricalcano in estrema sintesi il ciclo
della formula ideale: ‘L’Italia crea l’Europa cristiana’ e reci-
procamente ‘l’Europa torna all’Italia. La centralità della na-
zione ha due aspetti: in senso geografico è umbilicum mundi,
il ‘vero mezzo e per così dire la piazza dei popoli civili’; in
senso religioso e ‘ieratico’ è sede predestinata e provviden-
ziale del pontificato. (Casini 1998, 283-4)
Sull’autorità del pitagorismo si fonderebbe anche la scienza ma-
tematica, infusa da Dio, garante di un ordine divino. L’idea di una
lingua universale con cui è scritto il libro del mondo di galileiana
memoria, per Gioberti, proviene dalla divinità che sancisce la
FABIO CIRACì132
bontà del creato e l’obiettività delle leggi eterne: «La matematica
sublime è un privilegio della scienza fondata nel dogma della crea-
zione; perché fuori di questo l’idea dell’infinito è impossibile ad
aversi nella sua obiettività e purezza» (1938, 2: 62).
8. Insomma, almeno dalle guerre di Indipendenza per l’Unità di
Italia in poi, a vario titolo, le diverse correnti di pensiero presenti
su territorio nazionale concorrono e convergono nella costituzione
di una identità culturale – sfaccettata, irriducibile a unità, stratifi-
cata e complessa – che in qualche modo retroagisce anche sul pas-
sato, individuando linee di continuità fra una presunta e arcana
identità condivisa e la contemporaneità, senza però che le diverse
e numerose scuole si appiattiscano in unica formula omogena di
pensiero, ma rimanendo su posizioni filosofiche e di scuola tal-
volta molto differenti e contrastanti. Certamente, la circolazione
delle idee all’interno del Regno diviene poi un fattore coesivo si-
gnificativo, che incide sullo sviluppo del pensiero italiano, il quale
meglio sarebbe inteso all’interno della circolazione del pensiero
europeo, anche solo per comprenderne la specificità. E certamente
fattori di prossimità, anche all’interno del territorio nazionale,
svolgono un ruolo di primo piano sulla storia materiale delle idee,
poiché le «idee camminano sulle gambe degli uomini» (Turati
1981, 105), sono legate all’effettività storica, e quindi riflettono il
pensiero filosofico.
Si può certamente tentare di ragionare per sottrazione, ricercando
cioè una «differenza italiana» (Claverini 2021, 131), ma si tratta
in realtà di una diversità che si riscontra anche all’interno della
stessa riflessione filosofica italiana e che non autorizza a determi-
nare entità essenziali di pensiero riducibili all’uno, ma piuttosto a
riferirci a paradigmi ermeneutici strumentali alla riflessione filo-
sofica. Come ricorda con una efficace sintesi Claverini:
Esiste una filosofia italiana? 133
Il pensiero italiano è stato descritto come una filosofia del-
l’immanenza (Spaventa e Gentile), una filosofia mondana e
terrena (Garin), una filosofia della vita concreta (Esposito).
Da una parte si è insistito sul rapporto teso e agitato del pen-
siero italiano con il potere (Spaventa e Esposito), dall’altra
sulla vocazione etico-civile (Garin e Ciliberto) e sul suo essere
più una filosofia della “ragione impura” che della “ragion
pura”. (Bodei)
Ora, proprio questa pluralità di prospettive testimonia la trasver-
salità degli approcci e la difficoltà di far valere tali etichette in ma-
niera universale, a prescindere dal concreto processo storico che
sostanzia ogni singola forma culturale. E per ogni definizione si
potrebbe opporre una schiera di pensatori italiani in controten-
denza rispetto alla classe concettuale proposta. Si può forse dire
che Piero Martinetti sia un filosofo dell’immanenza oppure che si
indirizzi a una filosofia mondana e terrena? Oppure che Severino
rientri nell’alveo di una filosofia italiana concreta, che si occupa
del potere temporale o che si faccia portatore di un messaggio
etico-civile? Filosofi italiani come Floridi o Ferraris si occupano
forse della “ragione impura”? O piuttosto questa classificazione è
possibile a patto che vi sia stata una scelta preliminare fondamen-
tale su ciò che è filosofia italiana e ciò che non lo è, escludendo a
parte ante numerosi pensatori appartenenti alla filosofia italiana?
È bene non dimenticare che, in tempi funestati dalle barbarie to-
talitarie, il nazismo immaginava che potessero esistere la mate-
matica e la fisica ariane. Oggi questa posizione ci fa sorridere e
inorridire allo stesso tempo. Perché allora non vien fatta la mede-
sima considerazione per il pensiero umanistico? Forse la filosofia
o la storia sono il prodotto dell’individualità piuttosto che essere
espressioni universali del pensiero umano?
Tutto ciò non significa che il pensiero filosofico non abbia una sua
specificità, né che la filosofia nasca uguale dappertutto, come se
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cadesse dall’iperuranio platonico delle idee o sorgesse dalla testa
di Giove come Minerva. Tutt’altro, la filosofia – è bene ripeterlo
– «cammina sulle gambe degli uomini», ha una sua composizione
materiale, è storicamente costituita, proprio perché non le è dato
di saltare fuori dalla storia. La sua specificità risiede proprio in
questo: nella peculiare declinazione storica che essa assume. In
questo senso, ogni nazione, intesa come unità politica riconosci-
bile in un dato momento storico, produce un pensiero filosofico
che può essere considerato nazionale solo per approssimazione al
presente, poiché le stesse nazioni non sono entità immutabili ed
eterne, disincarnate, ma hanno confini mobili e sono soggette a
mutamenti, come testimonia la storia di guerre, imperi, domina-
zioni e migrazioni umane.
La storia dell’uomo è in buona parte determinata dal dominio degli
Stati e dalla loro geografia nazionale. Ma la geografia politica
delle nazioni, degli Stati e degli imperi testimonia di essere varia-
bile, soggetta a continua negoziazione; si muove nella storia e at-
traverso la storia. L’Italia di Dante (Ferroni, 2019) non coincide
geograficamente con quella del 1861, né tantomeno è sovrappo-
nibile con essa in quanto entità culturale, ma rappresenta una delle
radici profonde da cui si sviluppa lo Stato italiano moderno.
In questo senso, la storia – dell’Italia, ma così di qualsiasi altro
Stato nazionale o entità geografica e politica – non svetta al di
sopra delle teste degli uomini, ma passa attraverso i loro corpi, le
loro città, l’ambiente e gli ecosistemi, i mutamenti climatici e le
grandi migrazioni. La mobilitazione globale e la possibilità di
nuove e diverse contaminazioni ci dimostrano vieppiù che è ne-
cessario un cambio di paradigma, una nuova prospettiva e una
nuova visione del mondo, in cui la filosofia possa seguirela sua
vocazione universalistica e riconoscersi come una riflessione, par-
ticolare nel metodo ma con afflato universalistico, riflettendo sulla
realtà, lungo tradizioni maggioritarie e minoritarie di pensiero,
Esiste una filosofia italiana? 135
tutte iscritte nella storia delle idee. Una filosofia storicamente in-
carnata – questa è la proposta ermeneutica ed epistemologica –
non rinuncia alla complessità dello processo storico e alle facili
classificazioni e semplificazioni, che spesso portano ad aberrazioni
essenzialiste e a forme di fascismo morale, politico e ideologico.
Per rispondere allora alla domanda dalla quale muove il presente
contributo, si può forse pensare alla filosofia italiana non già come
un’essenza naturale immutabile, ma piuttosto come un’identità
storica in costruzione, soggetta a mutazione, che si alimenta come
un fiume attraverso diversi affluenti esterni e dà vita ad altrettanti
emissari, determinandone il percorso e la forma, fluendo non sem-
pre in maniera lineare, ma talvolta ripiegandosi, variando percorso
ogni volta che il terreno muta, deviando a causa di movimenti tel-
lurici, che danno origine a faglie e spostamenti di confine non solo
geografico ma anche politico, sociale e di Weltanschauung. Certo,
per lo storico non è una facile navigazione, né tanto meno è im-
presa lieve ripercorrere il fiume sino alla sorgente, controcorrente,
per quanto tuttavia ciò sia necessario. E come ogni buon noc-
chiere, anche lo storico del pensiero sa che per navigare occorre
conoscere sia le stelle fisse per segnare la direzione sia le acque
vorticose che alimentano il grande fiume della storia.
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