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Igino Petrone Filosofia Del Diritto Con L aggiunta di vari saggi su Etica, Diritto e Sociologia [OCR]

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PUBBLICAZIONI DELL'ISTITUTO DI FILOSOFIA DEL DIRlTTO 
DELL'UNIVERSITÀ DI ROMA 
DIRETTE DA GIORGIO DEL VECCHIO 
xr 
~==================~ =========~========~ 
!GINO PETRONE 
FILOSOFIA DEL DIRITTO 
,CON L'AGGIUNTA DI VARI SAGGI 
SU ETICA, DIRITTO E SOCIOLOGIA 
A CURA DI 
GIORGIO DEL VECCHIO 
MILANO 
DOTT. A. GIUFFRÈ - EDITORE 
1950 
PROPRIETÀ LETTERARIA 
STAMPAT.Q IN' ITALIA - PRlllro"TED IN ITALY 
Città di Castello - Sodetà Tipografica •Leo.nardo ~ Vlncl • - 1950 
PREFAZIONE 
Al 1JOl111ne, testè puhblicato, contenente le Lezioni di Filosofia del 
dirilto di Francesco Filomusi Gnelfi, segue ora degnamente questo, 
che contiene le Lezioni della stessa materia - anch'esse finora non 
mai stampate -- di im altro grande maestro, Igino Petrone. 
Q11ale posto eminente ocmpi il Petrone nella storia della Filosofia 
dei diritto in Italia, è noto ad ogni cultore di q11esto ramo di studi; 
e la fama di lui sarebbe ancora maggiore, P"r oltre il ristretto campo 
degli specialisti, se es.ça fosse adeg11ata al merito. 
Igino Petrone fu invero un ingegno sovrano, il più splendido ed 
il più amto, a mio avviso, tra quanti onorarono gli stitdi filosofico-
giuridici italiani - e forse non solo quelli italiani - da qttando, 
or è circa un secolo, si spense Antonio Rosmini. 
Era nato a Limosano, nel MJlise, il 2.r settembre r870; un morbo 
crudele, che lo travagliava penosamente da qualche anno, troncò imma-
turamente la sua vita in S. Giorgio et Cremano, il 26 l1Jglio .r9r3. Ot-
tenuta, a ventiq·uattr' anni, la libera docenza in Filosofia del diritto 
nell'Università di Roma (ove si era laureato in Giurisprudenza), a 
v7,ntisette anni era straordinario di Filosofia del diritto nel!' Università 
di Modena, a trent'anni ordinario di filosofia morale in quella di N a-
poli, ove tenne ancl" p" qui/eh• anno "n cor.>o pareggiato di Filosofia 
del diritto. Nel r9ro, la Facoltà di Giurisprndenza di Napoli lo chiamò 
a coprire la cattedra di questa disciplina come ordinario ; ma la malat-
tia clze già lo insidiava gli impedì di riassumere quell'insegnamento, 
clze pur rispondeva alla prima e più profonda S1•a vocazione, perrnet-
ten:togli solo. di continu~re, ancora per poco, quello della Filosofia mo-
rale, sin quasi alla lacrimata sua fine. 
VJ Prefazione 
Cotne già altro"e ebbi occasione di 110/are, la singolarità del tetn-
peramento filosofico del Petrone derivava da ciò, che egli era insieme 
mi ipercritico e un mistico. Addestrato a Ittite le sottigliezze della sco-
lastica, esperto degli stromenti e dei metodi della modema gnoseologia, 
egli aveva del pari un profondo anelito per le cotmmicazioni immediate 
coll'assoluto, un'aspirazione inesau.<la e q11aoi patetica a ciò che l'intel-
letto non può comprendere e la parola non sa dire. Di qui la speciale 
indole ed anche lo special.e fascino di molti S1wi scritti, nei q11ali la 
concitazione lirica e apologetica si sovrappone talvolta al rigore delle 
dimostrazio11i, il fervore e il f>alpito della fede si mescono col sottile 
lavorio della critica, i baleni delle 11isio11i i11tcriori si alternano coi 
docu.menti dell'erudizione più raffinata e .~e11m1. 
Forse per l'esuberante ricchezza e ?Jh!acilà del su.o spirito, il suo 
orien.tamenio spewlati11n non fu sempre esattamente il medesimo : su 
cmii problemi il suo pensiem mostrò qualche oscillazione, o meglio, 
parve attraversare diverse fasi. Del che taluno gli mosse -rimprovero. 
Ma, oltre che con.<imile ossert>0zio1ie p1tò farsi rispetto ad altri pur 
sotnmi pematori, il vero è e/te gl'intenti essenziali del suo pensiero non 
ebbe,-o in realtà vcrun m.utrmiento, essendosi esso costantemente rivolto 
alla rivendicazione critica dei s1tpremi ideali etici e gi11ridici, in tempi 
non certamente propizi a un tale programma ; onde tanto maggiore 
è il suo merito. A z,,; principalmente si deve l'impulso a un rinnova-
"'·"'to degli studi di Filosofia del diritto, clie si iniziò appunto coi suoi 
scr#ti pubblicati già negli ultimi anni del passato secolo (memorabile, 
in ispecie, il su.o saggio critico su La fase recentissima della Filosofia 
del dritto in Germania, che vide la luce nel r895, quand'egli era ap-
pena venticinquenne). Tra le opere successive, è particolarmente note-
vole il libro : Il diritto nel mondo dello spirito (I9Io), ove egli tentò 
di delineare, sia pme sotnmariamente, un proprio sistema, ricondu--
cendo il diritto alla sua genesi ideale, ossia cogliendolo nel momento 
in: cui esso germina dall'attività produttiva dello spirito. Rimase disgra-
ziatamente incotnpiuta un'altra opera di vasto disegno : Dall'atomo 
a Dio, della quale egli volle distruggere il manoscritto poco prima di 
Prefazione VII 
1110ri·re, per 11no scrupolo proprio degli spiriti eccelsi:, che confrontano 
il /a1'0t·o fatto con qitello ancora più gra.nde che avevano sognalo di fare . 
• • • 
I.e lezioni di Filosofia del diritto, che il Petrone tenne nell'Univer-
sità di Modena negli ann·i I897-I898, I898-I899 e I899-I900, furono 
raccolte in forma di dispense litografiche, ad uso degli slitdenti. Del 
prittlO corso non è indicato il nome del compilatore; il secondo (.1898-
r899) reca l'indicazione: "S"nti di A. F. Formiggini »; nel terzo 
(I·.~99-1900) e detto: "A cura di I.. Bellei e G. Bortolitcci ». Quest'"l-
timo corso, come gli stessi compilatori avvertirono, riproduce fo gran 
parie quello detl' anno precedente ; mentre parecchie pagine vi sono 
tra.scritte dal saggio, che il Petrone aveva pubblicato poco innanzi: 
" Contrib1<10 alt' analisi dei caratteri differenziali del dritto ». 
!? da tenersi per certo che tutti i detti testi, e in ispecie i due ultimi, 
furono, se non scritti, riveduti personalmente dall'autore, e possono 
considerarsi .<enz' altro come sua opera. Ciò ri.•iilta, oltre che dal suo 
inconfondibile stile, da ima nota di A. F. Formiggini (premessa al-
1' edizione dell'opiescolo: "L'eteronomia come momento del dovere»), 
nella quale egli ricorda di avere raccolto quel corso universitario del 
Petrone "colla quotidiana assistenza» dell'autore. Lo stesso Formig-
gini ci informa anche che di qiiel corso furono fatti «soli cinquanta 
esemplari» (in litografia) ; nè dissimile deve essere stata la tiratitra 
dtl corso precedente e del successivo. Il che spiega come i tre testi non 
abbiano avuto diffiisione alc,.na, fuori della ristrettissima cerchia degli 
studenti modenesi di quel tempo, e siano oggi pressochè irreperibili {I). 
Fatto il raffronto fra i tre testi, mi è sembrato senza d"bbio da pre-
ferire l'ultimo, come il più ampio ed elaborato; ed è questo, pertanto, 
che qui vede integralmente la litce. Ad esso ho creduto però opportuno 
(I) Non mi sarebbe stato for;.e possibile procacciarmi i predetti corsi, senza il 
benevolo aiuto di D. Silvio Petrone, Arciprete di Limosano, fratello di Igino. Alla 
sua memoria (~sendo egli frattanto defunto) mando un reverente saluto. 
V!U Pre/allione 
di far segufre la parte speciale (Filoso.tia_ particolare del diritto), che 
si trova nel primo testo, e non fu riprodiJlta negli altri due. Benchè 
questa parte sia stata, forse, formalmente meno curata, essa pure oUre 
un interesse abbastanza notevole, specialmente se si tenga presente che 
la sua composizione risale ad oltre mezzo secolo addietro . 
••• 
La pi<~blicazione di qtteste lezioni, fi>1ora non date alle stampe, 
costitttisce lo scopo essenziale del presente volnme. Nd q11ale hu vo/11/0 
tuttavia inclttdere alcuni altri scritti dello stesso Petrone, che, Pttr es-
sendo stati già editi, sono generalmente men noti e meno facilmente 
accessibili a chi """ possa o non voglia farne particolare ricerca. Se 
i limiti del presente volttme lo avessero consentito, la scelta avrebbe 
potttto estendersi ad altri saggi, non meno e forse ancor più importanti, 
del 1nedesimo insigne autore, come ad es. quelli compresi nel volume :
Problemi del mondo morale meditati da un idealista (edito dal San-
dron nel r905). Ma ognww intende le ragioni che mi hanno indotto 
a seguire il detto criterio ; essendo ovvio che il presente volttme non pttò 
nè t'>ole sostituire gli altri che ogni studioso ha già, per così dire, a 
portata di mano, m• solo offrire 1'n complemento di essi. 
Gli scritti inclt1si i11 q11esto volttme (oltre le lezioni) sono, per-
tanto, i seguenti : 
r) Un nuovo saggio sulla concezione materialistica della storia 
(in " Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie ", 
Roma, agosto r896). 
2) L'ideologia del Rosmini e quella degli altri (pubblicato, col 
titow : La sua ideologia e quella degli altri, nella Parte seconda 
dell'opera collettiva: " Per Antonio Rosmini nel primo centenario 
della sua nascita", Milano, Tip. ed. Cagliati, r897). 
3) Della Sociologia come scienza autonoma (in " Atti della 
R. Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli", Vol. 
XXXVI, r905). 
Prefazione IX 
4) La Sociologia e la sua elisione logica nella Filosofia dello 
spirito (ibid.). 
5) A proposito delle condizioni subiettive dell'imputazione pe-
nale (in "Atti della R. Accademia di Scienze morali e politiche di 
Napoli, Vol. XXXIX, 1909). 
6) L'inerzia della volontà e le energie profonde dello spirito 
( /Jiscorso per l'ina.ug·urazione dell'anno accademico r909-r9ro .del-
/' Università di Napoli, r909). 
7) L'eteronomia come momento del dovere (in «Atti del I II 
Congresso delht Società Filosofica Italiana», Modena, r910). 
* Ife * 
Chi conobbe personalmente il Petrone, conservò sempre vivo il ri-
cordo della wa nobile e giovanile figura (poichè egli 1<scì dalla giovi-
nezza solo per entrare nell'immortalità), del suo luminoso sorriso, del 
suo eloqi<io armonioso e vibrante di altissima spiritualità. Si comprende 
come egli dovette essere amato dai s"oi discepoli. I o non ebbi la fort..na 
di essere tra questi, anche per la non grande differenza di età che ci 
separava : già io avevo seguito il corso di Filosofia del diritto del prof. 
Vittorio Wautrain Cavagnari nell'Università di Genova (r896-r897), 
prima che il Petrone iniziasse il suo insegnamento in quella di Mo-
dena. E già in quel tempo lontano, e forse anche prima, si erano ve-
nule delineando nella mia mente, per solitaria meditazione e per lo 
studio dei classici, q"elle permasioni fondamentali intorno ai problemi 
della Filosofia del diritto, che, sebbene in contrasto colle opinioni al-
lora predominanti e talvolta anche con quelle dei miei piw tanto sti-
mati maestri (mi riferisco qui, oltre che al Wa,.train Cavagnari, al 
Vanni ed al Filom,.si Guelfi, come pure al Kohler e al Lasson), dove-
vano restare immutate nel corso successivo del mio pensiero. Nemmeno 
gli scritti del Petrone poterono esercitare, nel formarsi di q"elZe pers"a-
sioni, un infi1.esso determinante, avendo io preso ,conoscenza di essi 
solo più tardi. Ricordo però ancora la lieta emozione e il vero ent,.siasmo 
CENNI BIBLIOGRAFICI 
A) SCl<TTTI DI IGINO PETRONE 
lin clenc<• (incompleto) degli scritti di Igfoo Petrone fu pubblicato nell'Annuario 
dell'l:nivcri:;ità cli Napoli (1\, 1913-1914), insieme col necrologio di lui, dovuto a Fi-
lippo Masci. Vn altro elenco, più numeroso e assai utile, benchè non scevro di la-
cune ed inc~<i.ttezze, trova~i nel volume: L'omaggio della dottrina e della cultura ita-
liana ali" memori<i di Igino Petrone per l'ina1u:ura~ione del suo monumento in Limosano 
(XX I Ottobre 1917), edito a Campobasso, Tip. Colitti, J917, pag. I) e seg. Una com-
piuta ed l'.satta bibliogratia (chl'l dovrebbe comprendere anche non pochi scritti sparsi 
in varie riviste, comi"! "Il Hinnovamento n, "La Cultura», la u Rivista internazio-
nale dì !idenze sociali e di!;cipline ausiliarie D, la u Rivista italiana di Sociologia», 
ecc.) non fu ancora compilata. 
Qui si dà soltanto 1m elenco (debitamente integr"'to e corretto, in confronto a 
quelli µnbhlicatì finora) degli .acritti più not'cvoli: 
1. La Filosofia politica cantemporanea. App1mti critici (Trani, 1892; 24 ed., Roma, 
'9''1)· 
2. La teYra tiella odierna Econ&mia capitalistica. Studi di Sociologia economica (Roma, 
1893). 
3, I lati/ondi siciliani e la j>Yossima legge agraria (Roma, 1895 ; estr. dalla 4 Rivfata 
internazionale di scienze sociali e diEcipline ausiliarie», A. I1 I, aprile e mag-
gio 1895). 
4. La fase recentissima della Filosofia del dritto in Germania (Pisa, 18g5). 
5. La Filosofia dell'anarchia (in «Rivista internazionale di scienze sociali e disci-
pline ausiliarie», Roma, A. IV, aprile 1896). 
6. La Filosofia del diriUo al lume dell'idealismo critico (in. a Rassegna Nazionale li, 
Firen?.c, A. XVHl, 10 giugno 1896). 
7. Un nuovo saggio sulla concezione tnaterialistif;a della storia. (in «Rivista intema-
zionale di scienze sociali e discipline ausiliarie li, Roma. A. IV, agosto 1896). 
8. J l valore ed i limiti di una psieogenesi della morale (in r1 Hivista italiana di Fi· 
lcsofia », Roma, A. Xl, Voi. II, settembre-otlobre 1896). 
9. Le nuove forme dello scettieismo nwralc e del. materialismo giuridico (in «Rivista 
intern.J.Zionale di sci. nze sociali e discipline ausiliarie», Roma, A. IV, settembre-
ottobre 1896). 
10. La sua [di A. Rosmini] ideologia e quella degli altri (nell'op. collettiva: «Per 
Antonio Rosmini nel primo centenario delJa sua nasc.:ita »,Milano, 1897, P. II). 
XIV Cenni bibliografici 
u. Contvilmlo all'atU1.Usi dl:i carattU'i diUerenriali del dritto (in u Rivista italiana 
pet le aden:ze giuridiche 11, Voi, XXII -XXV, cd estr., Torino, 1897). 
l z. La storia m'itrna ed il P,-Qblema fWesente. della Filosofia del diritto (Modena, 189~}. 
13. J li•miti dol dtittrminismo s""ienHfko (Modena, 1900; za ed., Roma, 1003). 
14. F. Nìatzscl1e e L. 1'olstm. Idee morali del tempo (Napoli, 1901). 
15, La oisione della vita e l'a.rtc di Ma11sifno Gor'ti (Nopolì, 1903). 
r6. Lo Sttito til6Yca.ntile chit~., di G. Am. Fichte e la {'1'en;cssa teorica dcl com1111i~mo 
gittridico {Napoli, 1904-), 
17, Problefl~i dtJl mondo nrovaie meditati aa tm idealislo1 (Milano, 1905). (Ln questo 
volumo sono tw.'.CQlti akunì dr!"ì !$aggi di~11zi notnti, cd inoltre i seguenti: Il 
problitma della fflorale: Il val.ore della 1•ita ,· L'Efì.ùt tome filoso{i 11 llefl'm;fot1t1,, 
camt1 intuizione del mmtào; i due pruni già c.>.diti separatamente, l'ultimo inedito]. 
18. Della Soti.-Ologia Ct)nM ~c.-ienza aulonoma (Napoli, 1905). 
19. La SocWlogia e la ma eli.sian~ logica nella i--ilosofi•i dello spir'ilo (Na.poU, 190.'i). 
10. A p1oposilo delle condi;foni .subieUìtM dell'impula-ai<.s11B pt.lnale (Napoli, H>OO), 
21. /~'inerzia deUa oQlon.tà e le er1ergù1 profonde tlelto .spirito (Napoli, 1qo9). 
22. Il difit.J.-0 net mondo dell-0 spirito. Saggio (il<JSofico fMilrlllo, 1910). [Questo volume 
çomprende cinque memorie lett~ alla R A1..-cadcmia cli Scienze morali e poli~ 
tiche di Napoli ne.gli anni 1906-1909, col titolo complessivo : Il diritto nel sisttma 
della Filosofia dello .spirito]. 
13. L'eteronomia come ni.o111tJNUI @l dovero (in -<Atti del III Congresso della Società 
Filosofica. ltaliana 11, Modena, l910}. 
~4· li Sannio modsrno (Economia e psic-Ologia dcl Molise) (Toriuo, 1910). 
~5· A p,,oposUo de-lla gusrra 11oslra (Napoli, 1912). [Contiene le tre memorie seguenti, 
lette nel 19u allo. R. Accademia dì Scienze morali e polìtiche di Napoli : !11-
toJ'ffQ alla presunta ree-0gnìsione della souranità t'e/igiosa al CallUa ; Il dfrittc di 
grwra dei popoli di natura e gli alteggiamenti umanitarii del dir.Wo intcrnazionale : 
~ pictola morale della pac<t e la gr-ande morale dello guerra e dell'effusione del. 
sangue]. 
26, Dopo auer sf;nfito lsabeau, (JUUe.o del vakwe, del .significato e del potere espressivo 
del peusiet'o nell'arte musùale. Af>Punti dal e Diario di un f>rofano ». (Memoria 
letta. alla, R. Accademia
di Scienze morali e politiche di Napoli, iu a Atti 11, 
Voi. XLI!, Parte I, t913). 
{OPERE POSTUME). 
27. Bti&a (Milano, 1917). [Corso di lezioni tenute nell'Università. di Napoli nell'anno 
1905-1906, m(:(:O}te da Giuseppe Ferretti. e rivedute dallo stesso Petrone; pub-
blicato a c.ura e con introduzione di Guido Mancini]. 
z8. Asoetica (.Milano, 1917). [Corso di lezioni tenute nell'Universit.c-\ di Napoli nel~ 
1)anne 1908~1-909) rac<:0lte da Vincenzo Gargano ; pubblicato a cura di Guido 
Mancini]. 
Il libro: La fase ruentissima della Filosofia del dritto i·n Germania vide la luce 
anche in lingua spagnuola (La Ultima fase de la Fil.oso/la del DcreçJw en Al,mania, 
VersiOn espaiiola de C. De Reyna, Madrid, Ca.sa editorial Calleja, s_ a.}. 
Cenni bibliografici xv 
8) SCRUTI SU !GINO PETRONE 
Uell'cipcra del Perrono trattarono numerosi nutori, Noto qui alcuni deg)i scritti 
pìù sig'nificativi: 
1. F. FLORA, La tloltrina dello Stato e lrl Filosofia politica ce>ntemp()ranea (in c1 Gior-
nnle degli Economisti», fa.se. di settembre, ottobre e novembre 1893). 
:.. t\. TAGLIAFERRI, La Filosofia politica contemporanea (iu 11 Rassegna Nazionale 11, 
A. XVI, 16 !'!ettembre 1894, pag. 201-221). 
l· G. TAURO, I recenti inrliri:zi della Filosofia dt)t diritto in Gsrmania (in «Rivista 
ìtnlinna di Filosofia 11, A. XT, Voi. I, Fase. H, marzo-aprlle 1896). 
4. I. VANN1, La Filosofm del diriJlo in Germania e la ricerca positiva. Nota. critica 
(in,, Rivista italiana per le scienze giuridiche li, Voi, XXII, Fase. I, ottobre 1896). 
5. S. FJ{AGAPANP.:. Rit•ista analitica di La fase recentissima della Filo,-;ofia del dYitto 
in Dermania {in <! RivifJta scientifica del diritto», A. f, Fase. II, febbraio 1897, 
pag. 100-111). 
f•. A. FAOGI, Sui limiti del determinismo scienti/i&<> (in n Rivista di Filosofia, Peda-
J:{o?,ia e sdenze affini», A. JI, Voi. III, n. 5, novembre li)oo, pag. 374-387). 
B. CRoCK (in u La Critica u, A. i, Fase. I, gennaio 1903, pag. 73-75 ; A. III, 
Fa'lc. 11, marzo 1905, pag. 146-1.50; A. V, Fase. Il!, maggio 1907, pag. 225-229). 
B. G. Dm. VECCHIO, Il c<1munismo giuYidico del Fidite (in «Rivista italiana di So-
ciologia 11, A. IX, Fa!=!<'. 1, g:ennaio-febbraio 1905). 
9. A. RAV.\, fl socialismo di Pichte e te sue basi filosofico-gi"ridiche (Milano, 1907). 
io. A. B0Nvcc1, L'uniti/, politica (A propo.-;ito di un libro di lgfno Petrone) (in «La 
Cultura contemporanea J), A. II, n. u-12, 1-16 giugno 1910). 
A. PAGANO, Alcune conskierazi<mi sulle dottrine gnoseologiche (in r1 Rivista italiana 
di Sociologia», A. XIV, Fase. V-VI, settembre-dicembre 1910). 
u. A. TtLGUER, It diritto come prodotto dell'autocoscien.:a (Roma, Direzione del 
Commento, 1911). 
13. G. DE MoNTEMAYOR, Storia del di-ritto naturale (Milano, 19u), p<tg. 823-824, 
840-841. 
14. G. RENSJ, Neo-kantismo e neo-idealismo assoluto nella Filosofia del diritto (nel 
vol.: Il genio etico ed altyi saggi, Bari, rg:cz, pag, 295-314). 
15. R. FUSARI, Nuovi studt e nuovi orientamenti nella Filosofia del dU-itto (in « Ri-
vista di Filosofia neoscolastica li, A. IV, n. r, febbraio 1912), pag. xo6 .. ro8. 
:r6. E. DI CARLO, L'opera /Uosofico-gi!Ul'idica di Igino Petrone (in Saggi t:Yitici ài Ff,-
lo.-;ofia del diritto, Vol. I, Palermo, 1913), 
17. [A. GEMELLI], Igino Petrone (in «Rivista di Filosofia neo-scolastica», A. V, 
11. 4, agosto 1913, pag. 457-458). 
18. S. PANUNZIO, Igino Pt;trone (in« Rivista di Filosofia J), A. V, Fase, IV, settembre-
ottobre 1913). 
19. G. FERRF.T.rI, Igino Petrone (in "La 1'i uova Cultura "• A. I, Fase. XI, novembre 
I9IJ). 
zo. F. MASCI, Igino Petrone (in u Annuario dell'Università di Napoli», A. 1913-1914; 
e nel vol. : L'omaggio della dotlYina ecc-., cit. infra, pag. 1-9). 
XVI Cenni bib!;iografici 
'2r. P. RAGNtsco, Per Igino Petrone (in q Atti del H. Istituto Veneto di Scienze., 
I.ettere e~i Arti», 1'. LXXIII, P. li, 1914). 
22. V. MICELI, Printipii di Filosofia del dù'itfo (Milano, 1914), pag. 81q·85.?; id., 
211 edizione (Milano, 1928), pag. 751-754. 
'2J. G. MANCINI, Introtluzi<me all'E"tica del PBTRONR (edlz. postuma, Mib.no, ~- a. 
ma 1917, pag. Xl-XLII). 
24. L'omaggio della dottrina e della cultura italiana alla ttMmm·ia di. ff!i'flo Petrone 
per l'inaugurazione dcl suo monumento in U<nwsano (XXI oUobrr MCMXFII) 
{CampobaS!iO, 1917; con Prefazinne, Btbliogrc•fÌ<i e Nota di G. A. [GAI-:TANo 
AMOROSO]). 
25. G. 0-P. MOl'\1"EMAVOR, Su ~La fa.~t: Yeamtissima della Filosofi,-i dc.I dritto i11 G"r· 
mania 1• (ne-I voi.: L'oY1Ja{(f{Ù> della dottrina ecc., dt., pn.i:;. ,'iJ·h8). 
:Z<i. S. PA!ll'UN7.Io, Lo Stato giuYidicn rullacot1aaion.e di Igino Pèl,'(}1/e (nel voi. : l,'omag 
gio della dottrina e<;c,, dt,, pag. i0·91), 
27, G. SOLARI, Il prolilcnta filosò{ico del dìritto mll'ofuwa di Igino Petro,,e (i/Jid., 
pag. 112-150). 
28. M. nARll.l.ARI, Igino PetYone ti.ella t.•ila {! net pttisfrro {Discorso pl'onunzinto in 
Limosano il •Zf ottobre 1917, per l'inaugur.azinne del monumento di Igino Pc-
tr<1ne). (lbid., pag. 201-2.l5). 
~9. A. D'A~IATO, L'11. Ascetica i> di lgiuo Petrcme. CoH ""saggio iuetiito (Napoli, 1q19). 
[In Appendice il sa~gio del PitTRONR: La eausalità spirituale e l'autonomia mo-
rale dell'asiane nJci('roca iltlle ani-me 1m1atte]. 
30. S. Au .. oc-.mo, Il dii·itto nella conu .. "1oHil di lgfno PtlYone (nel voi: Le nuove teorie 
tlfll diritt-O, ~mano, 1925, pag. 111-123). 
31. E. BRu~ov, L'idea del diritto mlle nriOl'e correnti della Filosofia giuridim in Italia 
(Napoli, 1929), pag. 5r-54, 140-14:!'. 
3·2, F. OLGIATI, La rinascil:i dtl diritto naturale in Italia (Milano, rq30; estr. da 
ir [a Scuola Cattolica,), marzo-aprile 1930), pag. 23-:z5. 
33. G. AMOROSO, Tra i vit:urdi di un filosofo moli$ano. Igino Petrone e Giorgio Del 
Vecchio (in ~Il Giornale d'Italia.)> [edi2:. meridionali]. 17 marzo 193.z ; ristamp. 
in 11 La tribuna Il, id., 16 ottobre 1937). 
34. A. PoGG1, Idealismo metafisico e assiologico: lgfno Petrone (nel voi. : Il concetto 
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35. F. AQUIL.ANTI, Igino Petrone (in tt Rivista internazionale di Filosofia del diritto », 
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36. M. F. ScuccA, L 'id-ealismo crit-ico di Igino Petrone (in e: Logo:; o, A. XX, Fase. I, 
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37· .G. PERTICONE, 1'euria del diritto e dello Stato (Milano, 1937), pag. 92~b. 
38. G. M. FERRARI, Intorno all'ope:ra di Igino Petrone (Bologna, 1938). 
39. R. BA.TTU.:-o, Les dcclrin.es iuridiqiees cqntemporaine~ e-n Italie (Paris, 1939), 
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40. G. Al~LINEY, 1 pensatori della seconda metà del secolo XIX (Storia della .Fi!o· 
sofia italiana dirett4 da M. F. Sciacca, VoL 22, Milano, 1942), pag. 302.303. 
•P· G. ABBÀ, Il pensiero gfuf'·idico di Igino Petrone (Pinerolo, 1949). 
G. D. V. 
I. 
FILOSOFIA DEL DIRITTO 
I. - P.anoin:, Fiki!#J/ia del dj7itfo. 
PROEMIO 
Si presenta anzitutto il problema di legittimare l'essenza scientifica 
della filosofia del Diritto. Parrebbe contestabile che una disciplina debba 
porsi il problema della propria esistenza, ma è necessario per la nostra 
scienza. 
Le scienze etico-pratiche cercano di fissare le norme di condotta 
della vita sociale, fissando un tipo di idealità etica, cui deve avvicinarsi 
la vita dell'individuo e della società. Ora la nozione di quest'ordine mo-
rale è incompatibile con la intuizione materialistica del mondo oggi 
dominante. Di qui la crisi apertasi nel seno delle scienze morali: di qui 
appunto nasce e si acuisce il problema della legittimità delle scienze mo-
rali, e fra queste della filosofia del Diritto. 
La filosofia spiritualistica considera la natura secondo il principio 
delle cause finali, concepisce tutti gli enti dell'universo come sollecitati 
da un principio ideale e tendenti
e gravitanti verso una meta ideale, 
pone in tutte le cose una finalità, un ordine. Oltre all'uomo, essere i~ 
telligente e perfettibile, tale concezione accorda una finalità a tutti i 
fenomeni naturali, e le stesse forze inanimate ravvisa inconsciamente 
rette da un ordinamento immanente in esse, ma determinato e sorretto 
da wia potenza trasceridente ad esse, da una potema creatrice e .conser· 
vatrice. L'ordine morale è trasferito quasi nei fenomeni subumani, 
con intuizione antropomorfa della natura. 
Data cosiffatta intuizione del mondo non aveva ragione di sussistere 
il problema della legittimità delle scienze morali, le scienze materiali 
erano pur esse quasi morali, e la natura appariva nella forma di una 
idealità etica e di una forma estetica. 
A questa :filosofia spiritualistica si venne sostituendo una intuizione 
materialistica del mondo, rappresentata oggi dai prevalenti indirizzi del 
determinismo meccanico, i quali generano il convincimento che le scienze 
morali debbano avere per fondamento il metodo naturalistico. 
Per la filosofia spiritualistica tutte le cose tendono ad un fine ed in 
tal fine hanno la ragione sufficiente di essere : per la naturalistka i fe. 
nomeni si riducono ad una concatenazione di cause e d'effetti, per cui 
4 Igino Petrone 
-----· 
una data causa non può se non produrre ciecamente un effetto dato e 
nulla più di questo effetto. 
La filosofia spiritualistica è governata dal principio d>elle cause 
finali: la naturalistica dal principio delle cause efficienti. 
NelI1intuizione spiritualistica ogni essere tende verso un tennine ob-
biettivo desiderato, ha un ordine di fini ossia di mete ideali prcfiggibili 
a, priori; nel mondo meccanico invece non esistono che effetti, ossia 
risultati ciechi e matematici di determinate cause. 
L'ordine dell'universo traducesi quindi in un'equazione, i cui ter-
mini sono gìà dati : nessun nuovo fatto può intervenire, che non sia 
predisposto nella serie dci termini antecedenti. Le forze nuove. corri-
spondono a nuove forme, a trasformazioni di forze preesistenti; ogni 
fenomeno è effetto necessario di una pluralità di cause, le quali sono 
come i componenti di un'addizione, alla quale non si può aggiungere un 
tem1ine nuovo senza alterarla. Vi è quindi rigido rapporto di equiva-
lenza e omogeneità tta i diversi fenomeni dell'universo; non esistono 
fenomeni superiori e fenomeni inferiori; non esistono determinazioni 
superiori alle cause determinanti, conseguenti superiori agli antecedenti, 
effetti superiori alle cause. 
Se il fenomeno causa avesse estensione e contenuto -minore del fe-
nomeno effetto, una parte dì questo resterebbe senza causa, e ciò sarebbe 
contrario al principio delle cause efficienti. 
Secondo il determinismo il bene non ha più ragione del male nell'e. 
conomia dell'universo morale, come i poli non hanno più ragione dei 
tropici; ogni fatto avviene per determinate cause_ le quali non potevano 
produrre che quell'effetto: questo è legittimo e quindi è bene. 
E laddove la filosofia spiritualistica modella i fenomeni naturali 
sugli umani e traccia una progressione di fini, una legge superiore al 
fatto, la materialistica modella gli umani sui naturali, elimina ogni dif. 
ferenza tra il possibile e l'attuale, fra la potenza e l'atto, l'ideale ed 
il reale, e nega : 
r' l'obbiettività del bene nella natura; 
2° la facoltà nell'uomo di attuarlo. 
Una scuola edettica sostiene che. nel mondo naturale non vi è un 
ordine di bene, ma vi è nell'ordine umano: gli uomini hanno posto 
questo fine; e.osi che l'umanità è come un miracolo nella natura, un mi· 
sterioso potere produttivo di un'attività nuova, il bene. Tale dualisr;no 
abusato è contrario alla legge di continuità; non può esistere questo 
abisso fra la natura e l'uomo : il mondo naturale è come il simbolo 
Filosofia del diritto 5 
depotenziato e la immagine scarna del mondo umano; il suo preannun-
zio, la sua fase preparatorìa; si deve in esso trovare una traccia di bene. 
II determinismo nega la libertà perchè la volontà è presa nell'ingra-
naggio della necessità universale, ed agisce per cause predisposte. Esso 
esclude nell'uomo la possibilità dell'azione; inaridisce cioè le sorgenti 
della vita morale. 
Sostituita alle cause finali la teoria deterministica delle cause effi. 
cienti, è impossibile una 1norale ed un diritto propriamente detto, 
che sono forme in cui si spiega la lotta dello spirito contro la natura, 
e della libertà contro la necessità. La morale e il diritto sono non il 
domini<> delle cicche cause efficienti, ma delle cause efficienti dirette ed 
illuminate dalle cause finali. La morale e il diritto sono il dominio della 
finalità, della libertà, dell'azione, dell'ideale. 
Dato il determinismo universale, si potrà forse tessere la storia del-
l'umanità, non ]a sua scienza, ]a fisica dei costumi, non 1'r-tica. 
Poichè il determinismo meccanico governa oggi il mondo del saperct 
urge a noi dimostrare con. ragionamenti fondati suUa stessa scienza 
contemporanea, che Ja filosofia dd Diritto ha scientificamente ragione 
di essere. 
LE CAUSE FINALI NELLA NATURA E NELL'UOMO. 
IL BENE. LA LIBERTÀ 
La concezione deterministica del mondo insegna che le categorie 
del bene e del male hanno valore relativo a l'uomo, ossia le cose sono 
beni o mali non per se stesse, ma quando le si riferisconD al benessere 
soggettivo dell'uomo. L'uomo collocando sè a centro e misura dell'uni.. 
verso (concetto antropocentrico) apprezza arbitrariamente le cose, ri .. 
ferendole a se stesso e chiamandole beni perchè soddisfano il suo 
desiderio di felicità. In sè ed oggettivamente le cose sono quello che 
sono : non beni e non mali : sono, ecco tutto. Che se si vuole parlare di 
bene, si parli pure; resta sempre che il bene è categoria umana, e non 
estensibi1e al mondo de la natura; come è pertin~a e contingenza 
umana la finalità o il principio de le cause finali. 
Quello che è, è in quanto effetto di cause date, o conseguente neces-
sario di dati antecedenti: nulla più, nulla meno. 
Ma il bene, si risponde, è predisposto ne l'ordine de la natura e dei 
fini de l'universo. 
6 Igino Petrone 
Il principio di cause ed effetti che governa la concezione materiali. 
stica dcl mondo, è subordinato, non esclusivo. Il principio di causa è 
principio fondamentale, che rende intelligibile l'universo, ed è fonda. 
mento di ogni scienza: ma non il solo principio di causa e'fficiente, bensì 
ad un tempo, e coordinato ad esso, il principio de le cause finali. 
E il torto ùc la metafisica del matc1ialismo è di aver posto una con~ 
traddizione tra le cause finali e le cause efficienti. 
Esiste una concatenazione di cause ed effetti ed esiste pure il do.. 
minio della finalità. II mondo presenta due diversi aspetti secondo l'an~ 
gola visuale, sotto cui l'intelletto lo guarda: per un aspetto ogni cosa è 
risultato cieco cd inconsapevole dei suoi antecedenti : per l'altro ciò 
che pareva semplice effetto e risultato inconsapevole è effetto ideato, 
rappresentato, consaputo, voluto, cioè a dire, è fine. 
Onde il principio di causalità è duplice: visto prospettivamcnte è 
principio di .('ause cffidenti, visto retrospettivamente, è principio di 
cause finali. 
La relazione di causalità impera in ambo gli aspetti: come vi è lca 
game causale tra antecedenti e conseguente, così vi è legame causale 
tra mezzi e fine. Nel principio di causa efficic:nte, gli antecedenti (causa) 
approdano ad un conseguente (effetto) ; nel principio de le cause finali 
i mezzi raggiungono un dato fine. Se non che il fine ha questo di 
proprio che esso è, a.d un tempo, effetto e causa : effetto in quanto il 
suo raggiungimento è opera dei mezzi; causa in quanto i mezzi sono 
stati messi in opera appunto in vista di raggiungerlo. E quindi l'idea 
o la rappresentazione di esso ha preceduto i mezzi ed ha presieduto
a 
la loro scelta. Il fine è la causa finale dei mezzi : come i mezzi sono la 
causa efficiente del fine. 
La differenza fra i due principi di causalità consiste in questo, che 
il principio de le cause efficienti è inconsapevole processo di cause ed 
effetti; il principio de le cause finali è processo consapevole, cosciente. 
Il dualismo filosofico di certe forme de la filosofia spiritualistica scinde 
e separa queste due maniere di relazione causale, che considera come 
parallele e non come convergenti, ed applica, l'una a1 mondo fisico, 
l'altra al mondo morale, determinando un assoluto distacco tra l'uno e 
l'altro. Nel mondo fisko governerebbe il processo inconsapevole de le cause 
efficienti, nel mondo morale il processo visibilmente consapevole de le 
cause finali. Teoria che noi non accettiamo, pe.rchè, secondo essa, la fi~ 
nalità ed il bene sarebbero fenomeno puramente umano, non predisposto 
ne l'ordine de la natura, un hiatus o un miracolo. 
Filosofia del diritto 7 
J\1a più erroneo ancora è il materialismo scientifico, il quale invece 
di subordinare la causalità efficiente a la causa finale, subordina questa 
a- quella, o elide questa in quella, e per aver visto nel mondo de la 
natura un pdncipio inconsapevole di cause ed effetti, estende l'inconsa-
pevolezza de le cause effi.tienti anche al mondo morale. 
Certo, esaminato ne le sue forme visibili, il processo naturale è 
inanimato cd inconsapevole: esaminato più addentro ed in rapporto a 
le forze superiori, che lo governano e lo sorreggono, esso ci fa balenare 
dinanzi trac<:e discernibili di consapevolezza, di animazione, di finalità. 
Anche la nostra filosofia è monistica, in un certo senso, ma il nostro 
monismo non è quello del materialismo, bensì il contrario. Il materia-
lismo scientifico spiega le forme superiori con le forme inferiori, e ri. 
duce tutto al meccanismo: il nostro monismo idealistico spiega le forme 
inferiori con l'aiuto de le fanne superiori, di cui quelle sono l'abbozzo, 
il rudimento. 
Accettando il monismo idealistico in ordine deJla natura, noi vo. 
gliamo trovare nel bene la forma più progredita di un principio di fi-
nalità, che è nel mondo naturale stesso, quasi preannunzio del mondo 
morale. 
Il principio agente e conservatore de l'universo, che si manifesta 
ne l'uomo1 ne le forme di un'attività cosciente ed operante per dati 
fini, ne le forme inferiori opera per via di una necessitazione inconsa. 
pevole : non che esso sia inconsapevole de la sua azione, ma ne sono in. 
consapevoli gli enti .agiti, ossia la sua azione è incorporata in tal guisa 
ne gli enti naturali, che agisce su di essi, senza che quest'azione sia ad 
essi presente, sia da essi sentita o si origini dal loro stato interiore. II 
principio fondamentale del mondo fisico è l'inerzia dei corpi, ossia l'as.. 
senza del movimento assoluto, centrale, spontaneo. Le masse infini· 
tesime, come le masse finìte non agiscono per forza interiore, nè danno 
una sollecitazione intrinseca al movimento, ma la ricevono dal di fuori 
(vis impressa a tergo. Newton). La molecola materiale nbn rappresenta 
nulla -che si muova di per se stessa, perchè è inerte; opera bensì sovra 
altre molecole per le leggi de l'attrazione e de l'affi41ità, ma non in se 
stessa o sovra se stessa; nessun corpo ha un'attività che agisca su 
se stesso e solo può agire su altri corpi. Il movimento non è assoluto 
ma relativo, nè iniziale ma derivato ed impresso, perchè è tutto un reci. 
proco movimento correlativo de le molecole materiali, nessuna in sè, 
e tutte verso le altre. L'attività è correlativa e transeunte, non assoluta 
ed immanente. 
8 Igino Petrone 
Ciascun ente naturale è la mediazione passiva ed inerte di una forma 
di attività, di cui non è pa1tecipe, nè cosciente. La consapevolezza è 
proprietà del principio agente de la natura che opera in essi, non dei 
corpi da quello agiti. 
I corpi materiali sono mediazioni e simboli di un'attività consapevole 
che opera su di essi, che li governa e li mantiene. 
Ora il materialismo scientifico esagera ìl processo cieco ed inconsa .. 
pevole de le cause efficienti de la natura, perchè guarda precisamente 
le apparenze visibili ed immediate, guarda l'inerzia dei corpi, e non si 
solleva all'altezza de l'esame più profondo del principio agente de la 
natura, che ne gli clementi inconsapevoli de la natura opera consape. 
volmente, e secondo la ragione del fine. 
li mondo fisico non deve essere studiato solo ne le sue apparenze 
immediate, ma ne le sue ragioni remote. Inconsapevole e cieco a prima 
vista, esso si porge come un processo mediatamente consapevole, quando 
lo si riferisca al principio agente e conservatore de la natura, che lo 
crea, lo sorregge e lo indirizza a le finalità de l'universo. 
I fenomeni fisici hanno una significazione superiore alla loro appa-
renza; essi sono effetti di cause la cui gestazione primitiva si sottrae a 
l'osservazione ed a l'esperienza immediata : se però il limite iniziale 
de le cose sensibili è di là de la nostra esperienza, non vuol dire che 
non esista, e la filosofia non possa individuarlo e caratterizzarlo per via 
di una intuizione razionale. A norma di questa intuizione le cause effi. 
denti de la natura appaiono come subordinazioni e mediazioni de le 
cause finali, ossia dei fini consap1Jti e voluti dal principio attivo de l'u-
niverso. 
Salendo ne la scala degli esseri, nel mondo biologico, psicologico, 
sociale, l'azione del principio agente de la natura si avvia progressiva· 
mente verso l'autonomia e la consapevolezza degli esseri. Non solo esso 
opera consapevolmente, ma consapevoli de la sua azione e presenti ad 
esso, sono anche gli esseri sui quali opera. Non si tratta più di corpi 
inerti, ma di esseri viventi, individui, persone; esseri animati, coscienti, 
i quali sono dotati di un'attività non soltanto transeunte come le mole-
cole materiali, ma imm:i.nente in se stessa, un'attività presente a sè mede· 
sima, e che muove l'essere da cui procede: si ha insomma la coopera-
zione progressiva degli esseri agiti" col principio agente de la natura. 
Gli esseri si muovono spontaneamente, il movimento è assoluto e 
fluente ab inti<s, il principio agente è quasi spezzettato· e rifratto in tanti 
Filosofia del diritto 
esseri che sono agenti a se stessi. S'intende che questo processo di ap-. 
prossìmazione e di cooperazione degli esseri al princlpio agente de la 
uatura, è graduale e progressivo. 
Così ne le forme vegetaJi, l'autonomia de l'individuo, ossia de la 
pianta, è limitatissima di fronte a l'azione del principio agente de la 
natura: meno limitata e maggiore è l'autonomia dc l'animale, il quale 
ne ]a percezione ed emozione sensitiva e ne la sollecitazione interna 
de l'istinto ha una potenza interna direttrice, benchè sempre necessi-
tata dal principio agente dc la natura. E l'istinto non è che l'azione di 
questo principio nel mondo animale, non ne è che il simbolo de la limi-
tata consapevolezza. 
Massima e veramente adeguata l'autonomia è ne l'uomo, il quale è 
fornito di consapevolezza razionale e di poteri spirituali, con cui può 
sottrarsi a le sollecitazioni e a le neict:ssitazioni de l'istinto, e tracciare a 
sè fini ideali da raggiungere. 
Non si dee mai perdere la nozione di questo processo di ascensione 
graduale e progressiva de le forme e degli esseri, che è ad un tempo 
rigoroso processo di continuità cd evoluzione ideale. Se si pone l'incon-
sapevolezza cieca da un lato e la prima consapevolezza da l'altro, e si 
esaminino solo questi due termini estremi, si scava un abisso, evidente-
mente, tra i due mondi: fisico e morale: separazione assoluta, che di-
pende da un errore di percezione. 
La consapevolezza esiste anche nel mondo naturale, meccanico; solo 
che ivi essa è proprietà non degli enti agiti, ossia dei corpi, ma solo 
del principio agente; dove che nel mondo psichico
anche l'ente agito 
è consapevole e agente. 
Onde il processo visibile dc l'inconsapevolezza naturale è apparente, 
ed è simbolo di consapevolezza reale, cioè de la consapevolezza del prin· 
cipio agente de l'universo. 
In tal guisa il principio de le cause efficienti, che è la formula del 
processo visibilmente inconsapevole de le forze e de i movimenti de la 
natura materiale, ci appare come un principio derivato e subordinato ad 
un principio superiore, ci appare come un simbolo inadeguato, o un }i. 
mite di approssimazione di una forza e di un potere invisibile, che con-
sapevolmente opera a traverso l'inerzia e l'inconsapevolezza de le forma-
zioni materiali. 
Posto quindi che il processo de la natura sia soltanto in apparenza 
inconsapevole, si potrà anche ad esso estendere il principio de le cause 
IO Igino Petrone 
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finali, senza turbare quello de le cause efficienti e ravvisare anche in 
esso, e ne l'attività transeunte e correlativa che vi domina e ne l'ordine 
che vi regna sovrano, come il preannunzio di quella perfezione o di quella 
attività che chiamasi bene. Invero quest'intreccio di attività e quest'ordine, 
posto in relazione con una mente atta a comprenderlo ed apprezzarlo, e 
con un sentimento atto ad amarlo, acquista la qualità e la proprietà di 
bene. 
Se non che nel mondo dc la natura gli esseri sono modi e termini 
inattivi ed inconsapevoli, a traverso i quali opera la forza, ed il bene 
ed un giudizio di pregio che fa una mente esteriore agli esseri stessi, 
non una perfezione interna da essi sentita e voluta. 
Nel mondo de la vita e più ancora nel mondo de lo spirito cresce 
inve<:::e l'autonomia e la consapevofozza1 e si ha, progressivamente, il do. 
1n:inio de la finalità immanente é del bene immanente. Ivi la causalità 
esteriore non opera più come tale, ma in quanto è rappresentata e 11"10-
dificata dal soggetto senziente, cosciente e volente. Il soggetto è un 
quakhecosa che è attivo, che reagisce al mondo esteriore e dirige la 
propria attività verso fini e mete da raggiungere. I vi il soggetto pos-
siede i sentimenti del piacere e del dolore, l'uno che lo sollecita al bene, 
l'altro che lo allontana dal male. lvi il soggetto ha la percezione e l'appe-
tito e la volizione del bene. lvi il bene è una perfezione sentita e voluta 
da lo stesso soggetto. E la percezione stessa, e la volizione del bene 
è progressiva e tende ad un'approssimazione verso l'ideale quanto più 
si sale ne la serie de J1animalità. 
Nel mondo animale strettamente detto impeTa sovrano l'istinto, 
che, benchè sia una perfezione ed un'autonomia in confronto all'iner-
zia de la causalità meccanica, è tuttavia una imperfezione o una forma 
inferiore di attività di fronte ai poteri spirituali de l'uomo. 
L'istinto invero importa sempre. una necessitazione, per quanto in. 
terna, ad agire, e rappresenta quindi come un residuo de l'inconsape. 
volezza cieca e fatale che domina ne le forme inferiori del reale. Ne 
l'istinto più che l'autonomia de l'animale opera il prindpio agente de 
la natura. Ne l'uomo invece si afferma il principio razionale e volitivo, 
che è superiore al principio sensitivo, istintivo : si afferma quindi un'au-
tonomia più alta e più prossima a l'attività creatrice e direttrice del prin • 
.cipfo agente de la natura. L'uomo è la sintesi di ciò di cui la natura è 
l'analisi; è un mkrocosmo nel quale sono ricapitolate, fuse, unificate e 
superate 1e forme inferiori e intermedie de la vita naturale, a le quali si 
Filosofia del di7itto II 
~~~~- -~~~~~~~~~~-
sovrappone, domrinandò]e, un principio superiore di razionalità e di li· 
bcrtà. 
La causalità psichica umana è diversa da la meccanica; in questa 
l'oggetto è passivo a l'azione fatale dc la causa; in queUa al contrario 
l'azione dc le cause esteriori è subordinata all'anteriore rappresenta-
zione deJie cause stesse. ~ Causa fìnalis agit secundum suum esse 
cognitum. -
Le cause esterne operano su l'uomo per l'intermediario delle idee, 
che hanno valore più autonomo de l'istinto: ]'uomo può modificare l'ef-
ficienza dc le cause stesse, cd è la sua rappresentazione del potere ef-
ficiente dc le cause stesse che le rende efficaci. 
La intui;done materialistica del mondo, che nega le cause finali e 
l'obbiettività dcl hcne ne l'universo, fallisce a la scienza. Esiste il fine 
in quanto ciò che appare come risultato de l'azione è causa de l'azione, 
e l'azione operativa efficiente è condizionata a la rappresentazione an-
teriore dc le cause stesse, come fini e motivi de l'azione. 
IJ bene esiste ne la natura come ordine inconsaputo agli esseri che 
ne sono l'istrumento e consaputo solo a la mente del principio agente, 
e a lo spirito contemplativo dc l'uomo. La natura è il recipiente di que-
st'ordine e lo strumento incosciente del bene e de la perfezione, della 
quale segna solo una scarna imagine ed un simbolo smorto. 
Procedendo oltre ne la serie de le forme de l'essere più manifesta 
appare quest'obbiettività: si attenua e si elide il principio de le cause 
efficienti, e ne l'uomo l'autonomia si solleva fino a la razionalità cd 
ai motivi ideali: appai-e e si affe1ma la libertà, capace di superare 
l'istinto. 
E la libertà resta dimostrata da l'interno dualismo esistente ne l'or-
ganismo umano. L'uomo il quale coopera al principio agente de la na-
tura si eleva grazie a la ragione ed alla volontà su le necessitazicni fa.. 
tali de l'istinto, superando e dominando i bisogni e gli impulsi organici, 
dei quali tanta parte del suo essere è passiva, come membro de la serie 
animale. 
E grazie ai poteri superiori de lo spirito, l'uomo si propone fini e 
mete ideali da raggiungere, si propone motivi ideali, oltrepassa i biso-
gni e gli impulsi de l'attualità, preoccupa il futuro, sottopone le sue 
azioni ad una norma, ad un tipo etico ed estetico di virtù e di dovere. 
Ed è appunto dal dualismo tra le tendenze a le forme istintive de 
la vita organica e le tendenze a le forme ideali e razionali chè nasce la, 
libertà morale, ossia l'educazione de lo spirito nello eleggere tra le ne· 
12 Igino Petrone 
cessitazioni organiche <le l'istinto, de l'impulso o de) piacere ed i mo .. 
tivi i<lcali e razionali: la scelta dcl volere tra le due direzioni divergenti 
ed incommensurabili de l'impulso e de la riflessione, dc l'istinto e de 
]a ragione, dcl piacere e dd dovere, de la fclìcità e dc la virt\t, de la vi~ 
lenza e de la giustizia. 
L'istinto è impeccabil-."'. e in.fallibile perchè è nrccssitazionc ad agire: 
k forme de la vita animale coincidono con i fini dc la vita stessa. Men~ 
tre l'uomo per il dualismo tra le forme istintive e le fanne ideali ha fa., 
coltà di eleggere, e, purtroppo, quindi anche di deviare, e può volgersi 
a )'ottenimento di quanto è sollecitazione de l'impulso istintivo. o a} 
raggiungimento del fine ideale che siasi prefisso. Senza possibilità di 
deviare dal bene non esisterebbe facoltà di eleggerlo e quindi di rag-
giungerlo, ne la stessa maniera che nel mondo meccanico non esiste la 
mo1te pcrchè manca la vita. Della libertà può ripetersi quello che disse 
il Pasteur de la vita: la vìta è una funzione de la dissimetria universa-
le, ed è per questa sua natura a-simmetrica che essa segna un progresso 
ed una perfezione ascensiva ne la serie de le forme de l'essere: invero 
la posizione simmetrica è caratteristica de le forme inferiori. La dissi-
metria supera l'uniformità e l'equivalenza del meccanismo: al principio 
di uniformità si sovrappone un secondo dualismo: al principio di at-
tualità si sovrappone il conato di una idealità non ancora raggiunta, 
Ja cui consecuzione rappresenta uno sforzo, una pena. 
Ogni spontaneità è fenomeno dissinunetrico, e la più alta funzione 
de la dissimmetria de l'universo è la libertà. 
La concezione materialistica pone l'atto come risultato di componenti
dati, secondo la imperiosa, fatalistica ragione del numero, quasi addi-
zione di altri atti. Per tale concezione il supporre la libertà sarebbe come 
supporre che il totale non corrisponda a la somma degli addendi. E 
poichè ne l'addizione havvi ragione di necessità, <:osì la volontà de 
l'uomo è determinata e necessitata da speciali antecedenti organici e 
fisiologici: nè può quindi esistere libertà. Errore che deriva dal voler 
applicare il determinismo logico.matematico ad un mondo incongruo 
a la ragione del numero. 
Studiando la serie progressiva de le forme de l'essere troviamo, 
adunque, un dualismo tra il principio senziente e il principio razionale: 
dtta.Jismo non esistente ne la serie animale. L'animale non è libero perchè 
sollecitato da un impulso soggettivo, necessitante, ma è superiore al 
. meccanismo perchè non passivo di cause esteriori : è simmetrico rispetto 
a l'uomo al quale è inferiore, dissimmetrico di fronte a 1e forme mec-
Filosofia del diritto 13 
canichc aJle quali è superiore, concorde a se stesso cd unilineare per-
chè esclusivamente governato da l'impulso istintivo. 
Il volere, invece, ne l'uomo è bilaterale e polincare, esso oscilla tra 
due poli, tra due direzioni, ossia tra due serie di beni incommensura. 
bili: la direzione del piacere e dc l'impulso organico, la direzione del 
motivo razionale e dcl dovere. 
La polarit~ interna psichica tra l'istinto e la razionalità si riflette ne 
la polarità esterna dei beni o dc le due serie incommensurabili di be~ 
ni, che sono: 
a) i beni soggettivi, rappresentati dagli impulsi organici. 
B) i beni oggettivi, rispondenti a tutte le fo11ne più elevate de l'in-
telligenza. 
Mancando tale dualismo, l'uomo sarebbe uno in se stesso, simme-
trico, unilincarc, geometrico, non libero; la sua azion,e sarebbe inco-
sciente e fatale : gli mancherebbe la riflessione de le proprie azioni. 
Finchè havvi unicità ed univocità di stati di coscienza, finchè una 
funzione psichica è unica, non può cs!ìervi, a rigore, coscienza. 
Il feno1ncno di riflessione cosciente nasce come fenomeno di rela. 
tività, di disintegrazione e di contrasto. Quando le cause esterne non 
perturbino la continuità dinamica del sentimento fondamentale interno, 
ma le si coadattino, si ha uno stato incosciente, mancando un perturba. 
mento, una, quasi, lacerazione de lo stato interiore. 
La coscienza è il risultato di una discriminazione, di un disquili· 
brio de lo stato psichico. Noi diveniamo coscienti allorchè un qualche 
cosa cli nuovo, sovrapponendosi! a la nostra psiche, a quel sentimento 
fondamentale continuo, che esiste in noi, turba l'equilibrio spontaneo 
preesistente, e profonda è la filosofia pessimista, che riconosce una con-
nessione ne~essaria tra la consapevolezza e il dolore, la pena. 
Il libero arbitrio è il risultato di questa legge positiva ed immanente 
<le la polarità psichica. Ogni direzione volitiva comporta una dire. 
zione antagonista, nel quale antagonismo appunto riposa e si afferma il 
potere di scelta de la volontà. Senza tale polarità l'uomo sarebbe tra. 
scinato da l'istinto, le cause esterne non opererebbero come motivi plu-
rimi, ma con1e unico, univoco, necessitante impulso: la facoltà de la 
scelta involge il dualismo de l'uonio razionale e de l'uomo istintivo. 
Essa, però, è l'uomo divenuto cosciente de l'istinto, e capace di do-
minarlo. 
Questa libertà non è un potere continuo de la psiche, ma un discon-
Igino Petrone 
tinuo che tramezza due estremi, due necessità; la necessità inferiore 
de l'istinto, con.tm la quale la libertà dee lottare diuturnamente : la ne-
cessità superiore de l'abitudine, creata da lo stesso esercizio ripetuto 
de Ja volontà. La continuata ripetizione de le stesse azioni produce un 
automatismo psicologico, e l'uomo ne l'automatismo non è pili libero. 
La libertà de l'uomo è così compresa tra la subcoscienza dc l'istinto 
e l'incoscienza de l'abitudine. 
Quando la virtù o la direzione dc le virtù diventa abito automa~ 
tico, Ja libertà si elide, perchè oltrepassa se stessa : si ha la santità. 
Dio non può fare il male, per un verso è sovranamente libero, per un 
altro necessitato. L'abito automatico de la virti1 o la necessitazione 
psicclogiea del dovere è un'approssimazione a Dio. Quando invece 
la ricerca del piacere diventa un abito automatico necessitante, la libertà 
si annulla non per eccesso, ma per difetto. I~ il caso comune dc la con-
dotta umana. · 
Il determinismo de le male azioni iniziali necessita le male azioni 
consecutive. La libertà e la responsabilità in questo caso si trasportano 
alle azioni iniziali. Non vale allegare l'abito a propria discolpa: biso-
gnava non fare che si generasse e diventasse irresistibile. 
E il merito de l'uomo consiste nel porre il principio di una resistenza 
a l'attuazione istintiva, merito che cresce in ragione inversa de l'abi-
tudine. 
Il Rosmini aveva edificato su fondamenta saldissime il principio de 
)a Jibeità morale, conscio dei contrasti simultanei e alternativi de la 
coscienza, tra le due serie inconunensurabili di beni, i beni soggettivi 
e i beni oggettivi. Se fine de l'uomo foss.e il raggiungimento del bene 
soggettivo, l'algida regola del numero governerebbe l'azione, nè l'uomo 
potrebbe essere libero di attuare la pienezza del bene, perchè, esistendo 
il solo ordine dei beni subbiettivi, l'appetito subirebbe l'influenza del 
bene più attraente, essendo che tra i beni sensibili e commensurabili, 
il mobile, l'impulso più forte (e dico pensatamente il mobile, l'impulso 
e non il motivo) soggiogherebbe l'istinto. 
Se non che, presentandosi a l'uomo per Io sviluppo superiore de le 
sue facoltà, la serie dei beni obbiettivi, sottentra il principio de la non 
equivalenza e de l'incommensurabilità: ossia non può dirsi che i1 bene 
soggettivo prevalga su l'oggettivo, ovvero l'oggettivo sul soggettivo per 
una necessitazione organica, ossia perchè l'uno sia più forte de l'altro, 
perchè le due serie comportano comparazione o misura di piìt o di me-
Filosofia del diritto 15 
no, essendo separate da una distanza infinita: perchè le due serie sono 
in una evidente disequazione, in quanto può esistere commensurabilità 
tra i termini interni di ciascuna serie, in fra loro, ma non reciprocamente 
tra il termine dì una serie e il termine de l'altra, ossia tra serie e serie. 
N è il bene obbiettivo può van.tare potenza sì assoluta da togliere la 
libertà. Qualora il bene obbiettivo annullasse le sollecitazioni de l'istin-
to. non esisterebbe più ragione a dissimmetria, ed eliminerebbesi quella 
polarizzazione psichica, quelJ'interno dualismo necessario a che si dia 
la libertà dcl volere. 
La libertà sarebbe elisa ne la necessitazione del bene e della virtù. 
Ma ciò non accade (sarei per dire pur troppo) e non può accadere. 
Certo la luminosa chiarezza e visione del bene ideale, dovrebbe sog~ 
giogare le torbide sollecitazioni del piacere, e trionfarne assolutamente 
elidendole: ma quella luminosa ma fredda chiarezza è incommensura-
bile con le calde potenze affettive ed emozionali, che essa può vincere 
a via di cruciali esperienze, non debellare. Il bene oggettivo non ha 
potestà assoluta, ma di approssimazione: non ne siamo posseduti, ma 
· solo possiamo possederlo con una laboriosa esperimcntazione ed educa-
zione de lo spirito. 
La libe11à quindi non esiste che come fenomeno di contrasto di co-
scienza, e risulta da una doppia polarità: interna (istinto-ragione), 
esterna (beni soggettivi-beni oggettivi). 
E perchè la possibilità di elezione di un bene possa esistere, è ne-
cessaria la presenza a 1o spirito di queste due serie; determinasi in taJ 
modo non più un fenomeno di simmetria, di equivalenza, ma un feno.. 
meno di dissimmetria e di plusvalenza. 
Il determinismo logico-matematico, che ammette la reciprocità asso-
luta tra la sintesi e l'analisi, concepisce
l'atto umano come somma di 
addendi meccanici, fisiologici e psicologici, e nega a la libertà ogni pos-
sibile intervento in questa serie, poichè turberebbe l'esattezza matema-
tica del risultato. 
La legge matematica, applicabile là dove esiste simmetria, fallisce 
in riguardo a le funzioni psichiche, in cui governa un principio di plus-
valenza e di dissimmetria. 
L'atto volitivo non è una somma quantitativa di unità lineari1 sltrune-
ttiche, ma un sistema di forze o di dati, in cui, accanto ad unità ed ele. 
menti equivalenti e numericamente omogenei e similari, intervengono 
motivi ideali e spirituali, incommensurabili a quelle unità ed a quegli 
16 Igino Petrone 
elementi1 e la plusvalenza di questi motivi può scemare la somma de 
gl'impttl?i rnateriali. Si avrà così w1a forma d'ordine finale, risultante 
d'una serie di dissimmetrie, dissimmetrie che nascono da la disequiva .. 
lenza tra i motivi materiali ed i motivi ideali, e le quali, se sono disor .. 
<lini matematici, sono ordini in riguardo al modo di operare de lo 
spirito. 
Il positivismo ha reso in fondo un gran servigio a la libertà, illu-
strando il potere d'inibiziom~; inibizione costituita da la vittoria de la 
coscienza su la ìmpulsività istintiva. 
Vero è che questo principio de l'inibizione può essere circoscritto da 
speciali condizioni psicologiche e psicopatiche, ma la presenza del po.. 
tere inibitorio ne l'uomo medio è dimostrata. 
Ora, negando la presenza di questo potere si dimina ogni separa. 
zione tra il fanciullo e l'adulto, il mentecatto e il saggio, tra la man. 
canza de la razionalità e la presenza de la riflessione. 
Fu sostenuto ancora che l'armnettere il libero arbitrio equivalga a 
distruggere la legge inconfutabile de la conservazione de l'energia, che 
è il fondamento de l'edificio scientifico del nostro secolo. 
La conservazione de l'energia importa infatti che la quantità di 
energia potenziale ed attuale dc l'universo sia un'invariante, ed esclude 
quindi l'intervento del libero arbitrio, come quello che creerebbe una 
forza nuova, e verrebbe quindi a perturbare la costanza quantitativa 
de la forza preesistente. 
Questo principio non è attuabile contro la libertà, perchè rappresenta 
una legge del meccanismo e perchè i fenomeni fisici non sono parago. 
nabili ai fenomeni del pensiero, il qual pensiero non è una forza fisica. 
D'altra parte gli stessi fisici hanno già contestato questo principio, che 
ha indole più presto metempirica che· realistica e scientifica. 
Noi crediamo quindi che ne la serie de le forme de l'essere vi ha 
non conservazione ma sovra ppoSizione ed accrescimento ; nè crediamo 
si possa ridurre il processo de le variazioni e de i cangiamenti superiori 
de la vita universale a l'invariante de la forza fisica. 
Noi abbiamo così dimostrato come esistano consequenti superiori agli 
antecedenti, determinazioni superiori a le cause detertninanti, processo 
di sintesi creatrice, quanto più si progredisce ne la gerarchia de le 
forme. 
Filosofia dcl diritto ~7 
IL BENE UMANO. - LA MORALE. 
Nel mondo umano trovasi la vera e completa effettuazione della 
nozione dcl bene, nozione ~he la filosofia idealistica estende al mondo 
della natura, rapportando i fenomeni naturali al principio agente del-
l'universo. Ed il bene umano è un rapporto tra la volontà ed il suo fine 
o la sua destinazione ideale : una equazione tra le tendenze umane e lo 
sviluppo reale di queste tendenze: in breve la relazione di convenienza 
tra l'essere -- uomo - e la sua destinazione finale. 
Ogni essere ha un termine adeguato verso cui tende e che forma 
come il punto di riposo e d'arrivo dc11a sua attività in movimento: la 
equa7.ione dell'essere verso il suo fine è il bene dell'essere. 
Posto che il bene sia un rapporto di congruenza tra le potenze natu-
rali umane e il loro fine, noi desumiamo la nozione del bene umano 
dall'analisi positiva, psicologica di quello che sono le potenze della na. 
tura umana : il che porta ad investigare quale sia la meta, il termine 
ed il fine a cui mirano ed in cui si appagano le umane facoltà e potenze. 
Se noi studiamo l'umanità in ciò ch'ella è specificamente e differen-
ziatamente, troviamo che i sostegni, dal punto di vista psicologico, del· 
l'umanità stessa sono la ragione (potenza teoretica), e la volontà (po-
tenza pratica) : noi troveremo quindi che il fine dell'uomo si riconduce 
ai termini teoretici e pratici cui tendono la ragione e la volontà. 
Come la relazione del vero consiste nel1a proporzione esatta tra la 
ragione e la obbiettività e realtà del mondo esteriore, così il bene con-
siste nel rapporto di convenienza, di proporzione tra la volontà e la 
obbiettiva desiderabilità e l'obbiettivo merito e valore delle cose. 
L'uomo che è l'essere più individuale e più individuato della na-
tura, possiede nelle sue potenze spirituali un principio di universalità 
e di generalità ideale, per cui l'attività sua, non che consumarsi in se 
stessa, è sollecitata a porsi in relazione .con tutti i fenomeni dell'universo. 
La ragione dell'uomo è la sintesi ideale, lo specchio, il sistema intel-
lettivo delle cose, la coscienza o l'eco inconsapevole dell'universo. 
Accanto e sopra ai sensi particolari, cia~o dei quali percepisce una 
sola qualità degli oggetti, e che tutti insieme avviano alla percezione degli 
oggetti particolari sensibili ed estesi, vi è una potenza razionale che 
intuisce e conosce l'essere in universale, e percepisce i rapporti ideali 
e soprasensibili. Ora quello che si dice della ragione può dirsi della 
volontà, la quale è dal punto di vista pratico, quello che è la ragione 
-:!. - PnRONE, Filosofia 4d ditillQ, 
r8 Igino Petrone 
ùal punto di vista teoretico. La volontà non esaurisce il suo infinito potere 
nel desiderio dci beni particolari e soggettivi, ma mira all'universalità 
del bene, al bene in universale. Può lo spirito umano conoscere e conse-
guire beni particolari e finiti, ma non può appagarsi del conseguimento di 
questo o quel bene particolare, nella cui percezione ed appetizione non si 
esauriscono. la potenzialità e il desiderio della ragione e della volontà, 
poichè, lungi dal fermarsi ad un bene particolare, Ic potenze umane 
riconducono tutti questi beni ad un bene infinito, supremo, ad un b~ne 
universale, di cui i beni particolari contengono sol poca parte: consi-
derano, per dirla con frase di Spinoza, i beni ,mb ,çpecie al!f<'rnitatis. 
E la volontà nell'appetizione del bene, consegue il tenninc cui è 
potenziata, quando non è vincolata dalle emozioni sensitive, ma quando 
rispetta la gradazione dei beni, e congruamente ad essa si comporta; 
quando tende verso il bene superiore con maggior vivacità che verso 
l'inferiore, e rispecchia fedelmente nelle appetizioni e determinazioni 
sue la gradazione dei valori degli esseri: poìchè havvi una serie pro-
gressiva di valori nelle forme dell'esistenza. universale e vi ha diffe. 
renza infinita tra beni soggettivi e bene oggettivo, beni particolari, e 
bene in t1niversale. 
Come nell'ordine della conoscenza vi è un progresso da essere par-
ticolare ad essere universale, così anche nel mondo della volontà e 
dell'azione si procede dai beni particolari di valore relativo, al bene 
universale, che è il cardine dei beni particolari, i quali ne sono abbozzi, 
imagini, rudimenti. 
La volontà ama i beni particolari in funzione del bene universale~ 
perchè questa partecipazione del bene in universale è quella che forma 
come l'anima dei beni particolari. Il vero imperativo etico, desunto da 
un'analisi positiva della psicologia e dell'antropologia, è questo : ama gli 
esseri in funzione dell'essere, ama i beni particolari secondo la ragione 
di partecipazione e di approssimazione che essi hanno verso il bene 
in universale. 
Di questa imperfezione dei beni particolari è cosciente la psicologia 
che, pertinenza di
essere Jimitato, finito, è sollecitata da un vago sospiro. 
verso l'infinito. 
La tendenza della volontà non s'appaga dei beni particolari, man,. 
chevoli, perituri, caduchi, ma ricerca il bene supremo, e dalla manche-
volezza ed inadequatezza delle cose e dei beni particolari pullula il pe-
renne disinganno della volontà, che appetiva quei beni in funzione e per 
intuito del bene universale. 
Filosofia del diritto I9 
Onùe l'uomo è in contraddizione continua: la ragione e la volontà 
in un vero ed in un bene particolare non si posano, ma hanno una aspi-
razione, che perdura tuttora inappagata verso principi di perfezione 
infinita: dico inappagata, chè ove accadesse il contrario, l'uomo non 
sarebbe nè dissimmetrico, nè finito, e supererebbe la sua natura. 
Le pdtenzc umane, per quanto vincolate, hanno tendenze verso un 
qualche cosa che le oltrepassa, verso un bene infinito, supremo. 
La ragione ha tendenza razionale all'universale in quanto è uni-
versale: il hcne umano, l'asscguimento cioè del fine umano è l'assurgere 
delle potenr.c dell'uomo in questa tendenza, quasi anelito, all'essere uni-
versale. 
La volontà umana non troverà mai intimo appagamento nè neJla 
tendenza verso i beni particolari, nè nella progressiva sostituzione di 
beni particolari. Però nel valutare i beni particolari, la volontà li com-
misurerà a1 bene universale; troverà in questo un'unità di misura, cui 
quelli sono coniferibili, essendo in se stessi relativi, e valuterà gli es-
seri in funzione deJl'esserc, per la parte cioè di bene universale, che cia-
scuno racchiude in sè. 
E troverà negli individui dr Ha serie umana tante partecipazioni di 
quel vero e di quel bene universale, cui ella tende, mentre i corpi natu-
rali sono mezzi non fini e gli animali sono pur essi dei mezzi ad un 
fine superiore. 
La mente umana troverà una irradiazione progressiva del bene uni-
versale in relazione alla progressione degli esseri, e nell'uomo troverà 
un'approssimazione immediata a questo bene infinito. 
Ne consegue che essa riconoscerà di doversi comportare verso gli 
esseri in ragione del valore degli esseri stessi, misurato a sua volta dalla 
relazione di approssimazione degli ,esseri medesimi all'essere infinito. 
Di qui segue che essa sentirà di dover amare le creature in esatta ra ... 
gione della partecipazione che esse hanno rispettivamente dell'essere e 
del bene universale, e sovra tutti gli altri esseri valutare e apprezzare 
il nostro simile, l'uomo, il quale, come creatura ragionevole, partecipa 
del valore dell'essere supremo più che le altre esistenze della natura: 
donde ancora consegue che la volontà, di fronte a persone inviolabili 
e rispettabili, quali sono gli uomini, si deve tener obbligata a certe linee 
di condotta, da cui non si potrà allontanare. 
Questo principio è il sostegno di ogni possibile morale e di ogni pos-
sibile filosofia del diritto. 
20 Igino Petrone 
* * * 
Quando la coscienza umana si è proposta di cercare la fonte del 
bene, da molti si è risposto che il bene umano va ricondotto al bene 
animale, al piacere. 
Quan<lO' vuolsi trovare la differenza tra bene e male, così ragionano 
costoro, non devesi prescindere dalle nozioni del piacere e del dolore, 
sentimenti fondamentali di ogni essere vivente. 
Ma come spiegare l'inquietezza dello spirito di fronte al raggiungi-
mento di questo piacere, in cui l'uomo non trova il prot}rio adegua. 
mento, la propria felicità? La natura avrebbe posto nell'uomo una ten. 
<lenza verso ciò che non può raggiungere. Ogni piacere cessa di apparire 
gradevole e desiderabile appena sia conseguito, e perde di valore in ra-
gion diretta dell'approssimazione al godimento. 
Vi è quindi un inganno P.,rpetuo della natura, o vi è inganno nel 
credere di trovare il benessere nella felicità del piae<re. 
D'altra parte, se la natura ha insinuato negli esseri un desiderio 
di felicità esauribile da beni particolari, la filosofia non può tradurre 
siffatto desiderio in un dovere morale universale senza essere smentita 
dalla stessa natura, la quale impedisce la consecuzione universale del 
benessere a tutti gli individui. Tutti tendono al piacere, ma è vietato 
ai più di conseguirlo daBa limitazione dei beni esteriori, e nell'ordine CÌ· 
vile il piacere di un individuo non è possibile che a patto della solfe. 
renza di un altro. 
In una specie di paradiso terrestre si potrebbe avere una legge del 
piacere individuale in forma di precetto etico universale, ossia esteso alla 
universalità degli individui, perchè ivi tutto è disponibile a tutti; non 
già nel mondo umano, per la legge della limitazione, della concorrenza, 
<lella selezione. 
Non è possibile fondare una morale universalistica umana sulla base 
·della ricerca universale del benessere individuale; la morale del benes· 
sere individuale applicata alla società umana devierà dal suo principio e 
·darà luogo ad una morale privilegiata e di casta, che segnerà cioè le 
prerogative di dati individui forti sulle rovine degli individui deboli: 
gli uni al di sopra, gli altri al di sotto del bene e del male. 
La morale cristiana ha potuta essere una morale universale perchè 
ha fissato un criterio ed una legge superiore all'eudemonisn10 indivi-
duale. Essa ha trasferito il criterio della beatitudine ad un campo Ìll· 
finito, in cui cessano la lotta, la interferenza, la limitazione, che esistono 
di natura nello stato sociale. 
Filosofia del diritto 21 
Le teorie etiche, mosse dai principi naturalistici a fondare il prin-
cipio dell'eudemonisnro individuale, sono state sollecitate ad uscire fuori 
dalla morale universale .. ed hanno dato origine a dei sistemi di 1norale 
plurima, differenziata, privilegiata e di casta, che sono sistemi d'immo· 
ralità. 
Il vero sostegno del progresso morale deII'umanità è neJl 'universa.. 
lismo etico, nell'uguale trattamento di tutti gli individui al cospetto della 
kgge morale. 
Il porre una morale diversa, secondo le diverse classi sociali, una 
moralità per i forti ed una per i deboli, una per i tiranni ed una per 
gli oppressi, è un contraddire alle esigenze della moralità, che .è equa-
litaria, universale. 
li Nietzsche trova che la morale universalistica -cristiana è una n10-
rale falsa, buona solo per i deboli, e divide la morale in due cate-
gorie : una per i forti o superuomini, al di là del bene e del male, l'altra 
per i deboli, greggia umana, condotta e sfruttata dai forti. 
Questa teoria è l'espressione più acuta dell'eudemonismo, ed è ad 
un tempo la dimostrazione che il benessere di tutti è irrealizzabile, e 
che la morale cudemonistica non sarà mai una vera morale, cioè una mo-
rale universale. 
Poi, seguendo la teoria sì bellamente esposta dal Rosmini, terremo 
per certo che il benessere umano non consiste nella felicità relativa e 
soggettiva, ma che l'uomo- è sollecitato verso qualche cosa d'infinitamente 
superiore ai beni particolari, e che la felicità umana è di là delle stesse 
potenze umane; donde si genera la dissimmetria e il dualismo, che segna 
la perfezione, la superiorità dell'uomo di fronte agli individui della 
serie animale. 
Il positivismo con l'aiuto della sociologia ha creduto ad una dialet-
t!ca spontanea tra il }?enessere sociale e l'individuale. E questa teoria ha 
servito ai filosofi utilitari inglesi, per passare dall'eudemonismo indi-
viduale all'eudemonismo sociale. 
La sociologia moderna crede ad una compensazione tra i vari beni 
individuali ed alla loro armonia, sia pure a lunga scadenza. Poichè se 
per il bisogno del momento il bene individuale può contraddire al so-
ciale, gli effetti malefici dCH'azione egoistica presto o tardi si ritroveranno 
contro il suo autore e lo puniranno. 
Ma l'armonia è a lunga scadenza, e la vita dell'individuo• è corta. 
Le compensazioni e le armonie si verificano sulle masse, non per i 
casi individuali. L'individuo
non è una generazione. Nessuna allegazione 
22 Igino Petrone 
di pretesa annonia dialettica potrà persuadere all'uomo che il suo pia. 
cere vivo e attuale deve essere sacrificato a) benessere futuro generale. 
Se a lui è imposta la legge della felicità e del piacere, non vi è logica ad 
imporgli di rinunciare al piacer suo attuale in grazia del futuro piacere 
degli altri. 
Se il benessere sociale si potesse rappresentare agli individui come 
alcunchè di reale e di vivente e trasfigurarsi alla loro mente pieghevole 
alla mitologia ed al feticismo, allora si potrebbe avere, per una serie dì 
illusioni prospettiche, l'immolazione dcl benessere individuale al feticcio 
del henessere sociale. Ma il feticismo è proprio delle menti primitive 
e non· sopravvive al risveglio della critica e della riflessione indivi. 
duale. 
Presto o tardi l'individuo si persuade che una società autonoma dal. 
1'individuo non esiste: e non esiste un benessere sociale assolutamente 
separato dall'individuale. Il benessere della società intera è relativo e 
variabile seooni!o l'angolo visuale dello speiltatore o dell'interprete; 
non esiste una società come ordjnamento spontaneo di interessi, chè anzi 
il benessere sociaJe si colora de1le suggestioni di benessere individuale 
delle classi prevalenti; così in una società ieratica, l'interesse, il bene 
della società sarà ciò che può soddisfare gli interessi della casta ieratica 
e rispettivamente in una società militare o in una società capitalistica. 
La società insomma non esiste come criterio unitario, perchè non reca/ 
in sè .unità morale, non è un intero, ma un prodotto artificiale di parti 
e di gruppi, tenuto insieme da sforzi di equilibrio instabile e da com-
promessi. 
È assurdo il credere che l'individuo possa essere educato dalla so· 
cietà; il benessere sociale è il risultato del benessere individuale, non 
viceversa. La società non può creare una riforma che fluisca sugli indi. 
vidui ; sono gli individui che oompongono la società, non è la società 
il componente degli individui. La riforma sociale deve quindi essere 
preceduta e resa possibile dalla riforma morale degli individui. Un 
individuo- trova innanzi a sè un mezzo sociale ed è passivo dei vincoli 
di questo; ma questi vincoli di per sè rappresentano un ordine artifi. 
ciale, esteriore, legale, non un principio di moralità. 
E. Kant disse che il principio della moralità è l'autonomia, .non l'e. 
teronomia; il pre<etto etico deve fluire dall'interno del soggetto, e l'in· 
dividuo stesso dey'essere potenziato alla legge morale. 
La sociologia non può attuare che un'eteronomia; non una morale e 
Filosofia del diritto 23 
rn.:ppurc una giustizia, può comprimere più che conciliare il benessere 
individuale e sociale. 
È quindi tutta questa dialettica una credenza illusoria, un codice 
della moralità che vale solo per periodi d'infanzia e d'immaturo svi-
luppo. La sola forma in cui possiamo raggiungere il bene sociale e il 
J,e11e dell'individuo è questa: l'osservanza della legge del bene forniu-
lata più su. 
Su la pura via del naturalismo non si costituisce la morale. La mo-
rale è al di Jà della natura; è formala del dover essere e non dell'essere. 
La morale si fonda su principi ideali, e non su principi della natura. 
La morale è sforzo cd approssimazione ad un ideale superiore ed infi .. 
nito. 
Jl principio di amare gli esseri in funzione deU'essere serve di fon. 
<lamento alla morale .com~ al diritto, a un'etica come a una filosofia 
giuridica; da esso si derivano e si esplicano i doveri dell'uomo verso 
se stesso, in quanto sente di essere persona inviolabile, e verso gli altri 
uomini, in quanto essi sono persone inviolabili e rispettabili, simili a lui. 
Di qui la serie delle norme e degli idèali di condotta valevoli per 
tutti i casi e tutti i fenomeni della vita individuale e della convivenza 
sociale. 
* * * 
Finita così la trattazione dei prolegomeni, noi ci addentreremo nello 
studio della Filosofia del Diritto propriamente detta. Essa ha il compito 
di analizzare la natura della Giustizia umana e la sua funzione nell'ordine 
universale del n1ondo. La giustizia umana non è che una differenziazione 
dell'idea universale, della forma prima di giustizia, che consiste, come 
s'è detto, nel rispetta.re l'ordine gerarchico delle cose e dei valori, misu-
rato dalla ragione di approssimazione al Valore Supremo. 
GIUSTIZIA UMANA 
PRIMA NOZIONE SINTETICA 
La nozione universale della Giustizia importa.. come abbiamo ve~ 
duto, una esatta graduazione e collocazione dcl valore degli esseri 
misurata dal rapporto di approssimazione degli esseri stessi verso la 
ideale· misura di ogni valore, ossia verso il Bene Supremo. 
Procediamo ora all'analisi della giustizia umana. Anch'essa implica 
una graduazione esatta dei valori e dei meriti dei singoli uomini, im~ 
plica ~n riconoscimento a ciascun essere umano di ciò che gli spetta, una 
valutazione adeguata al valore, ed una imputazione del merito reale 
agli esseri che ne sono forniti. La Giustizia Umana è quella specifica 
differenziazione della idea universale della giustizia, la quale si pone 
nella comunanza degli uomini; è una relazione ideale che suppone la 
convivenza degli uomini. In ogni convivenza sociale è necessaria la 
Legge di Giustizia : occorre cioè che ad ogni singolo individuo sia fissata 
e circoscritta una data sfera di attività, affinchè egli non venga ad impe-
dire l'esercizio dell'attività altrui, oltrepassando la propria orbita, ed 
lr.sinuandosi nell'altrui, ed affinchè nessuno degli altri uomini venga 
ad ostacolare l'attività di lui, insinuandosi a sua v.olta nell'orbita a lui 
assegnata. 
Se la legge di Giustizia non esistesse, non si avrebbe che uno stato 
puramente meccanico, fisico, di urto e di attrito di forze nello spazio 
sociale. 
Nessuna forza individuale in questo caso potrebbe raggiungere il 
suo fine. Avremmo un urto di forze più o meno energiche, il debole 
verrebbe sopraffatto dal più forte, non si avrebbe mai una pacifica con· 
vivenza sociale, possibile solo con l'intervento della Legge di Giustizia, 
perchè questa dà la nozione dd limite delle attività e della imputazione 
del merito, cioè comanda che a ciascuno sia imputato il prodotto della 
sua attività. 
La Legge di Giustizia umana procede dall'idea della uguale dignità 
degli esseri umani, i quali hanno tutti lo stesso valore, perchè egual-
F ilosofìa del diritto 25 
mente partecipi ciel valore supremo; ed in omaggio appunto a questa 
uguaglianza di dignità, impone la limitazione della attività del singolo 
affinchè possa coesistere colla libera attività degli altri, i quali altri 
hanno egual diritto che esso di esplicare la libertà loro. 
Oltre a questo elemento negativo di limitazione la Legge di Giustizia 
imp011.a un concetto positivo di imputazione a ciascuno nella sfera as .. 
scgnatagJi, del prodott(} della sua libera attività, in quanto questa non 
rappresenta una lesione dell'attività altrui. 
Taluni giudicarono che la Legge di Giustizia non ha che una fun· 
zionc limitatrice e sognarono uno stato idillico presociale in cui le s'in~ 
gole attivitlt potevano o potessero liberamente esplicarsi senza subire al· 
cun freno, o inibizione giuridica. Ma quest'obbiezione è un parto di 
una pura utopìa ideologica; non si potrebbe nemmeno concepire uno 
stato ideale in cui fosse libera l'estrinsecazione delle singole attività ed 
in cui le singole attività non si collidessero, non si urtassero. 
Ne11'economia dcl mondo morale non vi è modo di uscire da questo 
dilemma: o il limite, ossia l'urto meccanico delle forze lottanti e so ... 
praffacentisi a vicenda, ovvero il limite etico segnato dalla pacifica coep 
sistenza delle eguali libertà. Chi rifiuta il limite sacro, imposto dalla coe-
sistenza delle libertà, non va incontro, no, ad uno stato di libertà e fe. 
licità

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