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TP 1009 Dio Rivelato

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TP 1009 – Dio Rivelato
All’inizio di ciò che chiamiamo trinità sta la salvezza.
Ci salva Dio, che è uno solo... Questa fede se esprime nel battesimo.
I cristiani volevano riflettere più criticamente su questa verità, la fede... quindi è nata la dottrina trinitaria.
Lettura obbligatoria: J. Moingt I tre visitatori. Conversazioni sulla Trinità
L’incontro con Dio è un incontro personale... Dio si rivela come un Dio-Trino.
Riferisce a Gn 18 – tre personaggi vengono visitare Abramo, parlano in una sola voce – il dialogo interno in Dio.
Introduzione
Dio che è stato rivelato, si è rivelato in persona, nella storia, nei fatti nelle parole nei personaggi dell’Antico Testamento e Nuovo Testamento.
Questa auto-rivelazione trova il suo apice nella persona di Gesù Cristo
Nella storia dell’Antico Testamento, Dio s rivela come uno. Nella storia del Nuovo Testamento, Dio si rivela sempre come uno ma allo stesso tempo come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo
Una delle condizione di possibilità che fa Dio all’uomo è la capacita del destinatario, dell’uomo di ricevere ciò che viene rivelato.
L’uomo è stato creato come destinatario della rivelazione, è capax dei, ha la capacità di ricevere, comprendere la rivelazione di Dio. Abbiamo una apertura a Dio, un desiderio di Dio, che ci apre e ci rende capax Dio.
Nelle prime parole del CCC si trova il desiderio di Dio, che è inscritto nel cuore dell’uomo. (C’è una rivoluzione copernicana: prima si parlava di Dio per arrivare all’uomo, nel CCC, il punto de partenza è antropologico... si comincia dal desiderio di Dio inscritto nel cuore dell’uomo).[1: Catechismo della Chiesa Cattolica]
Per l’uomo è costitutivo il rapporto personale con l’infinito
L’uomo è capace di Dio, perché è stato creato così, capace di Dio... Questo desiderio di Dio non è una invenzione illusoria, ci è dato dal creatore: suprema dignità umana
Ci deve essere nell’uomo il necessario per ricevere questa rivelazione: l’uomo capax Dio
Rahner: si parte dall’uomo, cercando nell’uomo le condizione di possibilità per capire la rivelazione di Dio uno e trino. Rahner cerca di far notare la struttura uno-trinitaria nell’uomo. La struttura dell’uomo è fatta così, è aperta per ricevere la rivelazione trinitaria.
Sentiamo questo desiderio de Dio in noi, siamo aperti a Dio, siamo capax Dei, questo desiderio è dimenticato, sconosciuto, dall’uomo
Una delle cause è la ribellione contro la presenza del male, il cattivo esempio dei credenti, correnti di pensiero ostile contro la fede.
Ma anche se offuscato, questo capax dei c’è!
Il segno del desiderio di Dio dell’uomo è la parola stessa “Dio”, la parola manipolata (...), che sempre se impone, sempre ritorna in diversi modi. Abbiamo la parola “Dio”, non possiamo dimenticarla... è il segno di qualcosa in noi.
Cosa vuoi dire la parola “Dio”? Il senso principale del termine “Dio” nella metafisica classica – causa sui – essere causa di se stesso. Tutto in questo mondo è causato, Dio è l’ente primo, causa di tutto, non causato. Autonomia assoluta di Dio. 
Secondo Anselmo, è una realtà che non può essere superata neanche in pensiero, il pensiero è illimitato, Dio è sempre più grande di qualsiasi realtà. 
Per Lutero, Dio è ciò che ci rifuggiamo in ogni necessità, è una forza che ci può liberare... Dio come ultima stanza a cui possiamo rivolgere. 
Schleiermacher (...) Dio significa il sentimento di dipendenza, il sentimento di stare nelle mani di Dio, mi trovo nelle mani di Dio, di qualcuno che è più grande di me... (come succede spesso nelle conversione vicino alla morte). In una situazione estrema, l’uomo esperimenta il sentimento di dipendenza: trovarsi nelle mani di qualcuno.
Due dimensione principale: indicare l’aspetto definitivo, necessario ed ultimo della realtà, dall’altro lato, si indica, si descrive, la situazione fondamentale dell’uomo che vive nel mondo. Esperimenta questa realtà come mistero, e cerca de relazionarsi di qualche modo con questo mistero, ancora sconosciuto, ma lo esperimenta. 
Tra le diverse possibili definizione, una formula semplice ma profonda: Dio è il mistero della realtà. Questo mistero può essere interpretato di diversi modi, può essere negato, ma viene rivelato con la parola “Dio”. L’uomo è interpellato da questo mistero, e in quanto interpellato, indica e chiama questa parola “Dio”. Se la parola “Dio” esprime questo nostro esserci davanti a un mistero, essere circondato da un mistero, rinunciare alla parola “Dio” significa rinunciare un mistero che ci riguarda, in conseguenza una alienazione della realtà. 
L’uomo usa la parola “Dio” non soltanto per oggettivare il mistero, ma per rispondere la chiamata di questo mistero. “Dio se ci sei, aiutami”, una presenza offuscata del mistero. Il mistero si impone, l’idea di Dio si impone... cosa fa l’uomo che lo sperimenta, che è interpellato da questo mistero? Da un lato cerca di raggiungerlo, scoprire da solo questo mistero, conoscerlo, così nascono le religione naturale. Da altro lato, l’uomo può aspettare che questo mistero stesso, Dio, se faccia vedere, ci dica qualcosa, cioè ci si rivela. 
Due prospettive: l’uomo che cerca Dio e che aspetta una parola da parte di Dio.
Karl Barth, a partire di questa distinzione, ha operato una distinzione tra fede e religione. (...) il cristianesimo sarebbe la fede e non la religione.... (È vera, ma se deve dire, come Ratzinger, che la fede senza la religione è irreale, la fede implica la religione. Nelle nostre esperienze abbiamo questo intrecciò tra fede e religione.... Sentimento religioso non può offuscare la fede, la parola di Dio). 
La Bibbia stessa valuta positivamente la fede naturale, non è una nemica dalla fede soprannaturale... 
La Bibbia ci dice che dalla creazione l’uomo può conoscere Dio, anche se di maniera limitata... Sl 19, 2, “I cieli narrano la gloria di Dio, l'opera delle sue mani annuncia il firmamento”.
Dalla grandezza e bellezza dalla creatura, per analogia se conosce il creatore... Per analogia si conosce l’autore... (il nostro linguaggio è sempre analogico)
Rom 1, 19-23: “19poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. 20Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa 21perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. 22Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 23e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un'immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.”
Senza la fede, senza la riposta a Dio che si rivela, la religione sarebbe vuota, per quanto riguarda le risposte essenziale, che riguarda il destino dell’uomo
Questa conoscibilità, la possibilità di conoscere Dio, non significa che sia possibile una dimostrazione di Dio. Nel Vaticano I: non possiamo dare una dimostrazione (matematica) di Dio. Una cosa è che Io possa conoscere Dio con le mie forze naturale... non posso costringere l’altro ad avere la stessa certezza. Perché Dio è fuori di qualsiasi sistema e non può essere provato come un elemento di qualche sistema.... 
Dio in quanto fuori di ogni sistema creato, non può essere dimostrato come possono essere dimostrate le altre cose create.
È possibile conoscere Dio dal creato ma non è così che tutti gli uomini conoscono... Si può arrivare alla conoscenza personale.
Vaticano I: distingue due ordine di conoscenza: naturale e soprannaturale, ma nella situazione concreta dall’uomo, l’ordine naturale non è completamente divisa dall’ordine soprannaturale, la natura non è divisa dalla grazia. Perché la grazia agisce in noi, il nostro discorso sulla luce naturale, sulla conoscenza naturale non si deve riferire alla natura pura dell’uomo che non esiste di fatto, non è che abbiamo una natura pura, e con questa,possiamo arrivare a Dio e poi abbiamo la rivelazione.
La possibilità della conoscenza di Dio è riaffermata nel Vaticano II, nella Dei Verbum 7, c’è un differenza tra l’approccio del Vat. I e II... Il Vat I parte dalle cose naturale, per dire che ci sono verità che non possiamo conoscere, quindi abbiamo bisogno dalla rivelazione. Vat II comincia dalla Rivelazione, dall’interno dalla rivelazione parla dalla conoscenza naturale di Dio. DV7[2: DV 7: “Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni. Perciò Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta intera la Rivelazione di Dio altissimo, ordinò agli apostoli che l'Evangelo, prima promesso per mezzo dei profeti e da lui adempiuto e promulgato di persona venisse da loro predicato a tutti come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale (8), comunicando così ad essi i doni divini. Ciò venne fedelmente eseguito, tanto dagli apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca del Cristo vivendo con lui e guardandolo agire, sia ciò che avevano imparato dai suggerimenti dello spirito Santo, quanto da quegli apostoli e da uomini a loro cerchia, i quali, per ispirazione dello Spirito Santo, misero per scritto il messaggio della salvezza (9). Gli apostoli poi, affinché l'Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi «affidando il loro proprio posto di maestri» (10). Questa sacra Tradizione e la Scrittura sacra dell'uno e dell'altro Testamento sono dunque come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia, com'egli è (cfr. 1 Gv 3,2).”]
Sia nel Vat. I che nel Vat. II si parla dalla certezza, ma di quale certezza che stiamo parlando? Ci sono diverse certezze, questa non è una verità matematica, che possiamo tenere in tasca, ma una conoscenza esistenziale, non soltanto intellettuale ma esistenziale. Se parliamo dalla conoscenza naturale non siamo davanti ad una iniziativa umana contro la rivelazione divina. Anche la conoscenza naturale è un dono di Dio, questa conoscenza, viene dal dono di essere creato.
C’è una distinzione tra la dimensione naturale e soprannaturale, ma non una divisione. Facciamo tante distinzione, ma non vuol dire divisione. 
La possibilità della conoscenza di Dio non sempre si realizza. Ratzinger afferma che “l’uomo trova difficoltà per conoscere Dio, a causa del peccato”.
Possiamo conoscere Dio, però non possiamo rispondere alla domanda. “Come Dio agisce in noi? Quale relazione Dio ha con noi? Ci ama o rimane indifferente, lontano?”. Per conoscere il relazionarsi di Dio all’uomo, abbiamo bisogno che Dio ci si rivela. Noi siamo cristiani perché crediamo che Dio infatti ha pronunciato questa parola, l’ha pronunciata in Gesù Cristo.
Storia dell’alleanza, Dio con l’uomo. Tutte queste alleanze insieme alla alleanza primaria, raggiungono alla sua pienezza nella persona di Gesù Cristo. In Cristo Dio rivela così com’è in se stesso e vuol renderci capaci di amarlo, non solo conoscerlo come tale, vuol renderci uniti a lui. Non solo conoscere, ma comunicare la propria vita all’uomo. Però i cristiani credono in un unico Dio, cioè Gesù cristo non ha cancellato il monoteismo dell’Antico Testamento ma l’ha precisato. I discepoli di Cristo credono nel Dio unico, come lo abbiamo nell’Antico Testamento. (Nell’Antico Testamento, c’è lo sviluppo dall’idea di Dio Unico) 
Dio è unico, però questa unità è differenziata, possiamo dire che Dio è uno, l’unicità di Dio. Però il concetto stesso di unita, unicità, non sono unisciti. Come comprendiamo questo uno di Dio? La risposta possiamo trovare nella filosofia antica. Il monoteismo cristiano è diverso, è trinitario, c’è una differenza notevole. 
Questo monoteismo non viene dalla riflessione astratta, ma viene dalla risposta alla domanda “chi è Gesù?”. Da questa domanda sorge il dogma trinitario. 
Ratzinger (nel libro Il Dio di Gesù Cristo) (...)
Goethe (…)
Kant: dalla dottrina trinitaria non si può ricavare qualcosa di pratico.
È un dogma che esistenzialmente ci spiega tante cose. 
Gesù ci rivela Dio come amore (Gv). Questo è il nucleo, non soltanto della teologia Giovannea, ma della rivelazione Nuovo Testamento, Dio è l'amore. Non vuol dire soltanto che Dio ci ama, ma che in se stesso è l’amore, da sempre. Se non fosse così, si direbbe che Dio è diventato amore, ma non, lui è sempre stato così.
La dottrina trinitaria ci spiega come Dio è veramente amore. Dio è unico, ma non solitario. Sarebbe difficile di credere in un Dio solitario, non personale. Tale Dio non sarebbe perfetto, non sarebbe l’amore. Un Dio così non mi attira.
Dio comunione, Dio vita, Dio amore in se stesso, in cui c’è il Tu reciproco dall’amore “Ti amo...”. Non può essere comunione essendo mono personale. Dio è veramente amore da si stesso. Ci ha creati senza nessun interesse, solo per puro amore.
Questo mistero, della realtà che noi sperimentiamo guardando il cielo con le stelle, questo mistero, ci ha detto una parola, si è rivelato, e ci ha svelato com’è: è l’amore. Questo mistero è l’amore. Per essere amore, questo Dio è comunità, una vita dei tre.
Un cristiano prega non a una divinità astratta, ma a Dio-Padre-Figlio-Spirito. 
Rahner: (...) la dottrina trinitaria non è un indebolimento del monoteismo cristiano. Monoteismo trinitario non soltanto non indebolisce il monoteismo dell’Antico Testamento, ma lo rende possibile veramente. La verità trinitaria rende possibile la storia dell’Antico Testamento. La storia dell’Antico Testamento ha a che fare con un Dio trascendente, lontano, ma allo stesso tempo è vicino a noi, fa parte della nostra storia, ma come capire questo Dio, lontano e vicino? Se vede che da un lato, quest’idea di Dio ci porta all’ateismo pratico. La dottrina trinitaria ci dice che Dio è cosi e può mediare a si stesso, non ha bisogno dei mediatori creati. Perché Dio in quanto mediatore di se stesso, può mediare a se stesso per rimanere lontano, trascendente e vicino. Se Dio fosse veramente mono personale, la storia di Gesù sarebbe assurda. La dottrina trinitaria ci può far capire com’è possibile questa storia di Dio lontano e vicino.
1. Dal Gesù di Nazareth alla Trinità
La dottrina trinitaria non è una costruzione astratta che è apparsa in un certo momento nello sviluppo dalla teologia Cristiana. Ma una risposta alla domanda su Dio, alle domande sulla relazione tra Dio è l’uomo. La trinità è una risposta, ma da dove incomincia la domanda?
Dottrina trinitaria: comincia da Cristo, come ci parla la scrittura, solo partendo di Gesù di Nazareth, dalle sue azione, parole, soprattutto dalla morte e risurrezione, dobbiamo dire qualcosa significativo sui tre: Padre, Figlio, e lo Spirito. Perché la storia di Gesù ci rivela Dio come si stesso, relazionato, differenziato, segnato dalla alterità. Nella storia di Gesù vediamo Dio, che parla con se stesso, vediamo in Dio la reciprocità, l’unita, distinzione. Usiamo i concetti che descriviamo il Dio di Gesù Cristo. (…) In relazione con l’amore, non c’è amore senza relazione, unione, differenza. 
Tutto comincia da Gesù, chi è Gesù? Gesù Cristo è un predicatore un po’ matto, oppure Gesù Cristo è Dio, accanto a Dio Padre. Ci sono due riposte: una negativa o un’altra che dice che Gesù è uno dei tre. Gesù ci rivela la sua relazione unica con il Padre.
Mt 11, 25-27 > La figliolanza al massimo di Gesù. Gesù ci presenta un Dio che ci salva. [3: 25In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al qualeil Figlio vorrà rivelarlo.]
Gv 3, 16 [4: 16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.]
Gesù è oggetto di fede insieme a Dio Padre.
Rom 10, 9 > La fede in Dio, che ci salva. Non c’è la salvezza senza Dio Padre e non c’è la salvezza senza il signore Gesù Cristo.[5: 9Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.]
Dio che viene rivelato come il Padre, abbiamo Gesù che si faceva uguale a Dio, e perciò viene crocifisso. Questo Gesù che si faceva uguale a Dio, ci presenta come “separato” da Dio, accanto a Dio. La preghiera di Gesù come luogo della rivelazione trinitaria.
Nel prologo di Gv, “in principio era il verbo e il verbo era presso Dio e il verbo era Dio” (Gv 1,1). 
Lossky, teologo ortodosso, dice che questa frase di Gv costituisce il germe di tutta la teologia trinitaria. Questa frase infatti obbliga immediatamente il nostro pensiero ad affermare di Dio insieme l’identità e la diversità in Dio. Questi testi, non parlano tanto dalla trinità ma del problema della relazione tra Dio e Gesù Cristo. Si potrebbe avere l’impressione che all’inizio non abbiamo a che fare con la trinità, ma con la “binità”. All’inizio, troviamo la presenza dello Spirito Santo, accanto al Padre e il Figlio. 
Gv 20, 22 > “…ricevete lo Spirito Santo…” in questa donazione, in questa pentecoste, vediamo che lo Spirito è legato, unito, al Padre ed al Figlio. E dopo i discepoli ricevano la missione che è anche la nostra. La dottrina trinitaria si esprime all’inizio nel contesto battesimale, come l’unico nome in tre nomi. Siamo stati battezzati nel nome dell’unico Dio, che è il Padre, il Figlio e lo Spirito. 
Jorge Bergoglio (Papa Francesco): “Dio con noi è un bellissimo appellativo di Dio una sorta di cognome, il suo nome proprio è Gesù oppure Padre o lo Spirito Santo, ma il suo cognome è il dio con noi”.
La struttura trinitaria si trova nell’inizio della chiesa che predica Gesù. 
At 7, 55-56 > visione di Stefano. Stefano esperimenta la presenza dello Spirito Santo, che agisce dall’interno dell’uomo. Vede il Cielo, Dio-Padre e Gesù che sta alla sua destra. Lo Spirito ci porta a Gesù, e Gesù ci indica il Padre.[6: 55Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio 56e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio».]
Stefano non sarebbe capace di spiegare questa visione con i concetti trinitari che abbiamo oggi, ma la esperienza è presente sin dall’inizio.
Gaberini: La trinità non è altro che un Dio che si è rivelato nel vangelo.
Se prendiamo in mano il vangelo, leggiamo questa storia di Gesù, arriviamo alla trinità. Che può essere espressa, scritta in diversi modi.
D’altra parte non è possibile indicare nel Nuovo Testamento le frase che enunciano in maniera esplicita ed univoca la dottrina trinitaria come conosciamo oggi. Perciò, giustamente dice Gaberini,” nel Nuovo Testamento non c’è una dottrina trinitaria”. Questo non vuol dire che è stata inventata dopo, ma non c’è un sistema con i concetti chiari, sistematica.
Gesù ci rivela si stesso nella storia, le frase che ci spiegano qualcosa, ci spiega, ma anche limitano.
Gaberini: “…Il Nuovo Testamento offre di certo punti di approccio concettuali (specialmente negli scritti giovannei) da cui è potuta scaturire una teologia della Trinità”[7: http://books.google.it/books?id=lq0el8SYBmgC&lpg=PA20&ots=2OUVz4Ywdy&dq=%22nel%20Nuovo%20Testamento%20non%20c%E2%80%99%C3%A8%20una%20dottrina%20trinitaria%22&hl=it&pg=PA21#v=onepage&q=%22nel%20Nuovo%20Testamento%20non%20c%E2%80%99%C3%A8%20una%20dottrina%20trinitaria%22&f=false]
La esperienza trinitaria ci sta dall’inizio della storia di Gesù ma non necessariamente la teologia, compresa come una riflessione sviluppata. Tutto comincia dalla storia di Gesù che ci porta alla teologia, che ha un senso perché ci permette di tornare all’esperienza per poter purificarla, teologia è una riflessione sull’esperienza. Perciò, è importante studiando la teologia, cercare di passare questo cammino: la domanda è se lo studio ci fa tornare all’esperienza o no… 
Sto Agostino afferma che la sacra scrittura non parla mai di tre persone. A noi sembra impossibile parlare di Dio, della trinità senza il concetto di Persona. Questo concetto non esiste nella Sacra Scrittura. 
Rahner: la scrittura non ci presenta in concreto una dottrina sulla trinità immanente, nemmeno nel prologo di Gv.[8: Trinità immanente: trinità in se stessa. Trinità economica: quella che si impegna nel mondo)]
Per quanto riguarda lo stesso termine trinità, in Oriente, tra gli scrittore viene usata solo nella seconda metà del secondo secolo, nello scritto Ad Autolicum di Teofilo di Antiochia (Siria). Il concetto greco “trias”, però lo usa in maniera un po’ eretica.
In Occidente, il termine trinità viene usata nel III secolo da Tertulliano.
Non si usava il termine trinità, nemmeno persona.
Come è nato il termine trinità? Nell’incontro con le culture, con la filosofia greca. La nostra “versione” del cristianesimo è quella che è nata con la filosofia greca. Poi la chiesa doveva esprimere la propria fede in un altro linguaggio che quello biblico, doveva passare per un processo di inculturazione.
Dottrina trinitaria è nata grazia alle eresie. 
Le eresie aiutano a capire a si stesso, la nostra fede…. Dallo scontro nasceva la dottrina trinitaria.
Per esprimere questi concetti in altre culture ci vuole la saggezza e l’umiltà. Non si può soltanto fare meno della filosofia greca, che ci è stata data nella tradizione, ma si può esprimere ciò che abbiamo in altre forme.
2. La storia veterotestamentaria: Dio trascendente che si fa vicino
La storia della auto-rivelazione di Dio viene espressa nella lettere agli Eb, (Dio che ha parlato… ultimamente ha parlato per mezzo del figlio). 
Prima di arrivare al Dio trinitario, vogliamo pensare il Dio dell’Antico Testamento.[9: Diteismo asimmetrico – dottrina di Marcione, ci sono due dei: quello dell’Antico Testamento, e quello di Gesù, il vero Dio]
L’illusione di Dio (Richard Dawkins) > “Il Dio dell’Antico Testamento è forse il personaggio più sgradevole di tutta la letteratura.”
Il mondo dal nulla (Lorenzo …) > “… io non voglio vivere in un universo con Dio, questo vuol dire che sono un anti-teista”.
>>>>>Indicare i criteri per una interpretazione conforme allo spirito che ha ispirato la Bibbia. DV 12. 1. Se deve prestare grande attenzione al contenuto e all’unita di tutta la Sacra Scrittura, che è progressiva. L’Antico Testamento ci rivela Dio ma anche ci rivela l’uomo. La rivelazione è progressiva, c’è il centro e poi le periferie. Al centro sta l’opera e persona di Gesù Cristo, allora, ogni brano della Bibbia, dal punto di vista teologico, va letto nella prospettiva di Gesù Cristo, della croce e risurrezione di Gesù Cristo. Es. Quando l’antico testamento parla della distruzione dei nemici, può essere letto alla luce della croce. Nella croce il peccato viene distrutto.
2. Leggere la scrittura nella tradizione vivente della chiesa. Secondo un detto dei padri, la sacra scrittura scritta nel cuore della chiesa. La scrittura è nata dalla predicazione nell’interno della chiesa. Allora la Bibbia va interpretata all’interno della chiesa. Ciò non nega la possibilità di una lettura individuale. Però ogni uomo che legge la Bibbia dovrebbe riferire all’interno della chiesa.
3. Essere attenti alla analogia della fede. Intendiamo la fede, la relazione, la verità della fede tra loro, la totalità del progetto della rivelazione. La verità si spiega avvicenda.
Lo studio della teologia ci dovrebbe aiutare anche a questo. Illuminare le altre verità che sono dipendente che sono secondarie.
Ratzinger usando questi criteri spiega benne il fato che in alcuni brani dell’Antico Testamento vediamo Dio arrabbiato, insomma, l’ira di Dio. “La colera di Dioè l’espressione del fato che ho vissuto contradicendo quello amore che significa l’essenza di Dio. Chi si allontana di Dio esperimenta l’ira di Dio…. L’espressione della logica intrinseca a un’azione. Se mi pongo al dia là dell’amore, mi pongo nelle tenebre, non mi trovo più nella sfera dell’amore, ma nella sfera della colera”. 
Questa colera di Dio indica la natura stessa del peccato, del peccare. Dio non può rimanere indifferente, la colera di Dio è un lato dell’amore di Dio che soffre vedendo che uno nega questo amore, si allontana. 
Nel mondo c’è Dio ma fuori di Dio c’è le tenebre, la colera di Dio. In questa prospettiva possiamo parlare di castigo di Dio. Potremmo dire che non è Dio che punisce, ma è il peccato stesso che ci punisce che porta la morte. Se il peccato non portasse la morte, il Cristo non avrebbe dovuto morire sulla croce. Dio odia il peccato e Gesù Cristo se fa il peccato in quanto tale viene distrutto, Gesù compiendo questo “castigo” di Dio, salva la persona, la fa’ risorgere.
Dio che si rivela nell’Antico Testamento è un Dio uno, solo, santo, trascendente, completamente diverso, vicino all’uomo, è Dio che cerca una vicinanza con l’uomo.
Il popolo eletto, all’inizio della sua storia non conosceva il monoteismo come capiamo oggi. Viveva la monolatria, accettare il culto solamente di un unico Dio. Ma non significa che dal punto di vista filosofico negava l’esistenza di altri dei. 
Nell’enoteismo, invece, non è escluso che gli altri dei, per quanti inferiori sia, siano oggetti di culto.
Dt 6, 4 > (ascolta Israele…), Es 20, 3 > (non avrai altri dei…). Solo fra qualche secoli, i profeti dicono che gli altri dei sono nulla, ossia, non esistono. Is dice “prima di me non è formato nessun dio e non ci sarà”. Is 43, 10-11, Is 45, 22. Non sono affermazione metafisiche ma soteriologiche. La monolatria scaturisce dall’esperienza della salvezza, il salvatore è solo uno, il Dio. 
La prima caratteristica di Dio quella dell’unicità, Dio è uno solo.
Come vediamo in Es 3, il roveto ardente. Questo Dio lontano dice a Mosè, “Io sono il Dio del tuo Padre”, sono vicino a te. Questo Dio si fa vicino in diversi modi, anche dopo questa catastrofe antropologica, il peccato originale, Dio cerca l’uomo, si avvicina, propone l’alleanza. Si riferisce a tuta la creazione, non solo all’uomo.
L’arcobaleno: simbolo biblico per eccellenza. L’alleanza con Mose è sempre attuale. Poi Dio sceglie Abramo per riunire tutta l’umanità dispersa. Gn 12, 3. Simbolo di questa alleanza: la circoncisione. 
La speranza di un’alleanza definitiva si compie in Gesù Cristo.
Dio si rivela come vicino e allo stesso tempo rimane lontano, trascendente. La stessa, vediamo nella rivelazione del nome di Dio. Nell’Antico Testamento si fa conoscere agli altri per il nome, rivelare il proprio nome significa rendersi accessibile all’uomo. “Io sono colui che sono” Es 3, 13-14. Si potrebbe tradurre come “io sono quello che è”, oppure “io sono quello che sono”. Doppio significato: sembra essere un rifiuto di una risposta su qual è il suo nome. 
“Sono quello che sono” sembra una risposta evasiva. In questo modo, un Dio esprime, come meglio non si potrebbe, la sua realtà infinitamente al di sopra tutto che ciò che possiamo comprendere o dire, perché per rispondere possiamo dire, “vengo da…”, ma Dio non si può presentarsi cosi, perché è diverso, lui è colui che è, questo nome esprime la trascendenza, la diversità, la santità assoluta di Dio. 
Il mistero non è da definire, è come è. E cosi si rivela Dio.
Is 6, 5. Davanti a Dio possiamo soltanto esclamare “ohimè”.
“Sono quello che sono”, vuol dire che è un Dio vicino, sta nella storia, è il Dio dei nostri padre, sta accanto all’uomo, sta presente nel passato, nel presente e nel futuro. “Io sono il Dio dei tuoi padri”. “Io sarò con te” …. “Sono il santo in mezzo a te”, il “cognome di Dio”, come diceva Bergoglio, “Dio con noi”.
C’è un paradosso nella relazione di Dio nell’Antico Testamento. Dio è lontano e vicino allo stesso tempo. Questo paradosso nella storia della religione si risolve in due modo: 
1. Può capitare che il lato della precedenza della verità sulla trascendenza assoluta di Dio prevale. In conseguenza Dio sta sempre più lontano dell’uomo. Dio rimane fuori della realtà umana (e ciò ci può portare all’ateismo pratico). 
2. Per salvare la vicinanza del divino si crea diversi intermediari tra dio è l’uomo. Per non perdere il contatto con Dio, si crea gli intermediari. Le religione naturale… Religione asiatica, al fondo c’è una idea di un Dio unico, pur avendo vari dei. Rimane l’idea dell’assoluto. L’unica realtà se trova dietro delle sue manifestazione. Da un lato abbiamo Dio lontano, dall’altro vicino, di modo tale che diventiamo politeista, o quasi politeista. E la fede trinitaria ci permette di evitare queste due prospettive. Perché la fede trinitaria ci spiega che in Dio stesso ci sono le condizione di possibilità che ci permette conosce un Dio lontano e vicino. Rimane lontano, trascendente e vicino. Dio, “vero Dio e vero uomo”, non può essere inteso senza l’alterità della trinità. La dottrina trinitaria può essere compresa come conseguenza della visione dell’Antico Testamento di Dio, come trascendente e lontano. La relazione trinitaria ci spiega come era possibile quella relazione nell’Antico Testamento.
3. Le tracce trinitarie nell’Antico Testamento
L’Antico Testamento è concentrato nella proclamazione del Dio trino ed unico. Non si concentra sulla trinità, ma ci sono le tracce. Si parla di una pluralità divina. C’è presente nel concetto del monoteismo giudaico la pluralità. 
Karl Rahner: …si voleva dimostrare ai filosofi pagani che la trinità è presente in tante filosofie e religione. Ma oggi, potrebbe suscitare scandalo. Perché nella chiesa da Santo Agostino in poi, abbiamo la dottrina che la trinità è un mistero estremamente dito tale, mistero soprannaturale sensu stricto. Si distingue misteri naturali e soprannaturali. I naturali sono conoscibile senza la rivelazione. I misteri soprannaturali, sono quelli che senza la rivelazione non sono conoscibile nemmeno la sua esistenza. Tra i misteri soprannaturali. 1. Soprannaturali sensu lato e 2. Sensu strictu 
1. Sensu lato, una volta rivelati sono facilmente conoscibile, una volta rivelati comprendiamo di che cosa si tratta.
2. Sensu strictu rimangano oscuri anche dopo la rivelazione. Abbiamo sentito parlare di questa verità, ma rimane offuscata.
La trinità sarebbe il mistero soprannaturale sensu strictu. 
Il mistero rimane, ma non oscuro.
Parlando di Dio è da evitare due estremi: 
(1) il parlare presuntuoso di Dio, avere in tasca la verità su Dio. Non neghiamo il fato che possiamo esprimere qualche verità su Dio nelle frasi, possiamo pronunciare un certo numero di frasi veri su Dio, ma non possiamo dimenticare che il nucleo, l’essenza della verità in teologia non consiste nelle frasi ma in persona viva, la verità è Gesù Cristo. In quanto la verità sono tre persone che si sono rivelati nella persona di Gesù Cristo, non possiamo pretendere di avere la verità in mano, per magari, manipolarla.
(2) Ma, da altro lato, dobbiamo evitare un altro estremo, l’uso del concetto di mistero che ci porta a non parlare di Dio o ci porta a mescolare tutte le idee su Dio. Cioè, che tutte le religione sono vere, qualcuno ha qualcosa di vero su Dio. Infatti, in questo si basa il dialogo religioso, ma non possiamo arrivare allo stremo di dire che tutte le religione sbagliano e hanno qualcosa de vero, se vogliamo prendere su serio la nostra religione e rispettare gli altri religioni. Anche se ha un desiderio sincero di aver dialogo, non è giusto, perché Dio si è rivelato in Gesù Cristo come trinità, come Padre, Figlio e Spirito.
I Padri della Chiesa affermano, a volte, che i grandi personaggi dell’Antico Testamento avevano una conoscenza della trinità. E, per esempio, citavano Gv 8, 56, quando Gesù dice “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia»” (…) “Vide Gesù stesso,il figlio di Dio, vide anche il Padre (…)”, dicono i padri della Chiesa.
Lo Scheffuzk, nell’Antico Testamento si riconosce Dio come amore indipendente nel suo essere dal mondo, questo riconoscimento porta a pensare all’esistenza di relazione all’interno di Dio. Ha una pluralità nell’interno di Dio. Non è possibile da questo riconoscimento passare dal Padre, Figlio e Spirito Santo. Ma nell’Antico Testamento, troviamo una pluralità nel discorso su Dio.
In alcuni filosofi pagani, come Porfirio, troviamo un’idea di Dio assoluto, però differenziato in qualche modo trinitario. Porfirio vede un Dio delle triade (essere-vivere-pensare). Ora si può arrivare a qualche idea dell’unita e della pluralità in Dio. Poi l’Antico Testamento ci rivela le potenze di Dio, il modo di agire di Dio. Alla luce del Nuovo Testamento questi attributi dell’Antico Testamento sono ridotte ai due, Figlio e lo Spirito.
Abbiamo parlato della tensione della trascendenza di Dio, lontananza e vicinanza. Per passare dalla trascendenza all’immanenza si introduce il concetto di mediatore.
Tre figure principale: parola, sapienza e lo spirito. Queste figure vengono rappresentate nell’Antico Testamento come attributi di Dio, modo di agire di Dio, ma vengono presentate come persona. 
Così, vediamo un processo di personificazione di questi mediatori, di queste figure mediatrice. Tale personificazione sembrano essere elevate a un livello quasi delle ipostasi divine.
Rahner: “le personificazione di potenze divine in relazione al mondo (…) a una dottrina della trinità”.
Prima di dire qualcosa di queste figure, vale la pena dire qualcosa sulla paternità di Dio. Perché nel Nuovo Testamento Gesù ci rivela Dio come il Padre.
3.1 Dio come Padre
Dio dell’Antico Testamento si presenta al popolo in modo tale che essi lo interpreta usando, tra altro, il concetto di paternità; chiamando questo Dio che si rivela “Padre”. 
Però, la parola “padre” è il nome di Dio che sta in tutto il Nuovo Testamento. Ma nell’Antico Testamento appare raramente. Perché esiste una certa riserva nel confronto della parola padre, perché in tanti culti pagani dio veniva chiamato padre.
Si faceva una proiezione, e fino ad ora la facciamo, la paternità la attribuiamo a Dio per eccellenza. 
Inoltre, Freud afferma che “la figura di Dio padre non è niente che una proiezione della figura del padre umano”. 
La figura trinitaria è una risposta a tale critiche, perché è facile parlare di proiezione si parliamo di un Dio personale. La dottrina trinitaria ci fa vedere che esistono le proiezione ma quest’idea di Dio ci è stata data, il padre non è quello della proiezione ma lui stesso ci rivela come il Padre Eterno…
Geremia si riferisce a quell’uso non buono(pagano) dalla parola padre (Gr 2, 27). [10: “Che dicono al legno: ‘tu sei mio padre! ’. E alla pietra: ‘tu mi hai generato! ’. Essi mi voltano le spalle e non la faccia, ma quando viene l’afflizione essi gridano: ‘Alzati! Salvaci! ’”]
In questa riserva nei confronti del termine padre, attribuisce a Dio il sesso maschile. Invece nell’Antico Testamento Dio veniva compreso come al di là di qualche caratteristica sessuale.
Giovanni Paolo II, in un discorso (16 ottobre 1985) disse: “L’intero contesto dell’antica alleanza era ricco invece di accenni alla verità della paternità di Dio, presa in senso morale e analogico. Così Dio si rivela come Padre del suo popolo, Israele, quando comanda a Mosè di chiedere la sua liberazione dall’Egitto: “Dice il Signore: Israele è il mio figlio primogenito. Io ti avevo detto: lascia partire mio figlio . . .” (Es 4, 22-23).”.
Questa esperienza di Dio-Padre nasce dalla esperienza dell’alleanza. Abbiamo diverse espressione che comunicano la esperienza dell’alleanza attraverso il concetto di paternità.
Si parte dalla alleanza per arrivare alla esperienza d’essere creato.
Ml 2, 10 [11: “Non abbiamo forse noi un unico Padre? Non un unico Dio, che ci ha creati? Perché dunque agire con perfidia l’un contro l’altro, profanando il patto dei nostri padri?”]
Is 64, 7[12: “Però, Signore, tu sei il nostro padre; noi siamo l’argilla e tu il vasaio, siamo tuti opera della tua mano.”]
Il Nuovo Testamento approfondisce molto questo discorso sull’essere creato, in quanto tale essere figli di Dio; avere lo stesso padre. 
Perché in fondo, essere creato non deve significare essere figli, il creatore non si deve presentare come il Padre, perché ci sono altre creature create da Dio che non sono figli di Dio. 
Perché per essere figli, deve avere la stessa natura del padre, dei genitori. Il Nuovo Testamento ci fa vedere che non soltanto siamo creature, ma siamo stati chiamati a partecipare alla natura divina. Come leggiamo nella 1Pt 1, 4, avere la stessa natura. [13: “Per una eredità che non può né corrompersi, né essere contaminata, né appassire e che a voi è riserbata nei cieli”]
Vediamo come la rivelazione veterotestamentaria, la rivelazione di Dio Padre trova prolungamento, approfondimento, nella rivelazione del Nuovo Testamento.
Pv 3, 12[14: “Perché il Signore corregge chi ama, come un padre agisce col figlio più caro”]
Sl 103, 13[15: “Come è clemente un padre verso i figli è clemente il Signore con chi lo teme”]
L’immagine paterna, è stata sviluppata del profeta Osea, chiamato profeta dell’amore di Dio. Fa questo paragone con la relazione figli-genitori (Os 11, 1s). Il profeta si riferisce alla tenerezza dei genitori. [16: “Quando Israele era fanciullo, io l’amavo e richiamai mio figlio dall’Egitto”.]
Il popolo si sente figlio di Dio, perciò lo chiama Padre. E Dio è sempre in relazione con gli uomini, con il creato, cioè in modo relativo.
La paternità di Dio non esclude la maternità. Is 49, 15 e Is 66, 13 (come una madre consola il suo figlio). Questo discorso sulle caratteristiche femminile di Dio, materne, è molto bello e rappresenta nella predicazione, ma a volte un po’ pericoloso se sviluppato in maniera esagerata, secondo i principi esagerati di una teologia femminista. [17: “Può forse una mamma dimenticare il suo pargoletto, non aver compassione del frutto del suo seno? Ma anche se essa lo dimenticasse io non potrò dimenticarti!”]
Giovanni PaoIo I, durante l’Angelus (10 Settembre, 1978) disse: “noi siamo oggetti da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. E' papà; più ancora è madre.”.
 La figura materna di Dio era presente anche nella predicazione di Giovanni Paolo II. Durante un’Udienza (20 Gennaio, 1999), disse: “Una paternità così divina e nello stesso tempo così "umana" nei modi con cui si esprime, riassume in sé anche le caratteristiche che solitamente si attribuiscono all’amore materno.”. Altra Udienza (8 Settembre 1999), disse “Egli(Dio) è anzitutto e soprattutto Padre. È il Dio Padre che stende le sue braccia benedicenti e misericordiose, attendendo sempre, non forzando mai nessuno dei suoi figli. Le sue mani sorreggono, stringono, danno vigore e nello stesso tempo confortano, consolano, accarezzano. Sono mani di padre e di madre nello stesso tempo. Il padre misericordioso della parabola contiene in sé, trascendendoli, tutti i tratti della paternità e della maternità.”
Benedetto XVI, non è molto favorabile a Dio-Madre. Nel libro Gesù di Nazareth, nel capitolo su Padre Nostro, si pone la domanda: “Dio è anche madre?”. (…) Dio è chiamato padre e non madre. Gesù ha insegnato a chiamare Dio di Padre…. [18: Ratzinger, Gesù di Nazareth, p. 169.]
Già nell’Antico Testamento vediamo queste tracce materne e paterne di Dio. Il padre ha le caratteristiche materne, possiamo trovare queste caratteristiche raffigurata nella persona dello Spirito Santo. Secondo Massimiliano Kolbe, la persona dello Spirito Santo è così legata alla persona di Maria. Nella storia della salvezza, la terza persona della Santissima Trinità si svella nella persona di Maria. (Maria quasi l’incarnazione dello Spirito Santo, secondo S. Massimiliano). 
Perché Dio è il Padre?
Dio-Padre e Madre, per Ratzinger, “ilcristianesimo non è nostro è la rivelazione di Dio, è un messaggio che ci è stato consegnato che non possiamo costruire…”. Non siamo noi a creare la religione che poi sarà chiama cristianesimo, ma ci è stato dato. …Non è che una volta ricevuto la rivelazione, devo soltanto ripetere le parole, le frase della Bibbia, Gesù ci mandò lo Spirito che guiderà alla verità, il linguaggio di fede si è sviluppato, abbiamo i nuovi dogma che non c’erano qualche anno fa, se esistevano, esistevano come “germe” …. Non abbiamo il diritto di creare il cristianesimo a piacimento. Lo studio di teologia si tratta di studiare per sapere distinguere tra le cose da sviluppare, magari da cambiare, e le cose che dovevano rimanere come sumo. 
Ratzinger: “dunque, non siamo autorizzati a trasformare un “Padre nostro” in un “Madre nostro” …”. Comunque, questo è un tema da sviluppare, perché non conosciamo benne da dove viene chiamarlo Padre.
Una buona riposta, Il rifugio, di William Young, che ha come problema principale quello del male. In questo libro, il padre si rivela come una donna nera. 
L’uomo esperimenta Dio e di qualche modo lo chiama secondo questa esperienza, lo chiama Padre. 
Usa delle parole che abbiamo per rivelare qualche comprensione di questa figura. La parola Padre, invece, non è soltanto una metafora, se Gesù avesse usato soltanto una metafora, potevamo cambiare. Ef 3, 14 (Piego, perciò le mie ginocchia dinanzi al Padre).
Dio è il Padre in se stesso da sempre, lui stesso si chiama padre, senza noi, e questo è il mistero della paternità di Dio. Questo mistero della paternità divina non è un effetto della nostra esperienza terrena, ma è la fonte di ogni paternità; di quella paternità eterna, prende nome ogni paternità terrena. 
Possiamo dire così, può esistere la vera paternità su questo mondo creato perché Dio è padre. Quando noi diciamo padre-madre, subito pensiamo anche alla realtà di sessualità. In Dio non c’è nessuna sessualità, ma c’è la paternità, e questa paternità si rispecchia nella paternità e maternità creata attraverso la sessualità. Ma la sessualità non è componente necessario di paternità, perciò i sacerdoti possono essere veri padri.
La paternità eterna di Dio è la condizione di possibilità della esistenza della vera e autentica paternità creata. 
Karl Rahner: la domanda qual è la relazione tra Dio di cui parla Gesù e il Padre di cui parla Gesù e il Dio dell’Antico Testamento? Cioè, Gesù usa la parola Dio, usa la parola Padre e si riferisce al Dio dell’Antico Testamento. Rahner fa notare che quando il Nuovo Testamento, cioè Gesù, usa la parola Dio si tratta quasi sempre di Dio-Padre (Rm 15, 6). Nel testo, “theos” nel Nuovo Testamento, quando si parla di Dio nel senso assoluto del Nuovo Testamento si intende il Dio che agisce nell’Antico Testamento che è il Padre, ha un Figlio e concede il suo Spirito, e non si intende il Dio-Trino. [19: “Affinché unanimi e con una solla bocca glorifichiate Dio il Padre del Signore nostro Gesù Cristo.”]
Dio di Gesù è il Padre, esperimentato nell’Antico Testamento, prima persona della Santissima Trinità. Ci sono sei testi neotestamentari in cui si chiama il Figlio di theos (Rm 9, 5), Cristo viene chiamato Dio. In questi brani, la parola theos sta senza articolo, oppure è modificata di qualche aggiunta. Tutte queste precauzione portano alla comprensione di che il termo Dio è usato in un senso generico, con certa esitazione. Una cosa è la realtà, un’altra è usare il concetto.
I testi in cui Dio agisce nel confronto di Gesù. Si parla di Dio e di Cristo che sta accanto. Se deve nottare che lì dove ho theos, è qualificato con l’attributo pater, oppure Gesù è determinato con Kyrius.
Diario di San Ignazio – visione, parla di una di queste visione in cui vede Gesù Cristo ai piedi della Santissima Trinità.
Come il Padre e allo stesso tempo come il Dio nell’Antico Testamento. 
3.2 Parola di Dio, Spirito di Dio e gli altri intermediari della Rivelazione
Il Dio dell’Antico Testamento rivela le sue potenze e i suoi attributi tramiti due modi principale: la parola e lo spirito. Yahweh si manifesta in prima persona, attraverso, non in modo diretto. La parola(dabar) di Yahweh ha un significato per la rivelazione trinitaria. 
Dio è “fisicamente assente” e si fa presente attraverso la sua parola. Il volto di Dio rimane velato e si manifesta nella sua parola. Sul Sinai, Mosè non vede Dio, ma sente la sua parola. La parola di Dio è udita o vista, ma sempre la parola, dei profeti. La parola agisce come parola creatrice, la parola agisce come forza che conserva l’esistenza del creato. È la parola che crea il popolo, i dieci comandamenti. 
Nell’Antico Testamento si vede una tendenza verso la personificazione, cioè ipostatizzazione della parola.
Thomas Spidlik comparando i testi di Giovanni con l’Antico Testamento, “agli antichi fu rivelato che Dio pronunci spesso la sua parola, ma non facevano idea che questa parola poteva essere una persona…” 
In Gesù viene rivelato che la parola dell’Antico Testamento, molte volte personificata, è veramente una persona, è una parola, il figlio, la parola incarnata, Gesù.
Allora nell’Antico Testamento, possiamo dire che Yahweh è il Padre, ma non vuol dire che il Figlio non agisce, ma agisce come parola. Che nell’Antico Testamento sembrava come potenza, un attributo. Poi lo spirito, Ruah.
Sp 1, 7 (di fatti lo Spirito del Signore riempie il mondo, abbraccia ogni cosa e sente ogni voce…) Lo Spirito viene appresentato come energia, forza… Ma dall’altro lato, ha una tendenza verso la personificazione dello Spirito (2Sm 23, 2) Se parla dello Spirito e della sua parola. Oppure, Gn 1, 2, (la terra era informe deserta…). Molti Padri vedono in questo passo la presenza dello Spirito Santo come persona che opera con il Padre e il Figlio. Dopo viene rivelato con Gesù che questo Spirito è una persona e non soltanto una potenza del Dio mono-personale.
Altro concetto, la sapienza di Dio, rimane ben legata alla parola di Dio. La sapienza si presenta nella creazione come realtà appartenente all’emanazione della potenza di Dio… Ma anche qui abbiamo una personificazione. La sapienza loda se stessa, si vanta davanti al suo popolo. (Sr 1, 3 – sono uscita dalla bocca dell’altissimo) Gesù applica a se stesso ciò che fu detto sulla sapienza Mt 11, 28s (venite a me voi tutte…). Gv 6, 35 (Gesù rispose, io sono il pane…). Ma nell’Antico Testamento (Sr 24, 18s – la sapienza dice, avvicinate da me…). Gesù applica a se stesso le caratteristiche della sapienza veterotestamentaria, potevano capire che Gesù è la Sapienza di Dio. Perciò San Paolo 1Cor 1, 24 (ma per coloro che siano chiamati…). La parola sapienza viene attribuita anche allo Spirito Santo (Ireneo di Lione). 
La Sapienza, nella Tradizione, si identifica anche con lo Spirito Santo (Ireneo di Leone), poi la figura della Sapienza viene identificata con Maria.
Angelo di Yahweh: appare spesso in diverse scene dell’Antico Testamento. Appare come una figura che compie qualche missione nel nome del Signore, nel nome di Dio. Ci sono dei brani in cui è difficile distinguere benne tra l’angelo del Signore.
Gn 16, Agar incontra l’angelo del Signore (“…Tu sei il Dio della visione”, Gn 16, 13 – l’angelo viene identificato con il Signore.) Perciò, non stupisce che la figura dell’angelo venga riferito dai Padri della Chiesa come il logos preesistente.
Le altre figure mediatrice della letteratura giudaica, sarebbe il volto, la gloria, il nome, la Shekhinah, la presenza di Dio. Abbiamo queste figure mediatrice, la parola, spirito, sapienza, che viene nell’Antico Testamento personificate. Alla luce del Nuovo Testamento possiamo interpretare quelle figure mediatrice come due persone mandate dal Padre: il Figlio e lo Spirito.
Altri testi, veterotestamentari, in cui si parla di Dio al plurale, oppure Dio stesso parla di sé al plurale. Questo plurale non è “pluralis maiestatis”, perché non ha nell’ebraico questa forma. 
Gn 1, 26 (facciamo l’uomo alla nostra immagine…) Dio parla di sé stesso al plurale. Forse quitroviamo un eco del politeismo, però non sembra probabile, non si riferisce a qualche idea politeista.
Si riferisce, forse, agli angeli, perché si parla della creazione dell’uomo, perché a questo punto si pensa che già erano create le altre potenze celeste. Ma solo Dio crea, e non gli angeli, solo Lui è il creatore, ora, difficilmente si può riferire questo “facciamo” agli angeli. Como se la creazione fosse di Dio e degli angeli (po’ assurdo), è Dio chi crea.
Alcuni Padri vedono in questo brano un dialogo tra le persone divine. Santo Ireneo o Tertulliano, vedono qui un riflesso della Santissima Trinità. Ireneo parla in riguardo alle due mani, il Figlio e lo Spirito, Dio-Padre si rivolge alle sue due mani: il Figlio e lo Spirito. 
Gn 3, 22 – “Il Signore Dio disse allora, L’uomo è diventato come uno di noi”. Dal punto di vista mono personale, si deve parlare delle potenze create. Come si Dio rivolgesse agli angeli per dire… Ma solo Dio decide, solo Lui è la fonte della conoscenza del bene e del male. Sarebbe strano riferire questo brano ad un dialogo tra Dio agli angeli. 
Gn 11, 7 – Torre di Babele. (Confondiamo loro lingua)
Is 6, 8 – (…udì la voce del Signore…. Chi andrà per noi?)
Sl 110, 1 (oracolo del signore al mio signore…) – un dialogo tra i signori, dialogo all’interno di Dio.
Ci fanno pensare che in Dio esista un noi, esista un Io e un Tu. È possibile un dialogo intra-divino.
Ratzinger – Introduzione al Cristianesimo – “ecco la scoperta del dialogo in Dio stesso…. Esistenza in Dio di un Io ed un Tu…. Un volgersi uno all’altro”. Lo troviamo già nell’Antico Testamento.
Manifestazione di Dio ad Abramo – Gn 18, 1s. (tre uomini stavano in piedi presso di lui). I tre uomini: tre angeli o tre persone divine? (…) Prima si parla di questi uomini, e poi Abramo rivolge a loro nel singolare “mio Signore!”. 
Filone di Alessandria (di cultura ebraica), esplicava questo brano dicendo che l’essere supremo, Dio vero, si fa vedere come uno a chi ha la mente pura, invece a quelli che hanno la mente un po’ offuscata si presenta al plurale. Allora, secondo questa interpretazione, Abramo avete avuto la mente un po’ pura ed offuscata. Difficile avere una buona esplicazione di questi brani.
Icona della Santissima Trinità: possiamo entrare nella Santissima Trinità attraverso la eucaristia 
4. Gesù Cristo rivela il mistero trinitario
L’unico rivelatore della trinità è Gesù Cristo. Nella sua storia, proviamo un fondamento per qualsiasi discorso sulla trinità, e possiamo dire che abbiamo a che fare con due prospettive, che insieme creano una teologia, un fondamento per la teologia trinitaria. 
(1) La testimonianza di Gesù nelle parole di Gesù stesso, negli eventi con Gesù stesso. In queste parole, Gesù rivela la sua relazione particolare con il Padre, e poi al secondo luogo, rivela la sua relazione con lo Spirito, e con ciò rivela la sua divinità. 
(2) Un’interpretazione che troviamo nelle lettere del Nuovo Testamento della esperienza “dopo pasquale”. La morte e la risurrezione di Gesù sono una conferma delle parole di Gesù pre-pasquale.
La domanda che viene dopo l’incontro con Gesù risorto: “Chi è questo Gesù risuscitato?”, e la riposta a questa domanda, ha portato la Chiesa, i primi discepoli, alla fede trinitaria, non ancora alla dottrina, ma alla fede. 
Dopo, la fede è stata sviluppata nelle dottrine trinitarie. Non troviamo nel Nuovo Testamento una dottrina trinitaria con i concetti sviluppati. Cristo ci ha rivelato che Dio non era una monada, ma l’unico Dio sono tre, Padre, Figlio e lo Spirito. Lo fa soprattutto rivelando si stesso e la sua relazione con il Padre.
4.1 Gesù rivela la sua relazione particolare con il Padre
Lettera di Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, §24. (Scritto alla fine del Giubileo). Giovanni Paolo II parla dei volti di Gesù Cristo. La evangelizzazione, cominciamo nello stare con il Signore.
Facciamo la domanda: “chi è Cristo?”, ma per risponderla dobbiamo rispondere alla domanda su cosa Cristo dice da sé stesso? 
Tutto il nostro parlare sulla trinità, si basa sulla fede. 
Se leggiamo i Vangeli e prendiamo su serio ciò che leggiamo, non si può dire “Gesù Cristo era un gran uomo ma non era Dio”. Se Gesù non era Dio, tutto ciò che raccontava, o quasi tutto ciò che raccontava erano delle cose strane, pazzesche. E se prendiamo queste parole di Gesù, su serio, e vogliamo capire veramente, arriviamo alla dottrina trinitaria, oppure dobbiamo rigettare questo messaggio.
Invece, i nemici di Gesù capivano benne ciò che Gesù stava dicendo, per questo volevano ucciderlo, “si faceva come Dio”. 
Gesù si identifica con il Padre e allo stesso tempo si distingue da lui. Abbiamo a che fare con la “binità”, il Padre e il Figlio, così era nei primi secoli, sin dall’inizio si battezzava nel nome dei tre, però la riflessione più critica riguardava soprattutto il Padre e il Figlio. Dello Spirito non si parlava molto nella prospettiva trinitaria.
Gv 12, 44. “Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato”; la fede in Gesù è di fatto la fede in Dio Padre. Con ciò, il Figlio viene identificato.
Gv 12, 49. “Io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire”. – L’unità: la parola di Gesù è la parola di Dio Padre.
Gv 5, 26 “Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso”. Solo Dio può avere la vita in sé stesso, perché quello che ha la vita in sé stesso è causa sui….
Il Padre ha concesso al Figlio di avere la vita in sé stesso. Se uno l’ha, deve averla da sempre. Questo ci fa pensare a ciò che poi è stato rivelato, nella generazione eterna. Il Padre genera da sempre, non da un momento. In questo modo, gli concede di avere la vita in se stesso, Dio da Dio, ma da sempre. 
Gv 10, 24-30 – “le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. …. Io e il Padre siamo una cosa sola”. 
“Abbà, Padre!”, Mc 14, 36, in cui Gesù rivela una relazione particolare con il Padre. “Per la sensibilità ebraica sarebbe impensabile rivolgersi a Dio con questa parola “Abbà”, una cosa nuova, inaudita, che Gesù poteva osarsi fare, parlava con Dio come un bambino parla con il Padre, l’intimo rapporto che Gesù aveva con Dio.” (Ratzinger, Gesù di Nazareth).
Gv 20, 17 – “Va' dai miei fratelli e di' loro: Salgo al Padre mio e Padre vostro e Dio mio e Dio vostro”: distingue il modo come noi possiamo chiamare dio Padre in cui lui, il Figlio, può chiamare Dio Padre. 
4.2 La divinità di Gesù nel Nuovo Testamento
Mc 2, 1s – la guarigione del paralitico. Gli scribi hanno dei dubbi, “cosa sta dicendo, soltanto Dio può perdonare i peccati!”. Gesù, in riposta, non cerca di precisare, ma anzi conferma le sue parole con il miracolo. Non dicendo “io sono Dio”, ma lo dice, perciò alcuni giustamente potevano pensare, “bestemmia”. Gesù si paragona con il “Figlio dell’uomo”, la figura dell’Antico Testamento. Si riferisce al “figlio dell’uomo”, espressione presente nella profezia di Dn 7. È un titolo misterioso che appartiene ad alcuno che riceve potere, gloria e il regno. Il suo potere è un potere eterno. 
Questo titolo viene usato da Gesù in un’altra situazione, quando stava davanti al sinedrio (Mc 14, 61s). Qui, Gesù si trova davanti al sinedrio in una situazione grave, sarà condannato o no. Gesù lo sa, è cosciente, ma non cerca di spiegarsi, ma conferma tutte le altre sue parole da cui risultava che lui era Dio. Perciò la sentenza è morte, un bestemmiatore dev’essere condannato a morte.
Gv 8, 12-59 (io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita…) non dice “io sono Dio”, ma possiamo riferire queste parole solo a Dio… Per quanto riguarda il contenuto, per gli ascoltatori rimane chiara, la questione è si è vera o no. (Io sono io e il Padre). Non si può conoscere il padre senza Gesù, chi conosce Gesù conosce il Padre, sono una cosa sola. 
Solo Dio può fare conoscere Dio… “Se non credete che Io sono”,fa pensare nel nome di Dio “io sono quello che sono”. Gesù, qui, usa questo nome per si stesso. Le parole di Gesù sono così forte che i suoi ascoltatore hanno solo una scelta: credano in Gesù, oppure dicono “hai un demonio!”. 
Se prendiamo queste parole di Gesù su serio, veramente non possiamo dire che Gesù era soltanto un uomo. (…) “prima che Abramo fosse, io sono” Gesù parla dal suo “Io” preesistente. 
Gesù parla chiaramente della propria divinità e allo stesso tempo parla dal Dio padre, sono due diversi ma uguali in qualche senso, da chiarire. 
Alcuni problema. (1) non si parla dallo Spirito Santo, (2) alcune frase già citate e altre ci fanno pensare che Gesù Cristo sia divino, però non veramente uguale al Padre, cioè, un Dio minore… Non è strano che nei primi secoli sia sviluppato il “subordinativismo”, che Gesù è una realtà subordinata al Padre. 
“Il figlio da se non può fare nulla…” se il figlio non può fare nulla da se, è subordinato… (Gv 5, 30; Gv 14, 28 – “il Padre è più grande da me”). 
Ratzinger lo interpreta così: logicamente questi brani non soltanto non negano l’uguaglianza tra figlio e il Padre ma la esprimono. Perché se fosse così che abbiamo il Padre, poi abbiamo il Figlio, e il Figlio sì, è unito al padre, però ha la propria vita che non appartiene al padre, è sua, personale. Allora, fanno le cose insieme, ma alcune cose il Figlio fa da sé, senza il Padre. Se fosse così, logicamente dobbiamo dire che il Figlio non è uguale al Padre e il Padre non è uguale al Figlio. Hanno una realtà comune ma non sonno la stessa cosa. Invece se il Figlio dice “non posso fare nulla da me steso, ma so ciò quello che il Padre fa’”, abbiamo una altro schema: il Padre e il Figlio nello stesso campo. Ogni azione del Figlio è dal Padre. Tutto ciò che fa il Figlio appartiene al Padre (e vice versa), perciò ha un’unità perfetta. Allora, “il Padre è più grande da me”, se potrebbe dire che nell’amore, l’amato, in qualche senso, riferisce che quello che ama è più grande. 
Quindi, Ciascuno delle tre persone se sottomette alle altre due, dipende da loro. Una kenosis dell’amore, qualcuno di loro si umilia davanti all’altro. Oppure dicendo che qui, il Figlio incarnato si riferisce alla sua condizione “kenotica”, il Figlio essendo vero uomo e vero Dio, in qualche senso, affida la sua divinità, la lascia nelle mani del padre. 
Perciò il Figlio fa’ dei miracoli, ma non agisce da se stesso. Fa’ Il miracolo ma sempre fa riferimento al Padre. Il Figlio prende la forza per fare miracoli dal Padre. Queste frasi non ci deve portare al “subordinativismo”, ma l’uguaglianza con il padre, (…tramite la paternità-relazione).
Il Padre non può fare niente senza il Figlio… Solo c’è il Padre perché c’è il Figlio, il Padre è il Padre da sempre, e quindi, da sempre c’era il Figlio…
4.3 Lo Spirito Santo nell’insegnamento di Gesù 
Gesù viene e ci parla soprattutto della sua relazione con il Padre.
La prima relazione che ci viene rivelata è quella tra il Figlio e il Padre
Gesù rivela il Padre, in quanto il Padre per eccellenza, e rivela si stesso come il Figlio per eccellenza.
Gesù ci parla dello Spirito Santo. Nel Nuovo Testamento troviamo i diversi nomi dello Spirito. 
Dal punto di vista delle relazione dello Spirito con le altre due persone, sarebbe di nottare il nome “lo Spirito del Padre”, oppure “lo Spirito del suo Figlio”, del Figlio di Dio (Gl 4, 6), oppure “lo Spirito di Gesù” (At 17, 16-17). 
Questi titoli ci indicano in qualche senso l’origine dello Spirito, da chi viene lo Spirito….
Vediamo che secondo questi nomi, lo Spirito deriva dal Padre e dal Figlio. 
Le altre nozioni, espressioni, nomi, come ad esempio paraclito, consolatore, indicano piuttosto l’azione dello Spirito nei confronti degli uomini. 
Ma si potrebbe dire che lo Spirito del Padre ci può far pensare di una forza di un Padre, lo stesso si può dire di Gesù. Oppure, paraclito, consolatore, sarebbe un attributo di Dio e non una persona.
Giovanni Paolo II in uno dei suoi discorsi (Udienza Generale, 13 novembre, 1985) disse: “La Bibbia, e specialmente il Nuovo Testamento, parlando dello Spirito Santo, non si riferisce all’Essere stesso di Dio, ma a Qualcuno che è in un rapporto particolare con il Padre e il Figlio.”
Gesù stesso in diversi luoghi ci parla dello Spirito Santo come si parla di una persona.
Gv 14, 16-17 – “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità” – si dice dello Spirito “che rimanga”, sarà mandato, un altro. Ci fa pensare in una persona che sta in relazione con gli altri.
Gv 14, 26 – “Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa”
Gv 15, 26 – “Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza”
Gv 16, 14-15 – “Egli [lo Spirito di Verità] mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà”
Lo Spirito viene dal Padre e dal Figlio, ci ricorderà, ci annunzierà. 
L’unità dei tre però, diverso il ruolo e il loro agire di fronte all’uomo.
Ogni riflessione si basa su questa promessa: è lo Spirito Santo che ci guiderà alla verità tutta intera. 
La verità è già stata rivelata in Gesù Cristo, però questa verità che ci è stata rivelata non è ancora conosciuta veramente da noi. 
Questa verità, tutto che si trova nella persona di Gesù, ci viene ricordato, approfondito dallo Spirito Santo. Lui ci guida alla verità. (“Già e non ancora” – lo Spirito sempre ci guida alla verità tutta intera”. Questo è un percorso trinitario.
Qui vediamo un intreccio tra i tre: Lo Spirito Santo viene promesso, lo Spirito che Cristo manderà da parte del Padre, e dopo lo Spirito ci guiderà alla verità. 
Giovanni Paolo II(Ibid.) “Tutte queste parole, come anche gli altri testi che troviamo nel Nuovo Testamento, sono estremamente importanti per la comprensione dell’economia della salvezza. Esse ci dicono chi è lo Spirito Santo in rapporto al Padre e al Figlio: possiedono cioè un significato trinitario: dicono non solo che lo Spirito Santo viene ‘mandato’ dal Padre e dal Figlio, ma anche che egli ‘procede’ dal Padre.”
Queste parole ci parlano della realtà economica, ma anche ci indicano la realtà immanente.
Per Gesù lo Spirito Santo non è una forza apersonale, ma sì un Tu divino, che noi chiamiamo persona.
“Spirito Santo”: il nome della terza persona della Santissima Trinità. “Santo” non è una aggettivo dello Spirito, ma il suo nome… (CCC 691)[20: CCC 691: “«Spirito Santo», tale è il nome proprio di colui che noi adoriamo e glorifichiamo con il Padre e il Figlio. La Chiesa lo ha ricevuto dal Signore e lo professa nel Battesimo dei suoi nuovi figli.13Il termine «Spirito» traduce il termine ebraico Ruah, che nel suo senso primario significa soffio, aria, vento. Gesù utilizza proprio l'immagine sensibile del vento per suggerire a Nicodemo la novità trascendente di colui che è il Soffio di Dio, lo Spirito divino in persona.14 D'altra parte, Spirito e Santo sono attributi divini comuni alle tre Persone divine. Ma, congiungendo i due termini, la Scrittura, la liturgia e il linguaggio teologico designano la Persona ineffabile dello Spirito Santo, senza possibilità di equivoci con gli altri usi dei termini «spirito» e «santo»”]
Nel parlare di Gesù su Padre e su Spirito Santo: 1Cor 2, 10 (lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.” 
Un “Io” dello Spirito che sta accanto al Padre.
Lo Spirito Santo non parla mai di un “Io”, non abbiamo un brano dove possiamo trovare lo Spirito Santo parlando di un “Io”, dinanzi al Padre e al Figlio. 
Lo Spirito Santo non parla in prima persona. Rimane piuttosto “egli”, “lui”, “lo Spirito farà qualcosa”. Gesù non si rivolge allo Spirito con il “Tu”, rivolge così al Padre. 
Nonostante i brani citati, c’è il problema del carattere dello Spirito. Perché lo Spirito è così un po’ “apersonale”?Questa mancanza dello Spirito Santo, che non ci parla nella prima persona di fronte al padre e al figlio, non è una mancanza, ma anzi, è una rivelazione del carattere specifico dello Spirito. Lo Spirito è sempre presente, ma come si fosse dietro, nascosto, umile, come si fosse “kenoticamente ritirato”. 
Il non uso di un “Io”, va interpretato nella prospettiva della frase “Dio è amore”
Sergej Bulgakov: “Lo Spirito è l’amore che riunisce in sé tutto il processo dell’amore, la rinuncia di sé nel sacrificio, la sacrificalità dell’amore e la sua beatitudine. La rinuncia di sé sacrificale consiste nel suo annientamento ipostatico (cioè annientamento personale): egli stesso non rivela la sua ipostasi (persona) e non rivela se stesso, come lo fanno il Padre e il Figlio: egli non è che la loro rivelazione stessa (…) (Sempre in funzione del padre e dello Spirito, non dice ‘Io’). [Lo Spirito Santo] non esiste per sé, perché è tutto negli altri, nel Padre e nel Figlio (…) [Neppure il Padre e il Figlio esistono per sé, ma questo amore, vivere per gli altri, vediamo solo nella persona dello Spirito]. Così nell’amore che è la Santissima Trinità, la terza ipostasi è l’amore stesso, che realizza in sé, ipostaticamente, tutta la pienezza dell’amore [Tutta la Santissima trinità è amore, ma viene espresso nella persona dello Spirito].[21: Bulgakov, Il Paraclito, p. 122]
Bulgakov. “L’ipostasia, la persona dello spirito, è come una “anipostasia”, una privazione di essere si stesso in se stesso. La terza persona, la kenosis, un svuotamento della personalità. Lo Spirito non rivela si stesso perché non ha un suo proprio contenuto, egli annuncia ciò che il Figlio dice nel nome del Padre. [22: Bulgakov, Il Paraclito]
È lo Spirito di verità, non la stessa verità. Lo Spirito esiste al di fuori di sé. Costituisce un tra ipostatico (tra il Padre e il Figlio).” (Vento, soffio, fuoco, la colomba – descrizione non personale dello Spirito - questi simboli ci dicono la natura un po’ apersonale dello Spirito)
Moingt (I tre visitatori). “La terza persona da parte sua che non è né locutore, né destinatario, viene chiamato non persona, o persona dell’assente…” Lo Spirito Santo riempie tutto lo spazio, perciò è difficile parlare dov’è. Non si rivela prendendo la parola, né ricevendola. Ma è l’oggetto della parola, della promessa del Padre e dello Spirito.Padre (Io) Figlio(Tu)
 Spirito Santo (Egli)
4.4 Gli avvenimenti (manifestazioni) trinitari nel Nuovo Testamento
Alcuni avvenimenti che sono manifestazioni trinitaria.
3 eventi: L’annunciazione, il battesimo e la trasfigurazione del Signore.
Questi eventi da un lato non dobbiamo negare la loro storicità; da l’altro lato, questi avvenimento sono espressione della fede post-pasquale della prima comunità, degli apostoli. Comunque hanno a che fare con la storia…
Balthasar: “La sua [dell’annunciazione] struttura narrativa rivela in modo assolutamente chiaro per la prima volta la Trinità di Dio”. [23: Balthasar, Maria nella dottrina e nel culto della Chiesa, in Ratzinger-Balthasar, Maria Chiesa nascente, Paoline, Roma 1981, 48.]
Lo stesso ha affermato Giovanni Paolo II (Mulieris Dignitatem, 3) “L'autorivelazione di Dio, che è l'imperscrutabile unità della Trinità, è contenuta nelle sue linee fondamentali nell'annunciazione di Nazareth.”. Nell’evento dell’annunciazione Maria si fa luogo della rivelazione trinitaria.
Si potrebbe dire che Maria si fa luogo del Padre, Figlio e lo Spirito, allora è possibile che la trinità si dimora nell’uomo, come è successo in Maria. Allora, se è possibile questo, è possibile anche (e questa è la promessa che ci è stata data) che l’uomo venga inserito nella vita trinitaria. La trinità in Maria e Maria nella trinità. Vediamo in diverse immagine dell’incoronazione.
Lc 1, 35 (Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio.). Vediamo tre “Io” che sono presenti nella storia della annunciazione. È la trinità che agisce per la salvezza dell’uomo. 
Si potrebbe dire che nell’annunciazione, l’iniziativa è del Padre, cioè l’angelo è mandato dal Padre. Anche se per esempio S. Ignazio, negli Esercizi Spirituali. Quando propone la riflessione sull’incarnazione (…). 
Fu mandato da Dio, questo giustamente va compreso come fu mandato da Dio-Padre, però, anche fu mandato dalla Santissima Trinità. Qui, come vedremo nella storia del cristianesimo, sempre abbiamo a che fare con queste due prospettive, che non sono delle prospettive opposte ma complementare. 
La prima prospettiva vuole vedere nella persona del Padre il punto di partenza di tutto. Il Padre che manda il Figlio, che manda lo Spirito e loro vanno al mondo. Ma anche c’è chi preferisce un modello più comunitario, non tanto “patercentrico”, Padre, Figlio e Spirito Santo insieme (come la visione di Ignazio), decidono, “mandiamo il figlio”.
Dio agisce in modo differenziato, l’agire di Dio viene annunciato dall’angelo. Colui che agisce nella incarnazione di Gesù è lo Spirito, lo stesso che opererà la Sua risurrezione.
Maria si fa luogo, lo spazio della rivelazione trinitaria. Ma più di un luogo, Maria è una persona che acquista vincoli relazionare con il Dio uno e trino. 
Vediamo in Maria le relazione con la trinità. Non viene usata come un oggetto, ma la trinità si relaziona in diversi modi con lei.
Pio XII “…dignità di madre del Figlio di Dio, ed è perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo”
Santa Caterina da Siena – “Se io guardo in te Maria, vedo che la mano dello Spirito Santo ha scritto in te la Trinità”
Santa Elisabetta della trinità. – “O Maria, tu attiri il cielo ed ecco il Padre ti consegna il suo Verbo perché tu ne sia la Madre, e lo Spirito d’amore ti copre con la sua ombra. A te vengono i Tre; è tutto il cielo che s’apre e si abbassa fino a te, il suo castissimo grembo divenne stesso il cielo”
L’annunciazione è il momento per eccellenza dell’incarnazione.
Come Dio, eterno si può fare uomo? Si Dio fosse solo, come sarebbe possibile la vera kenosis della incarnazione di Dio? 
Il Figlio lascia la propria divinità nella mano di Dio. Cioè, tutta la storia di Gesù Cristo è concentrata sulla sua relazione con il Padre, il “Padre Mio”, la kenosis di Dio, del Figlio, è possibile solo nella prospettiva della relazione di questo Dio in kenosis con il Padre, una kenosis intra-trinitaria, una kenosis di amore. 
Battesimo: Mt 3, 13-17. Lo Spirito misterioso sotto il segno della colomba (sembra apersonale), il Padre, una voce, nascosto, lontano, invisibile, ma presente. 
Gen 1, 1(lo spirito di Dio aleggiava sulle acque) – Così agisce lo Spirito Santo, è nascosto, si ritira, non dice “Io”. Non costringe, non ci spinge con forza brutale. Agisce, esercita questa forma con leggerezza. 
Dopo la scena del battesimo, c’è la storia della tentazione di Gesù. Eppure quella storia è una storia trinitaria (Mt 4, 1s – “Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto”) 
Tutta la trinità è coinvolta: “Se tu sei Figlio di Dio”, respinge il diavolo facendo referenza alla parola di Dio-Padre.
Il diavolo tenta Gesù di diventare indipendente dal Padre, indebolire la relazione di obbedienza con il Padre, di negare in qualche senso la relazione kenotica con il Padre nello Spirito Santo. 
Allora, la tentazione di Gesù, da parte del diavolo, cerca di colpire la trinità, la relazione tra i tre.
Battesimo: “questo è il mio figlio prediletto (Sl 2, 7)”. La figliolanza di Gesù e la sua missione sono legate dallo Spirito Santo. Si compie in una maniera pneumatica.
La trasfigurazione: scena simile a quella del Battesimo (Mc 9, 2-7). S. Tommaso fa un paragone tra trasfigurazione e battesimo. “Nel battesimo dove fu messo in luce il mistero della prima rigenerazione, fu palese l’azione di tutta la Trinità, in quanto era presente il Figlio incarnato, apparve lo Spirito Santo in forma di colomba e il Padre si fecesentire con la sua voce. Così pure nella Trasfigurazione, che è il sacramento della seconda rigenerazione(risurrezione), si è manifestata tutta la Trinità: il Padre nella voce, il Figlio nell’umanità (assunta), lo Spirito Santo nella nube luminosa. Infatti, ‘come nel battesimo lo [Spirito Santo] dà l’innocenza, simboleggiata dalla semplicità della colomba, così nella risurrezione agli eletti darà lo splendore della gloria e il ristoro da ogni male, simboleggiato dalla nube splendente’”. [24: S. Tommaso di Aquino, Summa, III, q, 45 a. 4 ad 2]
Bulgakov, fa notare che la presenza dello Spirito sul Cristo era permanete. Nella trasfigurazione diventa visibile ai discepoli. Quindi, la manifestazione di Cristo nella gloria della risurrezione è una pneumatofania. Cristo è lo Spirito (nella trasfigurazione). 
L’evento più importante trinitario è la morte e risurrezione di Gesù. Perché la Trinità vuol dire la diversità e l’unità in Dio, questa diversità la vediamo in maniera forte sulla croce di Gesù. Chiamare questo uomo sulla croce “Dio” è scandaloso, vuol dire confessare la differenziazione in Dio. L’unita perfetta tra il Padre e il Figlio, nello Spirito Santo (risurrezione).
5. Le formule trinitarie nel Nuovo Testamento
Troviamo nel Nuovo Testamento diverse formule trinitarie, che sono espressione sintetiche della struttura trinitaria, dell’agire divino, dell’esperienza dei discepoli.
Mandato missionario alla fine di Mt (28, 19). Questa formula battesimale afferma la pluralità delle persone. [25: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”]
Si parla dei tre ma, allo stesso tempo, dell’unità (“Nel nome” e non “nei nomi”, Trinità è un nome in tre nomi). 
La formula trinitaria di Matteo in cui si mette Padre, Figlio e lo Spirito Santo, non vuol dire che aveva già una teologia speculativa sulla trinità. Ma il catecumeno confessava la fede che la sua salvezza dipende dall’unico Dio, Padre, Figlio e lo Spirito Santo.
Essere battezzato nel nome della trinità vuol dire che la mia salvezza dipende dai tre.
Il primo tipo delle formule trinitaria sono quelle battesimale.
Un catecumeno che si preparava al battesimo, non confessava una dottrina della trinità ma confessava la fede nell’unico Dio, che si è rivelato pienamente in Gesù Cristo e ci ha mandato lo Spirito Santo. 
Confessare la fede nella Santissima Trinità significa dire “la mia salvezza dipende dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. Non posso essere salvato senza il Dio Unico, senza ‘questi tre’”
Probabilmente questa frase (Mt 28, 19), è un testo ulteriore che si faceva nel nome di Gesù Cristo. 
At 2, 38: “…nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo.”. 
Con Gesù Cristo viene dato lo Spirito Santo. Gesù e lo Spirito Santo vengono dall’unico Dio.
Vediamo in questo testo (At) una differenza tra l’agire salvifico di Gesù e dello Spirito Santo. Una differenza ma nello stesso tempo un’unità. 
In teologia è importante vedere le cose unite ma distinte allo stesso momento. Da qui scaturisce la distinzione tra Battesimo e Cresima (che sono ben collegate).
Nella Chiesa Orientale il Battesimo e la Cresima vengono insieme, invece nella Chiesa Romana, vengono separati, se riceve la Cresima qualche anni dopo.
Le altre tipe di formule trinitaria sono le formule di un saluto solenne, di un congedo, come vediamo in Paolo, nella 2Cor 13, 13 (La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi).
Paolo, con questo congedo trinitario, esprime che Gesù ci dà la Grazia che fa testimonia dell’amore del Padre che ci manda lo Spirito, in comunione.
Un'altra formula trinitaria; nella comunità di Corinto (dove c’erano alcuni problemi), è quella di Paolo in 1Cor 12, 4-6(Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti): il Dio Padre sarebbe la fonte, opera tutto in tutti, ordine ascendente, tutto arriva dallo Spirito va’ per il Signore verso il Padre.
In queste formule trinitarie Paolo indica tre soggetti della azione salvifica divina. Ma nello stesso tempo, sottolinea che Dio è uno e lo dice molto chiaramente nella 1Cor 8, 4-6(“Riguardo dunque al mangiare le carni sacrificate agli idoli, noi sappiamo che non esiste al mondo alcun idolo e che non c'è alcun dio, se non uno solo. 5In realtà, anche se vi sono cosiddetti dei sia nel cielo che sulla terra - e difatti ci sono molti dei e molti signori -, per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Gesù Cristo” - ma non solitario, che ci presenta come comunione, differenziato in se steso dalla eternità da sempre…). 
6. La testimonianza trinitaria di S. Paolo
Si vede quando leggiamo le lettere di S. Paolo che lui parla del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo nel contesto del loro rapporto con l’uomo, che diventa figlio adottivo di Dio, nell’evento del battesimo, anche se non troviamo il termo “battesimo” esplicitamente. 
Non troviamo in Paolo una dottrina astratta, ma sempre in relazione con la salvezza. Paolo ci fa vedere che la dottrina trinitaria si sviluppava a partire della esperienza battesimale.
Il battesimo, infatti, è stato compreso come un evento in cui l’uomo viene introdotto nella relazione salvifica con il Figlio e lo Spirito Santo e, in conseguenza, con Dio. Cioè viene introdotto nella relazione trinitaria. 
Queste “essere introdotto nella relazione”, che vediamo in At 19, 1-6, è interessante anche nel punto di vista del passaggio dal rito del battesimo compreso come un rito semplice di penitenza (Giovanni Battista) al battesimo pieno del significato trinitario. 
Da dove i primi cristiani hanno preso la teologia del battesimo? Come era possibile il passaggio da una comprensione semplice del battesimo come rito di purificazione, a una teologia del battesimo così profonda, trinitaria, con la figliazione, con la presenza dello Spirito Santo, ecc. Non è ovvio questo passaggio. Ma, comunque, si può dire che Gesù stesso suggerì in diversi modi questo passaggio.
Un esempio di questo sta in Mc 10, 38-39, oppure in Lc 12, 49-50. Nel primo brano, di Marco, Gesù stesso suggerisce che gli elementi del suo battesimo saranno presente nel battesimo di ogni cristiano. Nel secondo brano, di Luca, usa il termine “Battesimo” facendo riferimento chiaro alla croce, alla sua morte, alla sua risurrezione. Gesù stesso mette insieme il battesimo e il suo mistero pasquale, cioè la figliolanza divina e il possesso dello Spirito, in questo modo, rivela la trinità che agisce nel battesimo e che agisce nel mistero pasquale. 
Nei diversi scritti paolini che rivelano la nostra figliolanza nello Spirito: per esempio: Gal 4, 4-7(Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: «Abbà! Padre!») 
Abbà, è la parola che Gesù usava nel rapporto con il Padre, e allora, possiamo anche noi usarla nel Figlio. 
Paolo parla di Dio che ci manda il suo Figlio e lo Spirito, e si rivela a noi e per noi. Rivela la donazione da parte di Dio, Dio ci salva e in questo modo ci fa conoscerlo. 
Fa compiere l’opera salvifica e così si fa conoscere. Allora tutto il nostro discorso sulla trinità, un po’ teorico, trova la sua radice nell’agire di Dio per la nostra salvezza. 
Questa automanifestazione, autodonazione di Dio, si compie attraverso due missione, che sono diverse: Dio mandò il suo Figlio, Dio ha mandato in nostri cuori lo Spirito. 
La missione del Figlio è diversa della missione dello Spirito. La missione del Figlio è pontuale, si compie nello spazio e nel tempio, si presenta nell’incarnazione, è concreta è storica. 
La

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